Nuovi capitoli in "Le mille e una favola" e "Alla ricerca dei relitti perduti"

      
 

                                                                                           

 

PAOLO CACCIA DOMINIONI

Paolo Caccia Dominioni, Colonnello dell'Arma del Genio, già comandante del XXXI Battaglione Guastatori in Africa settentrionale nella battaglia di El Alamein, è deceduto a Roma il 12 agosto 1992.
Nato a Nerviano, in provincia di Milano nel 1896 ha trascorso quasi tutta la vita all'estero, prima nelle sedi consolari e diplomatiche del padre, poi come ingegnere architetto, espatriato per insofferenza politica nel 1924.
Ha sempre risposto ai ripetuti richiami alle armi; invalido di guerra per ferite, cinque volte decorato al valore militare nel Carso, in Libia, in Etiopia, a El Alamein e infine nella Resistenza.

Le opere letterarie sono le seguenti:

·        "Amhara", Parigi 1937 - 5 edizioni

·        "Takfir", Milano 1947 - 4 edizioni;

·        "Alamein 1932-1962", Milano 1962 - 13 edizioni che hanno superato le 500.000 copie, Premio Bancarella 1963;

·        "1915-1919", Milano 1965 - 2 edizioni, finalista al 'Premio Bagutta 1966';

·        "Ascari K7", Milano 1966;

·        "Le 300 ore a Nord di Qattara", Milano 1972;

·        "Alpino alla macchia - Cronache di latitanza 1943-1945", Milano 1977;

·        "La frana del San Matteo", narra la vicenda di un sottotenente trasferito da Udine al forte di San Matteo nel sud dell'Eritrea nell'autunno 1889.

Gli scritti minori:

·        "GIORNALE, I E II", autodattiloscritto corredato da una serie di schizzi;

·        "Elogio delle ombre cinesi", stampato al Cairo d'Egitto nel 1931;

·        "Risvegli nella sera", racconti manoscritti corredati da disegni scritto in Asia nel 1938, pubblicato in Africa nel 1939, riesumato in Europa e ristampato nel 1940;

·        "Registro di bordo", stampato nel 1944;

·        "Casa del perduto amore", del 1949;

·        "Il fantasma onorario";

·        "Casa Caccia Dominioni", 1980 è la storia delle 24 generazioni della casata dell'autore.

I disegni.

L'attività grafica di Paolo Caccia Dominioni è imponente, non solo per il numero di disegni, schizzi, tavole ed illustrazioni, ma anche per gli argomenti ed i soggetti affrontati. L'argomento militare è sempre stato preferito dall'autore: eventi storici, figure caratteristiche, calendari, biglietti di auguri, eventi importanti.

I lavori archittetonici e monumentali.

Ha realizzato più di 300 progetti in quattro diversi Continenti. Ricordiamo i Sacrari militari di El Alamein, Murchison, Bari, gli Infoibati, Tempio votivo del Morbegno; i gruppi monumentali al paracadutista, Viterbo e Livorno, all'artigliere alpino di Udine, alla "Folgore" di Castromarina, al Duca d'Aosta a Gorizia.

La maggior impresa di Paolo Caccia Dominioni, che gli valse riconoscenza internazionale, fu la rischiosa missione per la raccolta delle salme di ogni bandiera sui campi di battaglia del deserto, dove si isolò per oltre 10 anni dopo il 1948.
Il Gen. Gualtiero Stefanon ha scritto di lui:
"Ovunque egli vivesse, intorno a lui era un continuo avvicendarsi di reduci e veterani, sui compagni d'arme, che ne spronavano il ricordo e la fantasia perché la sua matita magica fissasse una volta di più sulla carta quel passato che era tutta la loro vita."
Un bellissimo disegno è quello che rappresenta l'avvocato Peppino Prisco, gi´ ufficiale nel battaglione Alpini l'Aquila medaglia d'argento nella campagna di Russia, insieme a suo figlio sottotenente 30 anni dopo nel battaglione l'Aquila.
Scrive ancora il Gen. Gualtiero Stefanon:
"Non erano solo i veterani a richiedere l'opera di Paolo Caccia Dominioni: c'erano anche quelli delle generazioni più giovani, quelli che in guerra non c'erano stati per ragioni di età. Moltissimi ufficiali dell'esercito del dopoguerra, colsero l'opportunità di chiedergli un disegno, uno schizzo, una rappresentazione dell'unità che essi comandavano tale da sintetizzarne la storia e di fasti. ... Un giorno andarono da lui alcuni reduci della Divisione Alpina Monterosa, dell'esercito della R.S.I., e gli chiesero qualche suggerimento per dare veste di sacrario dei caduti della Divisione ad un piccolo oratorio, San Rocco, situato nei pressi di Palleroso, un paesino della Garfagnana sulla ex Linea Gotica. ... Ancora una volta la risposta del vecchio soldato, che pure aveva militato dalla parte opposta, fu Si. ... Uomini così non muoiono mai, sono indistruttibili ed eterni nell'insegnamento che trasmettono. Come dicono gli Alpini il Ten. Col. Paolo Caccia Dominioni è solo andato avanti."

