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Nuovi capitoli in "Le mille e una favola" e "Alla ricerca dei relitti perduti"
I militari italiani catturati in Africa erano uomini fatti prigionieri
all’inizio delle attività belliche, quando le sorti erano ancora molto indecise,
e non era ancora subentrato lo stato psicologico di rassegnazione ed amarezza
per una guerra perduta; non si sentivano dei vinti, ma dei combattenti che
avevano perso la prima battaglia. Era ancora vivo in molti di loro il desiderio
di tornare in azione.
I prigionieri di guerra italiani in mano britannica in
Africa erano troppi. Non per mancanza di combattività , ma per mancanza di
mezzi, di carburante, di ordini.
Masse di POW, Prisoners of War, crearono enormi problemi
logistici, che rendevano irrealizzabili le virtuose norme previste dalla
Convenzione di Ginevra del 1929.
L’Impero britannico poteva contare sulla possibilità di
distribuirli tra i tanti stati del Commonwealth. Ma con i traffici marittimi in
difficoltà, le risorse erano comunque scarse, e i primi a rimetterci furono i
POW, che pure collaboravano attivamente al proprio mantenimento, dato che i
campi-prigionia erano generalmente di lavoro.
Molti di loro non si sentivano vinti, ma combattenti che
avevano perduto la prima battaglia. Parecchi cercarono di scappare per tornare
in linea di combattimento. Pochi ci riuscirono. E alcune fughe spiccano per
audacia, fantasia, costanza.
Troviamo il gruppetto di fuggitivi che rubano un camion
militare e percorrono tremila chilometri in quattro colonie britanniche
fingendosi prigionieri in trasferimento, accompagnati da un finto ufficiale
britannico, che è in realtà un aristocratico fiorentino;due amici, catturati nel
deserto africano, che trovano il modo di farsi proteggere per mesi da civili
italiani e spagnoli in Egitto, raggiungendo poi l’ Italia dopo un’ odissea
attraverso il Medio Oriente; un ingegnere e inventore che viene catturato col
compagno di fuga dopo che ha praticamente traversato a piedi l’Himalaya, ma ci
riprova e lui e un altro commilitone, travestiti da indiani, raggiungono la
portoghese Diu; anche un raffinato nobiluomo ed ufficiale anconetano si traveste
da pashtun, e, scatarrando e sputando, sfrutta la lunga rete ferroviaria
indiana per raggiungere la portoghese Goa, fingendosi scemo e salendo di
preferenza su vagoni zeppi di soldati di altre etnie, per non essere costretto
alla conversazione in lingua locale.
Ma volevano tornare a combattere e non ci riuscirono.
E invece riuscirono nell’intento quei tre che se ne andarono, così,
semplicemente, sapendo che sarebbero rientrati: volevano solo scalare il monte
Kenya, tremila metri, con un equipaggiamento ricavato da teli da tenda,
copertoni, pezzi di branda, coperte. Ci riuscirono, arrivarono dove volevano,
piantarono un tricolore sulla vetta del Kenya, rientrarono, e si sentirono
L'ultimo lavoro di Alfio Caruso
L'onore d'Italia
Accanto ai
grandi protagonisti - raccontati attraverso aneddoti sconosciuti, i diari di
quei giorni, le testimonianze inedite dei collaboratori - si mossero gli eroi
sconosciuti.
Ragazzi provenienti dall’Inghilterra, dall’Australia, dal Sud Africa, dalla
Nuova Zelanda, dalla Germania, dall’Italia, le cui imprese caratterizzarono i
tanti episodi entrati nella leggenda.
Le grandi decisioni strategiche decise dalla fame e dalle sete di una pattuglia;
lo sfondamento fallito per le bizze di un orologio; i morti e i feriti di
entrambi gli schieramenti raccolti assieme durante la breve tregua dettata dalla
comune pietà; l’aspra esistenza dentro le buche assieme a ragni, scarafaggi,
scatolette oppure dentro lo scafo di un carro armato seduti su quintali di
granate.
E poi le lettere a casa, i sogni, le illusioni di tanti giovani, che non
tornarono.
Pur ignorati dalle ricostruzioni ufficiali, bersaglieri, parà, fantaccini,
genieri, aviatori, artiglieri scrissero pagine di memorabile abnegazione persino
a dispetto del regime che li aveva abbandonati nel deserto.
Gli italiani non scapparono, non alzarono le mani, spesso morirono in silenzio
nella loro buca.
Grazie
all'autore che a pag 233 del libro cita come fonte preziosa di dati il nostro
sito e il webmaster daniele moretto: una ulteriore testimonianza di come
qattara.it sia diventato un riferimento al livello nazionale e oltre
Un libro per chi vuole andare nei luoghi della battaglia o
semplicemente documentarsi
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pinocanese@virgilio.it
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24 Aprile 2009
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