PAOLO CACCIA DOMINIONI DI SILLAVENGO.
del Gen. Gualtiero STEFANON

L'uomo di cui parliamo non è un personaggio comune.
La sua figura, fatta di doti caratteriali oggi insolite, di capacità artistiche innate, di qualità intellettuali fuori dall'ordinario, ha molteplici chiavi di interpretazione.
Di lui possiamo dire che è stato, innanzitutto, un soldato, un "najone", come lui stesso amava definirsi, e tale lo consacrano i 12 anni di vita spesi, in uniforme, al servizio della Patria. E' stato poi un "uomo" nel senso vero del termine, come testimoniano i 14 anni volontariamente trascorsi in Africa Settentrionale, dopo la fine della 2^ Guerra Mondiale, alla ricerca delle salme disperse nel deserto dei soldati di ogni Nazione, là caduti combattendo per il proprio Paese.
E' stato ingegnere ed architetto ed ha lasciato traccia di sè in costruzioni di ogni tipo, monumentali, stradali, minerarie, residenziali, realizzando ben 300 progetti in Italia ed all'estero, in quattro Continenti.
E' stato anche artista e scrittore, producendo oltre un migliaio di disegni, schizzi ed acquerelli, sui soggetti e sugli argomenti più diversi e scrivendo otto libri, in gran parte incentrati sulle proprie esperienze di guerra, ed una ventina circa di racconti ed opere minori, scaturiti dalle vicende da lui vissute in tante parti del mondo.
Il tutto nella padronanza di quattro lingue straniere, tra cui l'arabo. 
Un uomo così non può essere conosciuto e compreso facilmente, superficialmente.
Non solo e non tanto per la poliedricità che lo caratterizza, ma soprattutto perché, per comprenderlo, è necessario conoscere, e condividere, i principi e le regole di quella società dell'ultimo '800 e del primo '900 da cui egli proveniva e nella quale affondavano le radici del suo modello di vita.
Oggi i più sorridono al pensiero di una società incentrata sul trinomio "Dio, Patria, Famiglia". Molti respingerebbero l'idea e la possibilità di essere chiamati più volte alle armi, nel corso della vita, per essere mandati ogni volta a "fare la guerra". Nessuno più presterà il servizio militare di leva.                                                      
Sono gli aspetti di una società moderna che, in un secolo, è profondamente mutata nel contesto sociale, nelle aspirazioni, nel modo di tendere al proprio domani.
Tra i due modelli, l'ieri e l'oggi, sembra non esistano più identità comuni né punti di contatto. 
Tanta differenza potrebbe far pensare, di primo acchitto, che figure come quella di Paolo Caccia Dominioni siano entità ormai obsolete, fuori dal tempo, come i ritratti degli antenati in elmo ed armatura di ferro.
Se però è vero, come è vero, che l'oggi nasce dall'ieri, è in quelle figure che noi, uomini di oggi e di domani, dobbiamo cercare le nostre radici spirituali e morali, pur disponendoci ad una vita diversa sì nei rapporti di tempo, di spazio, di relazioni sociali ed umane, ma sempre incentrata sugli universali ed eterni valori dello spirito. 
Paolo Caccia Dominioni, conte e barone, 14° signore di Sillavengo, è nato a Nerviano, in provincia di Milano, il 14 maggio 1896, nella "casa vecchia" avita, figlio di Carlo, regio Ministro Plenipotenziario e di Bianca Cusani Confalonieri.
Il motto della casata, "Nihil difficile volenti", è, di per sé, già tutto un programma.
Una breve "Sintesi Militare" della famiglia, dal 1848 al 1945 (un secolo) riporta "due caduti e cinque feriti in combattimento, due invalidi di guerra, cinque medaglie d'argento, sei di bronzo e sette croci di guerra al Valore Militare, una promozione e sette croci al merito di guerra".
A testimonianza di un'attiva partecipazione alle vicende della Patria, condotta senza clamore, come pura espressione del dovere da compiere.
"Non siamo una grande famiglia", avrebbe scritto in una particolare occasione, "non vantiamo monumenti in piazza, non abbiamo prodotto Santi, Papi, conquistatori di regni, olimpionici divinizzati; non abbiamo pronunciato la frase storica.
Non schieriamo delinquenti da forca, mostri del vizio, uomini politici. Abbiamo giostrato, tirando qualche sommesso moccolo, senza chiedere il benservito". 
La carriera diplomatica del padre lo portò ben presto in paesi stranieri, Francia, Tunisia, Austria-Ungheria, allora lontanissimi, e nelle diverse sedi di servizio del genitore il giovane Paolo cominciò a costruire, e via via ad arricchire, il proprio bagaglio linguistico, tedesco, francese, inglese, arabo, che in seguito sarebbe stato per lui indispensabile viatico nella vita errabonda che lo attendeva.
Sin da giovane cominciò a manifestare un'innata propensione per il disegno nelle sue forme più svariate, sostenuta da un non comune senso artistico e da una grande capacità grafica. 
la prima G.M.:                
La dichiarazione di guerra all'Austria-Ungheria, 24 maggio 1915, coglie Paolo Caccia Dominioni a Palermo, studente nella locale facoltà di ingegneria.

                                                                                       
Il giorno dopo il ragazzo si arruola volontario, a 19 anni.
Nel novembre del 1915 viene inviato a Torino, Accademia di Artiglieria e Genio, al corso Allievi Ufficiali di complemento.
Alla fine di maggio 1916 il S.Tenente Sillavengo (che nella vita militare userà sempre e solo il predicato nobiliare del proprio cognome) raggiunge la zona di guerra, prima sul F. Brenta, poi, il 3 agosto, sul fronte dell'Isonzo, con la 16^ cp. del 4° rgt. pt.
E vi ha il battesimo del fuoco, nei combattimenti violenti ed accaniti che si concluderanno con la presa di Gorizia da parte italiana.
Promosso Tenente nel febbraio del 1917, tra il 15 ed il 18 maggio, con due plotoni pontieri concorre al forzamento del F. Isonzo ad Aiba, gittando e mantenendo operante, sotto il preciso fuoco nemico, un ponte di barche su cui passa, di slancio, il battaglione alpini Monte Cervino.
L'azione riesce e gli Austriaci, battuti, ripiegano. Due giorni dopo, però, contrattaccano, distruggono il ponte con l'artiglieria e ributtano gli alpini di qua dal fiume. Nella sarabanda i pontieri fanno miracoli e riescono a garantire il ripiegamento dei reparti e lo sgombero dei numerosi feriti sulla sponda amica.
Il Tenente Sillavengo, benchè ferito, non lascia il terreno dell'azione sino alla fine. Per il suo comportamento gli verrà concessa la Medaglia di Bronzo al Valore Militare. 
La ferita, unita ad una grave dissenteria e ad un forte deperimento fisico, lo costringono al ricovero all'ospedale militare di Udine prima e di Tricesimo poi.
E lì gli viene la brillante idea di chiedere l'assegnazione, come volontario, ad una nuova e più combattiva specialità del Genio, appena creata: i lanciafiamme.
Come logico, lo accontentano subito ed il 1° luglio del 1917 si ritrova alla 2^ compagnia lanciafiamme, comandante della 4^ sezione, fronte del Carso.
La prima constatazione, appena arrivato, è: "Qui si respira vera aria di guerra. Aria di Fanteria!".
Sul Carso "atroce e micidiale", con la sua 4^ Sezione, il Ten. Sillavengo opera per 10 lunghissime settimane, tra l'agosto e l'ottobre del 1917, prima nel settore di Dolina Pera, poi in quello della Quota Innominata.
Nuovamente ferito, è appena rientrato al reparto che il disastro di Caporetto travolge anche la 2^ compagnia lanciafiamme.
A ritirata conclusa, dopo un periodo di riordino, la compagnia é destinata nel settore di Foza, fronte degli Altipiani, dove partecipa ai combattimenti della battaglia delle Melette.
Il 28 gennaio del 1918, per il Ten. Sillavengo, è il giorno più buio e doloroso della guerra: nelle azioni per la presa del M. Ortigara cade suo fratello Cino, di lui più giovane, anch'egli volontario e S. Ten. del battaglione alpini "Stelvio". 
Inviato in licenza nel febbraio, Sillavengo raggiunge la famiglia a Tunisi, e viene poi assegnato al 9° Reggimento Genio, di stanza a Tripoli, nella nostra colonia libica, quale comandante della compagnia zappatori minatori distaccata nel forte di Sidi Abdel Krim, ad est di Tagiura.
Il 3 aprile 1919, rimpatriato, riprenderà in Italia gli studi interrotti dalla guerra e verrà definitivamente congedato il 16 febbraio 1920. 
Per Paolo Caccia Dominioni gli anni della guerra sono stati lunghi e tragici, ma nella grandezza della prova egli non ha mai perso nè la propria forza interiore né la capacità di vederne gli aspetti umani, a volte umoristici oltre che tragici. Vi ha raccolto esperienze preziose, ha soprattutto imparato a conoscere ed apprezzare il soldato, il cittadino italiano in uniforme, e ne ha intuito le grandi, incredibili risorse, quando ben comandato. 
(3) l'oasi di Tummo: 

Il 10 dicembre 1931 viene richiamato alle armi e destinato a Tripoli, Regio Corpo Truppe Coloniali.
Il compito assegnatogli è partecipare, come ufficiale del Genio, ad una ricognizione nella regione del Fezzan, al confine tra Libia e Nigeria, con obbiettivo i pozzi di Tummo.
Più di 1000 km di Sahara, da percorrere in gran parte a dorso di mehari, per compiere rilievi geografici e topografici in quella regione del territorio libico ancora poco conosciuta.
Una missione affascinante, una specie di Parigi-Dakar "ante litteram", una vera e propria avventura, che si concluderà tre mesi dopo ed al termine della quale il Ten. Sillavengo sarà di nuovo posto in congedo.
Il 27 ottobre del 1932 verrà promosso capitano. 
(4) la campagna d'Africa Orientale: 
Nella primavera del 1935 l'Esercito Italiano mobilita le unità da destinare alle operazioni per la conquista dell'Etiopia, la futura A.O.I., e le fa affluire nelle due colonie della Somalia e dell'Eritrea, basi di partenza per l'attacco all'Etiopia.


Il Cap. Sillavengo lavora da qualche tempo a Beirut, ove lo raggiunge il nuovo richiamo alle armi, destinazione Regio Corpo Truppe Coloniali d'Eritrea. Il 1° luglio viene convocato al Comando Superiore dell'Asmara, Ufficio informazioni.
E' in atto la fase di preparazione della campagna, sia sul piano logistico, sia su quello informativo.
E' necessario conoscere, tra l'altro, le misure militari che l'Inghilterra decidesse eventualmente di adottare, contro l'Italia, dalla sua colonia del Sudan, confinante con la frontiera occidentale dell'Abissinia, da dove potrebbe minacciare il fianco destro delle nostre unità operanti dall'Eritrea verso il L. Tana ed Addis Abeba.
Compito che sembra tagliato su misura per il Cap. Sillavengo.
Parla l'inglese e l'arabo, è socio di uno studio di ingegneria del Cairo a cui il Dipartimento Egiziano per l'Irrigazione ha commissionato una serie di disegni di alcune dighe sui due rami dell'Alto Nilo, ottima copertura per recarsi in Sudan e soggiornarvi il tempo necessario.
L'ufficiale entra quindi a far parte della "rete informativa K", con il nominativo di "agente K2".
Il 13 luglio l'avventura comincia. Il Cap. Sillavengo raggiunge il Cairo da dove si sposta in Sudan, prima alla diga di Gebel Aulia sul Nilo Bianco, poi a quella di Sennar, sul Nilo Azzurro.
Nel mentre segue i lavori idraulici, porta avanti l'attività informativa, che dura sino al 20 ottobre 1935, dieci giorni dopo l'inizio delle ostilità contro l'Etiopia.
I risultati sono soddisfacenti: si è scoperta la costruzione di un nuovo aeroporto in una zona ad un'ora di volo dal confine con l'Etiopia; l'afflusso a Kartum di aerei da bombardamento inglesi, che aumentano il potenziale dell'aviazione del Sudan; l'afflusso di grossi trasporti di truppe e materiali verso Cassala, al confine tra Sudan ed Eritrea. 
Rientrato ad Asmara, al Cap. Sillavengo viene affidato un nuovo compito: dare vita, e comandarla, ad una pattuglia informativa composta da "ascari" che parlino arabo, tigrino ed amarico, destinata a muovere in testa alle colonne in avanzata, riconoscere il terreno, contattare gli abitanti per trarne informazioni ed individuare gli itinerari da seguire. Sillavengo la chiamerà la "Pattuglia Astrale". 


Il compito principale sarà quello di agire a favore della "Colonna Starace", 3500 uomini e 450 tra autoblindo ed automezzi vari, che deve raggiungere prima la città di Gondar e poi il L. Tana, per fiancheggiare, sulla destra, il dispositivo di attacco principale che punta su Addis Abeba.
In questa azione non basta esplorare: bisognerà anche costruire la strada su cui dovranno muovere i mezzi blindati e le autocolonne di rifornimenti, a sostegno delle unità avanzate.
In 10 giorni, sotto la direzione operativa e tecnica del Cap. Sillavengo, vengono aperti ben 275 km di pista e di strada, ed il L. Tana è raggiunto.
Con tale azione si conclude l'impegno del Cap. Sillavengo in A.O..
Il 31 luglio rientrerà il Italia per essere nuovamente posto in congedo. Per l'azione svolta con la "colonna Starace" gli verrà concessa la Croce di Guerra al V.M.. 
Nella campagna d'Africa ha però conquistato un'altra, entusiasmante esperienza: il contatto con le truppe coloniali eritree e con i loro impareggiabili ufficiali nazionali.
E' rimasto profondamente impressionato, quasi affascinato, da quell'ambiente fatto di indefettibile fedeltà all'onore militare, di alto senso del dovere, di grande dignità e di altrettanto grande coraggio e spirito di sacrificio, che contraddistinguono quegli uomini d'eccezione.
E li avrebbe eternati in una serie di disegni e di acquarelli, in cui ne avrebbe rappresentato gli aspetti umani, minuti e semplici, insieme ai momenti solenni ed epici. 
(5) la seconda Guerra Mondiale:
(a) 10 Giugno 1940 - 8 Settembre 1943. 
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale l'ingegner Sillavengo è ad Ankara, dal 1939, ove dirige i lavori di costruzione della nuova Regia Ambasciata d'Italia in Turchia, da lui progettata.
Richiamato alle armi, nel gennaio 1941 prende servizio al S.I.M. (Servizio Informazioni Militari), Gruppo Offensivo. Promosso di lì a poco Maggiore, è trasferito al Servizio Informazioni dell'Esercito.
Sillavengo non è più un ragazzo, ha 46 anni suonati e nella sua vita errabonda ha conosciuto molti aspetti dei Paesi stranieri con cui ora l'Italia è in guerra, e ne ha potuto valutare il potenziale e le capacità economiche ed industriali.
Conosce certo bene anche i nostri limiti strategici.
Ha quindi tutti gli elementi di valutazione per comprendere che sarà molto difficile vincere la guerra. Questo dovrebbe spingerlo a rimanersene "acquattato" nell'ambito del Servizio "I", sede in Roma, vicino agli "astri" e lontano dal pericolo e dai rischi.
Ma l'uomo non è fatto di questa pasta. Il lanciafiammista, il meharista, il Comandante della Pattuglia Astrale sono radicati molto più nel profondo del suo carattere che nei facili entusiasmi dell'età giovanile. E, pur prevedendo come sarebbe potuta andare a finire, vuole affrontare il pericolo, il rischio di cadere, fronte al nemico, non tanto nella speranza di una vittoria, quanto per un senso di dignità, per una questione di stile.
Così, quando viene a sapere che è in via di costituzione una nuova specialità "ardita" del Genio, chiede di esservi assegnato. Questa volta si tratta dei "guastatori", soldati d'eccezione, uomini d'acciaio nello spirito, nella mente, nel fisico, tutti volontari nell'affrontare il rischio al più alto livello, convinti di doverlo fare in nome dell'ideale di Patria e come espressione del loro cosciente ardimento e della loro splendente giovinezza. 
Il 24 marzo 1942 il Maggiore Sillavengo è a Brunico, sede del XXX Battaglione Genio Guastatori Alpino, per la frequenza del corso di specializzazione.
Finalmente è nel suo ambiente, quello che gli è congeniale per spirito, modo di sentire, tradizione di famiglia e per la memoria sempre viva che ha del fratello Cino, caduto portando le insegne alpine.
Il battaglione è destinato al fronte russo, ma alla fine di giugno giunge al Maggiore Sillavengo un'inattesa destinazione in Africa Settentrionale, quale Comandante del XXXI Battaglione Guastatori del Genio, non di specialità alpina, che ha perso in combattimento il proprio Comandante.                            
Il Battaglione è in Libia dalla fine di settembre 1940 ed ha partecipato, sempre in prima linea, alla battaglia della Marmarica ed alla successiva offensiva dell'Armata italo-tedesca contro Tobruk. La punta di lancia dell'attacco alla piazzaforte sono state le squadre guastatori che, con i tubi esplosivi, le cariche cave, i lanciafiamme, i mortai "Brixia" da 45 e le bombe a mano, hanno neutralizzato i fortini che costituivano la cintura difensiva di Tobruk.
E lo hanno fatto a caro prezzo.
Il Maggiore Sillavengo arriva tra uomini di tale fatta subito dopo la presa di Tobruk. Indossa l'uniforme regolamentare coloniale, sulla quale continuerà però sempre a portare il cappello alpino, che non lascerà mai più.
E' l'uomo giusto al posto giusto. Parla perfettamente il tedesco, la lingua dell'alleato; usa correntemente inglese e francese, lingue dell'avversario; conosce e parla l'arabo, lingua usata dagli Egiziani. La regione geografica obiettivo dell'Armata italo-tedesca (Alessandria, Suez, il Nilo, il Cairo) gli è familiare per avervi vissuto lunghi anni.
Ciò è noto anche ai Comandi superiori. Il 14 agosto il Maggiore è convocato dal Feldmaresciallo Rommel che, tra l'altro, gli dice: "se sono bene informato Lei è ingegnere e conosce bene il Nilo per avervi vissuto molti anni. Quando vi arriveremo Lei si occuperà del forzamento del fiume....".
Ma il primo impiego del XXXI Guastatori sarà un altro.
Nella notte tra il 30 ed il 31 agosto, nel quadro della battaglia di Alam el Halfa, il XXXI, insieme ai paracadutisti tedeschi della B. Ramke, attaccherà il costone del Ruweisat. Azione dimostrativa, di solo effetto morale.
L'ordine di operazioni dice: "penetrare almeno 4 km nello schieramento nemico, fare il massimo baccano, catturare prigionieri, incendiare con i lanciafiamme quanti più relitti combustibili possibile. Rientrare nelle linee prima dell'alba".
E' uno degli atti della "corsa dei sei giorni".
L'azione comincia alle 2 in punto. Sul Ruweisat "mezzi corazzati, mine, coltellacci maori e fucilieri indiani aspettano a piè fermo i guastatori del XXXI". Gli elementi più avanzati subiscono il fuoco irriducibile di una mitragliatrice della torretta di un carro "Crusader" interrato, emergente dal fondo pietroso. Strisciando avanza il guastatore lanciafiammista Marsilio Giulianini, toscano. Un dardo di benzolo e nafta a volute incandescenti, a tremila gradi, terrificante nel buio notturno, investe la torretta: la mitragliatrice tace ed i tre occupanti escono, a mani alzate. Anche più a nord i guastatori catturano prigionieri inglesi ed indiani. Nella terra di nessuno ardono carcasse di veicoli e di aerei, come prescritto dall'ordine di operazioni.
Per l'azione del Ruweisat, al quale ha partecipato in testa ai propri guastatori, il Maggiore Sillavengo sarà decorato dallo stesso Rommel con la Croce di Ferro di 2^ classe tedesca e gli verrà tributato un encomio solenne. 
Di lì ad un mese, il 14 ottobre, il battaglione si schiera nel settore delle Divisioni "Folgore" e "Brescia", con il compito di riconoscere e rilevare i campi minati inglesi schierati davanti alle posizioni tenute dalle due Divisioni e di posare nuovi campi minati, ad integrazione dei nostri ed a scompiglio di quelli avversari. 
La sera del 23 ottobre, come già detto, inizia l'attacco inglese alle posizioni tenute dall'Armata italo-tedesca. 
Il XXXI battaglione Guastatori partecipa alla 3^ battaglia combattendo sia con le mine, 15.000 posate in 16 notti, sia con le armi, spalla a spalla con paracadutisti e fanti.
Perde circa 30 uomini, tra morti e feriti, e quando giunge l'ordine di ripiegamento, nella notte sul 3 novembre, è ancora solido e compatto, ed il Maggiore Sillavengo è ben determinato a riportarlo indietro nelle migliori condizioni possibili.
Egli conosce bene il deserto, sa come muoversi lungo le sue piste ed ha già nella mente l'itinerario da seguire.
Nonostante le tipiche vicissitudini di un ripiegamento, gli attacchi aerei e di mezzi corazzati inglesi, i rifornimenti di fortuna ed i combattimenti di retroguardia, alle 12 del 6 novembre, dopo tre giorni e mezzo di marcia, il XXXI Guastatori raggiunge Marsa Matruh, sulla via litoranea, ormai fuori dalla zona occupata dal nemico.
Il giorno 20 il Maggiore Sillavengo compila la relazione ufficiale sulle ultime vicende del reparto. Poi, per le gravi condizioni di salute in cui versa, nonostante le sue vibrate proteste, viene rimpatriato su nave ospedale.
Per l'azione di comando da lui svolta e per il risultato conseguito nel portare il battaglione fuori dall'accerchiamento, il Maggiore Sillavengo verrà decorato di Medaglia d'Argento al Valore Militare. 
La guerra, però, non è ancora finita ed i Guastatori, bruciati sul fronte russo e su quello africano, sono sempre necessari e richiesti.
Dopo alcuni mesi di convalescenza, il 20 maggio 1943 il Maggiore Sillavengo è di nuovo al comando del rinato XXXI Battaglione Guastatori, questa volta Alpino, ricostituito ad Asiago con i reduci del XXX di Russia, del suo XXXI d'Africa, e con un migliaio di reclute, tutti volontari provenienti dalla scuola Guastatori.
Per tutto il mese di agosto il battaglione si addestra nella zona degli Altipiani e dei Sette Comuni, ove lo coglie l'infausta data dell'8 di settembre, certo il giorno più buio e terrificante della recente storia d'Italia.
Per qualche giorno il battaglione rimane unito e compatto, agli ordini dei propri ufficiali. Poi viene deciso lo scioglimento del reparto, con libertà d'azione per ciascuno dei componenti. Ed i Guastatori si disperdono via via, ciascuno nella direzione di casa.
E' la fine del XXXI. 
(b) 9 Settembre 1943 - 8 Maggio 1945. 
Anche il Maggiore Sillavengo, travolto da eventi che sfuggono a qualsiasi controllo, riesce a raggiungere fortunosamente la "casa vecchia", a Nerviano. E vi rimane qualche tempo in attesa, come tutti gli Italiani di allora, che la situazione si chiarisca e che si possa decidere il da farsi.
Viene sollecitato da più parti, sia a rientrare in servizio nel costituendo Esercito della Repubblica Sociale Italiana, nel frattempo proclamata da Mussolini e schierata con la Germania, sia ad aderire ai primi movimenti di resistenza contro fascisti e tedeschi, che stanno prendendo piede tra la popolazione.
E decide per la seconda soluzione, per cui, alla fine del gennaio 1944, entra a far parte della 106^ Brigata "Garibaldi", che ha il compito di condurre azioni di sabotaggio e di disturbo nelle retrovie. 
Dopo averla organizzata, il 30 giugno conduce la prima di tali azioni: la sottrazione dallo stabilimento Fiocchi, di Lecco, controllato dai Tedeschi, di 15 mitra, 8 pistole e qualche migliaio di cartucce.
Il risultato ottenuto consente di armare gli uomini del distaccamento di Nerviano della 106^ Brigata "Garibaldi".


Ma la ruota della fortuna gira, e l'11 luglio la Guarda Nazionale Repubblicana (G.N.R.) lo arresta, ad Arona, e lo manda a Novara per l'interrogatorio. Sillavengo tenta la fuga ma un milite della scorta se ne accorge e lo colpisce al ginocchio, con il calcio del moschetto.
Un altro giovane militare, un ragazzo vestito da paracadutista, gli urla: "...mio fratello era del XII Battaglione "Nembo", ed è stato ucciso ad Anzio! Tu prendi questo!" e gli assesta un colpo violentissimo alla tempia sinistra.
Poi lo consegnano alle SS tedesche, che lo rinchiudono nelle Carceri Nuove di Torino.
Si salverà solo rivelando la propria identità di ufficiale superiore del Regio Esercito in  Africa Settentrionale, decorato personalmente dal Feldmaresciallo Rommel.
I tedeschi si accertano, constatano la verità delle dichiarazioni... e lo rilasciano, il 16 agosto. Ammonendolo però a non farsi ricatturare dalla G.N.R.. Potrebbe finire molto peggio.
I restanti mesi del 1944 passano in un continuo spostarsi da un rifugio all'altro. Il 31 dicembre la G.N.R. lo arresta di nuovo alla "casa vecchia". Ed è il carcere di San Vittore, a Milano, ove rimarrà sino al 15 febbraio 1945. Ne uscirà per il rotto della cuffia, in virtù di una banale compiacente disattenzione burocratica dell'autorità di polizia.
Alla fine di marzo accetta l'incarico di Capo di Stato Maggiore del Comando Regionale Lombardo del Corpo Volontari della Libertà ed in tale posizione vive le giornate dell'insurrezione del 25 aprile, con la quale si conclude la vita militare attiva di Paolo Caccia Dominioni.
Per la partecipazione ai mesi della Resistenza gli verrà concessa la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. 
b Le opere:  
(1) il recupero delle salme dei Caduti: 
Dopo la fine della guerra Paolo Caccia Dominioni rimane per qualche tempo a “casa vecchia”, sino a quando il suo socio dello studio di ingegneria del Cairo lo chiama laggiù, per ricominciare. Lui accetta e, nel luglio del 1947 è di nuovo in Egitto.
Due anni dopo lo convoca il Console d'Italia al Cairo, Alfredo Nuccio, suo antico commilitone nella 1^ G.M., per dirgli che era giunto il momento di pensare seriamente alla sistemazione dei Caduti Italiani in Egitto, le cui salme, in gran parte, erano ancora disperse tra le sabbie. 
Sino ad allora, nelle vicinanze di el Alamein, su iniziativa degli Inglesi, era stato creato un cimitero, ad opera di 47 prigionieri di guerra italiani, tra cui due Sottufficiali, il Sergente Maggiore Pellicciotta, bolognese ed il Sergente Pietrangeli, senese, che dal 1943 all'agosto del 1945 avevano lavorato volontariamente, con il massimo impegno, nell'opera di raccolta e recupero delle salme semisepolte od ancora giacenti in superficie sul terreno. Avevano perso tre dei loro sui campi minati ancora attivi ed erano riusciti a riunire quasi 5.000 Caduti, tra Italiani e Tedeschi, su di un'ampia superficie di terreno, sotto la Quota 33 di Alamein. Ma il deserto era ancora pieno di Caduti. 
Ed il Console aveva concluso: "adesso è ora di metterci mano. Tu hai combattuto in quel deserto con il tuo Battaglione, molte mine le hai messe tu e conosci il deserto ed il campo di battaglia come le tue tasche. Quindi tocca a te andare a vedere cosa è successo dei nostri morti. E' pericoloso, lo so. Ogni giorno su quei campi minati ci muore qualcuno.
Ma questo non deve preoccuparti: di mine sei un esperto e, se ci pensi bene, hai già vissuto 53 anni, sei scampato a 3 guerre, non sei sposato e non hai figli: anche se ci rimani, il danno non sarà poi tanto grande. Quindi vai sul posto, vedi come stanno le cose e torna a riferire. Poi vedremo cosa fare".
E gli aveva dato un permesso di circolazione provvisorio per le zone costiere. 
Con tale viatico Sillavengo raggiunge Alessandria da dove, il primo luglio, con una vecchia corriera diretta a Marsa Matruh, inizia il viaggio verso el Alamein.
Chi mai può dire cosa si muovesse nell'animo suo in quel giorno, quale emozioni lo agitassero!
Certo è che quel viaggio sarebbe stato la prima di una serie di ben 355 ricognizioni nel deserto e l'inizio di una nuova, inimmaginabile ed irripetibile fase della sua vita.
Quando scende dalla corriera, davanti a Q. 33, lo spettacolo che gli si para davanti è solenne, evocativo, maestoso: "un uomo solo, tra cinquemila croci, nel deserto".
Lui conosce bene la Q. 33 di Tell el Eisa.


Ricorda che era stata raggiunta dall'Armata italo-tedesca, e conquistata dai “marò” del “SAN MARCO”, alla fine della corsa da Tobruk ad el Alamein, e che vi si era schierato l'8° Rgpt. Art. Pes..
Ricorda anche il contrattacco australiano all'alba del 10 luglio 1942, che aveva travolto la linea degli avamposti italiani ed era arrivato sulla quota, catturando le artiglierie.
Subito dopo era stata decisa la riconquista della posizione, affidata all'XI battaglione carri della Divisione "TRIESTE".
La compagnia destinata all'azione era stata la 3^, Capitano Vittorio Bulgarelli: 19 carri M13 ed M14 si erano lanciati allo scoperto, ed erano stati presi sotto tiro dai 57 controcarro degli Australiani. Qualche carro era stato colpito subito, gli altri lo erano stati via via, poco dopo. Solo uno, illeso, aveva continuato la corsa verso la quota, l'aveva raggiunta e sorpassata, sempre sparando, ed era scomparso alla vista.
La sua targa era RE 3700.
Ed ora, dopo sei anni, il Maggiore Sillavengo ha quello stesso carro davanti agli occhi, sulle pendici est della quota, nel punto dove era arrivato nella sua folle ed eroica corsa, quando un proiettile anticarro lo aveva centrato. Il relitto arrugginito dello scafo è sul lato nord della strada, verso il mare; la torretta, divelta dallo scoppio della granata, giace invece, capovolta, dall'altra parte della rotabile, con il suo pezzo e con le sue mitragliatrici binate, tra le mine ancora attive del vecchio campo minato australiano. 
Più ad est si estende il cimitero: 20 riquadri o campi, folti di croci. Gli Italiani sono circa la metà, disposti in 8 campi.


Molti nomi sono chiari e leggibili; su molte croci vi sono solo alcune iniziali, seguite da un nome di battesimo. Su altre ancora "italiano sconosciuto". Infine una serie di indicazioni incomprensibili: HIRT, BSCRP, FOLBERECC, BAROASA: chi sono?
Alla fine della ricognizione in Sillavengo nasce, muta ma gigantesca, una domanda: "che cosa si può fare per i nostri compagni caduti? Che cosa si potrà rispondere alle vedove, ai genitori, agli orfani?".
La risposta in lui è già sorta, spontanea, mossa dalla spiritualità, dalla fede, dall'amore verso il prossimo che lo animano. 


Rientrato al Cairo stenderà la propria relazione descrivendo lo stato delle cose e la concluderà tracciando il programma di lavoro che lo impegnerà per anni.
"Urge salvare le tombe dalla furia delle acque. Iniziare la raccolta delle salme in tutto il campo di battaglia, ove giacciono ancora, a migliaia. Correggere i nomi sbagliati; identificare, fin dove possibile, gli ignoti. Concentrare a Q. 33 tutti i Caduti oggi sepolti in 14 cimiteri diversi tra il Canale di Suez e la frontiera Libica.
Costruire a Q. 33 una base Italiana ed un'opera appropriata, che metta in evidenza il sacrificio Italiano, tanto ignorato da tutti. Ottenere, dall'Italia, un censimento di tutti i Caduti quaggiù, per facilitare le ricerche. Stabilire subito la custodia dei cimiteri con guardiani responsabili, che impediscano le profanazioni occasionali o commesse per fanatismo xenofobo e anticristiano".
In stretta sintesi, tutti i passi successivi di 14 anni di impegno e dedizione. 
E comincia il lavoro di organizzazione prima e di ricerca poi.
Le difficoltà sono subito tante: non ci sono fondi, che Roma invierà "appena possibile". Non esistono elenchi aggiornati dei Caduti, perchè persi nella ritirata e nella resa successiva. Ma Sillavengo non si ferma: scrive ai veterani del XXXI, all'Associazione Famiglie Caduti in Guerra, ai giornali nazionali ed arrivano aiuti finanziari, elenchi e notizie sui Caduti, informazioni, schizzi topografici e suggerimenti dai veterani e dai Cappellani militari.
Sistema la Q. 33 come base logistica ed ufficio e costruisce una serie di edifici di raccordo tra il cimitero e la litoranea: alcuni depositi, un piccolo museo, una base tedesca ed una "corte d'onore", ad arcate, in cui costruisce un basamento di pietra a forma di scafo di carro M13 e vi installa sopra la torretta e la targa del carro RE 3700.
Poi si procura una jeep, impianta un "registro delle ricognizioni" su cui annoterà, per ognuna, data di effettuazione, partecipanti, itinerari, chilometri percorsi, località ispezionate, numero e nazionalità delle salme recuperate.
Infine lascia l'attività professionale, si installa nella modesta base di Q. 33 ed inizia la ricerca, accompagnato da due guide beduine.
Tra il settembre del 49 ed il gennaio del 50 recupera 62 salme, tra italiane e tedesche. 


Nel giugno del 50, a Roma per la cerimonia di consegna delle decorazioni al V.M. concesse al suo battaglione, il Maggiore Sillavengo ne incontra i reduci. Tra essi il guastatore Chiodini, veterano di Tobruk e M.A. al V.M., si offre di raggiungerlo a Q. 33 e di rimanervi sino alla fine della missione, "per dare una mano!". Accettato!
Il 4 ottobre il diario di Sillavengo registra:
"E' arrivato Chiodini ed ha portato una seconda jeep. Con questo arrivo si può dire che il XXXI è ritornato sul campo di battaglia, unico tra le centinaia di unità italiane... Da oggi, qui nel deserto, riappaiono due cappelli alpini e il gagliardetto bianco-rosso", l'insegna del battaglione in guerra. 
E il lavoro riprende con lena rinnovata.


Il 1950 è l'anno del settore della "FOLGORE" e quello in cui la Bandiera della Patria riappare a Q. 33.
Il 18 settembre gli Allievi dell'Accademia Navale, in crociera addestrativa sull'incocriatore “MONTECUCCOLI”, alla fonda ad Alessandria, giungono ad el Alamein ed alzano, sull'albero di Q. 33, la bandiera della Marina Militare. Alla sagola è l'Allievo Amilcare ZANETTI, figlio del Ten. Col. Zanetti, già C.te del 66° rgt. f. della Divisione “TRIESTE”, caduto ad el Alamein ed ivi sepolto.  
Nel 1951 è la volta dei settori della "TRENTO" e della "TRIESTE"; il 1952 è dedicato alla ricerca ed al recupero dei cimiteri tra Alamein ed il confine con la Libia ed in quell'anno le jeeps dei guastatori saltano ben due volte sui campi minati.

Nel 1953 viene ritrovato il cimitero della Brigata Greca.
La ricognizione 220 segna una svolta inattesa nella vita del Maggiore Sillavengo. La ricognizione ha un ospite: Elena Sciolette e nel diario si legge: "L'ospite è una giovane turista, bruna e seria, dagli occhi chiarissimi.... Un'ospite importante e di qualche ingombro, per gli uomini del deserto".
Il diario non dice, e non poteva, che di lì a cinque anni quell'ospite di "qualche ingombro" sarebbe diventata sua moglie. 


Alla data del 10 febbraio 1954 sul Diario è riportato:
"Riassunto dell'attività svolta dall'1.7.1948 ad oggi:
a. riordino e manutenzione del cimitero di Q. 33, con scrittura ed applicazione di circa 6.000 targhe alle croci, lapidi commemorative ed emblemi araldici delle unità nel cimitero e nel cortile d'onore;
b. corrispondenza con oltre 1.000 enti e famiglie;
c. costruzione della base di Q. 33 e suo ampliamento, del cortile d'onore (con due monumenti, il museo, la base tedesca, la moschea ed il cimitero per gli Ascari libici ed i servizi), di due ossari provvisori tedesco ed italiano, di due autorimesse e dell'alloggio dei guardiani;
d. 241 ricognizioni con un totale di circa 220.000 km e recupero delle seguenti salme:
• dal campo di battaglia:
Italiani 490, Tedeschi 465, Alleati 208, Ignoti di Nazione ignota 63. Totale: 1.226;
• dai cimiteri secondari in linea o retrovie: Italiani 893, Tedeschi 975, Libici 205. Totale: 2.073;
• totale generale: 3.299.
Ogni commento è superfluo. 



(2) il Sacrario di el Alamein: 
In quell'anno vi è un'altra grande notivà: il cimitero di Q. 33, troppo vulnerabile al trascorrere del tempo, deve essere sostituito con un grande Sacrario.
All'ingegner Sillavengo è affidato il compito di progettare e di eseguire la nuova opera.
Il 2 dicembre 1955 il Maggiore Sillavengo è promosso Ten. Colonnello e l'anno dopo, portata a termine la progettazione, inizia i lavori di costruzione del Sacrario.
Nel 1957, lavori durante, il Ten. Col. Sillavengo, richiamato in servizio "a domanda e senza assegni", è inviato a Murchison, Australia, per realizzarvi il Sacrario che oggi custodisce le salme dei soldati Italiani deceduti laggiù, in prigionia.
Ad Alamein i lavori continuano, unitamente alle ricerche, condotte dal solo Chiodini. L'opera sarà completata nel 1958 e vi saranno traslate le 5.364 salme di Italiani riesumate dal cimitero di Q. 33, che torna così ad essere un'anonima parte di deserto.
Ricerca delle salme, opere di finitura e messa a punto del Nuovo Sacrario continueranno, sia pure con ritmi discontinui, per altri 4 anni, sino a tutto il 1962. 
Le statistiche ufficiali affermano che nella campagna d'Africa Settentrionale, in terra egiziana, sono caduti 5.920 soldati italiani. Le salme reperite sono state 4.825; delle quali 11 successivamente rimpatriate e 4.814 tumulate nel sacrario di Alamein. Di esse 2.465 hanno un nome, 2.349 rimarranno ignote per sempre, note solo a Dio.
L'impegno del Comandante del XXXI, del guastatore Chiodini e dei loro collaboratori beduini si sintetizza in 360.000 km di ricognizione nel deserto, di cui più di 100.000 in zone minate, con feriti e caduti; in oltre 1.500 salme recuperate dai campi di battaglia e in circa 1.000 Caduti senza nome identificati.
Tanta dedizione non è bastata per portare a compimento la grande opera pietosa: le spoglie di 1.095 soldati non sono state ritrovate e rimarranno "disperse" in eterno.
Anch'essi parte dell'eroica "legione d'anime rimasta a presidio del deserto". 
In chiusura il registro delle ricognizioni riporta: "Anno 1962. Smobilitazione completa del XXXI a Q. 33. Rimpatrio di Renato Chiodini: Sillavengo è venuto a prelevarlo".
La totale dedizione profusa nei lunghi anni della Missione nel Deserto si conclude con un gesto mistico, espressione della profonda spiritualità dell'uomo che lo compie: una preghiera, che l'antico Comandante del XXXI Guastatori d'Africa compone ed incide sulle pareti del Sacrario, a suggellare l'essenza della grande opera d'amore e di pietà che egli ha compiuto ed a chiedere, per i "suoi" Caduti, la benedizione di Dio.
(3) lo scrittore e l'artista: 
prima di concludere la missione di el Alamein, Paolo Caccia Dominioni, nel 1958, sposa Elena Sciolette, e nella sua vita va via via attenuandosi l'impronta epica, che sino a qui ha predominato, mentre cominciano ad affacciarsi i sentimenti, le gioie, gli affanni e gli acciacchi della gente comune. E lui li vive con la grande partecipazione e dedizione che sono proprie del suo carattere.
Dal loro matrimonio nascono due figlie, Bianca ed Anna, che cresceranno in quell'ambiente incantevole, creato poco a poco da una vita tanto vissuta, e che le affascina. Bianca dice: "era un papà straordinario e noi lo adoravamo. Non riuscivamo a staccarci da lui."
Creata la famiglia, Paolo Caccia Dominioni ricomincia, con lena rinnovata, la vita professionale. 
Di questi anni è quasi tutta la sua produzione letteraria principale: "Takfir"; "Alamein"; "1915-1919"; "Ascari K7"; "Le trecento ore a nord di Qattara"; "Alpino alla macchia"; "La Frana del san Matteo".
Molti sono anche i progetti, tutti eseguiti, di opere monumentali: l'ala del paracadutista, nella piazza dei Caduti a Viterbo e nella caserma Vannucci, a Livorno; il Sacrario di Tripoli; la Cappella della Folgore a Castro Marina; il monumento all'Artigliere da montagna ad Udine, quello ad Amedeo di Savoia, duca d'Aosta e quello agli “infoibati”, a Gorizia; la cappella degli alpini del btg. “Morbegno” sul dosso del Ronco, a Morbegno.
Nell'anno 1983 il Commissario Generale Onoranze Caduti in Guerra gli chiede di progettare una meridiana da collocare su Q.33 e gli propone di andare a metterla in sito personalmente.
Paolo Caccia Dominioni ha oramai 87 anni e qualche problema di salute ne limita molto l'attività. Ma niente potrebbe impedirgli di tornare alla sua quota, per cui progetta la meridiana e, accompagnato affettuosamente dalla moglie, va di persona a collocarla sul Sacrario. 
Nel trascorrere degli anni si manterrà sempre nella realtà mutevole in cui lo porta il girare della Ruota del Tempo.
Ovunque ha vissuto, intorno a lui è stato un continuo avvicendarsi di reduci e veterani, suoi compagni d'arme, che ne spronavano il ricordo e la fantasia perché la sua matita magica fissasse sulla carta, una volta di più, momenti di quel passato che era tutta la loro vita.
Nè mancavano gli amici, a loro volta personaggi ricchi della tragica esperienza di guerra, per i quali la matita di Paolo sintetizzava mirabilmente quell'esperienza ed il domani che l'aveva seguita.
Ne valga solo un esempio, quello di Peppino Prisco, avvocato milanese, già S.Tenente di Complemento nel Battaglione Alpini "L'Aquila", Divisione "Julia", 108^ Compagnia Alpini.
Dalla campagna di Russia, e dal quadrivio di Selenyi Jar, "L'Aquila" tornò in Italia, da dove era partito forte di 51 Ufficiali, 52 Sottufficiali e 1.572 graduati ed alpini, in 3 Ufficiali e 159 alpini. Il più anziano di quegli Ufficiali, il S. Tenente Giuseppe Prisco, comandava il Battaglione.
Trent'anni dopo suo figlio era S. Tenente di complemento nel battaglione "L'Aquila" e Paolo Caccia Dominioni ha sintetizzato questa continuità alpina in questo disegno: il veterano, in grigioverde, decorato di Medaglia d'Argento al Valor Militare, ed il “pivello”, sciarpa e sciabola. 
Non erano solo i veterani a richiedere l'opera di Paolo Caccia Dominioni: c'erano anche quelli delle generazioni più giovani, quelli che in guerra non c'erano stati per ragioni di anagrafe.
Moltissimi, Ufficiali dell'Esercito del dopoguerra colsero l'opportunità di chiedergli un disegno, uno schizzo, una rappresentazione dei Reparti e delle Unità che comandavano, tale da sintetizzarne la storia ed i fasti e, soprattutto, da stabilirne un raccordo sicuro tra il presente post-bellico ed un passato troppe volte travolto nel solco della tragedia dell'armistizio e della guerra civile che ne era seguita.
Ad ogni richiesta la risposta del Colonnello Sillavengo era sempre positiva senza alcuna esitazione nè riserva, purchè in essa vi fosse lo scopo di onorare chi aveva sacrificato la vita in armi, con sincerità ed animo puro, in nome del dovere e dell'onore militare.
Un giorno andarono da lui alcuni reduci della Divisione Alpina "Monterosa", dell'Esercito della Repubblica Sociale Italiana, e gli chiesero qualche suggerimento per dare veste di Sacrario dei Caduti della Divisione ad un piccolo oratorio, San Rocco, situato nei pressi di Palleroso, un paesino della Garfagnana, sulla ex "linea Gotica", "teatro di aspri combattimenti fra le Armate Alleate e le Truppe Italiane che avevano rifiutato la capitolazione e contrastavano loro il passo".
Ancora una volta la risposta del vecchio soldato, che pure aveva militato dalla parte opposta, fu "si".
L'oratorio fu sistemato, le lapidi, con i nomi dei Caduti sapientemente composti, furono applicate alle pareti.
Sotto di esse c'è una scritta:
            "Qui sono murate la gloria e le pietre di Lepanto, 1571; Assietta, 1746; Goito, 1848; San Martino, 1859; Bezzecca, 1866; Adua, 1896; Tripoli, 1911; Trincea delle Frasche, 1915; Gorizia, 1916; Monte Santo e Monte Grappa, 1917; Piave e Vittorio Veneto, 1918; Mai Ceu, 1936; Tobruk ed Alamein, 1942; Don e Tunisia, 1943; Fronti Italiani, 1944-1945".
Tanto equilibrio storico, tanta capacità di superare il momento delle passioni e dell'ira e di vedere il passato nel suo insieme, comprendendone gli indistruttibili legami con il presente, sono un'altra ed ancora più preziosa parte del retaggio che Paolo Caccia Dominioni ci ha lasciato. 
Nell'agosto del 1996, su "il Giornale" uscì un'articolo titolato: "Paolo Caccia Dominioni, l'eroe dimenticato".
Titolo sbagliato.


L'Esercito Italiano lo ha ricordato pubblicando, nel 1988, la prima edizione del volume "Un Uomo", che ne illustra la vita e le opere, seguita da una 2^ edizione, edita nella ricorrenza del centennale della nascita.
Altre iniziative sono state realizzate.
L'ANGET, su decisione del suo Presidente Nazionale, il Gen. C.A. Vittorio Bernard, ha realizzato un busto in bronzo del Col. Sillavengo, una copia del quale è stata collocata ad Alamein, unitamente alla targa marmorea che, all'ingresso del Sacrario, già ne ricorda la figura e l'opera. Altre copie sono alla Scuola del Genio, all'Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio, alla sala dei Guastatori del 3° rgt. gua. in Udine, al centro d'addestramento del Genio Alpino in Salorno, BZ, a lui intitolato. 
Nell'anno 2002, in occasione della cerimonia commemorativa del 60° anniversario delle battaglie di el Alamein, il Presidente della Repubblica, su proposta del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Ten. Gen. Gianfranco Ottogalli, ha concesso al Ten. Col. Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo, la Medaglia d'Oro al Merito dell'Esercito “alla memoria”.
Con la seguente motivazione: 

MEDAGLIA D'ORO AL VALORE DELL'ESERCITO
Paolo CACCIA DOMINONI di SILLAVENGO
da Nerviano (MILANO)
Tenente Colonnello (cpl.) del Genio Alpino (alla memoria) 
     Già Comandante del 31° Battaglione Guastatori del Genio nelle battaglie di el Alamein, assuntasi volontariamente, dopo la fine della 2^ Guerra Mondiale, l'alta ed ardua missione di ricerca delle salme dei Caduti di ogni Nazione, disperse tra le sabbie del deserto egiziano, la svolse per oltre 12 anni, incurante dei disagi, dei sacrifici e dei rischi che essa continuamente comportava.
     Con coraggio, sprezzo del pericolo, cosciente ed elevata preparazione tecnico-militare, condusse personalmente le ricerche tra i campi minati ancora attivi, venendo coinvolto per ben due volte nell'esplosione delle mine, sulle quali un suo gregario fu seriamente ferito e ben sei suoi collaboratori beduini rimasero uccisi.
     Per opera sua oltre 1.500 Salme Italiane disperse nel deserto, unitamente a più di 300 di altra nazionalità, sono state ritrovate.
     Altre 1.000, rimaste senza nome, sono state identificate e restituite, con le prime, al ricordo, alla pietà ed all'affetto dei loro cari..
     4.814 Caduti riposano oggi nel Sacrario Militare Italiano di el Alamein, da lui progettato e costruito, a tramandarne le gesta ed il ricordo alle generazioni che seguiranno.
     Ingegnere, Architetto, Scrittore ed Artista, più volte decorato al Valore Militare, ha lasciato mirabile traccia di sé in ogni sua opera, dalle quali è derivato grande onore all'Esercito Italiano, sommo prestigio al nome della Patria e profondo conforto al dolore della Comunità Nazionale duramente provata dai lutti della guerra. 
el Alamein,
Sahara Occidentale Egiziano, 1942- 1962 

Non è stato dimenticato!   

Il Colonnello Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo si è spento a Roma, Policlinico Militare del Celio, il 12 agosto 1992, a 96 anni, al termine di una lunga vita di servizio.
Tutti coloro che hanno vissuto con Lui in guerra ed in pace, coloro che lo hanno avvicinato, tutti quelli che lo hanno conosciuto, hanno sentito la forza dell'esempio ed il valore dell'insegnamento che emanavano dalla sua personalità, come un fluido. E tutti ne sono rimasti colpiti, divenendone, a loro volta, partecipi. 
Nessuno mai lo potrà dimenticare.

                                              

                         

                                                             foto di Diego Tonelli

Le opere da lui compiute in ogni campo rimangono il volano con cui il Suo retaggio deve essere trasmesso alle nuove generazioni, che in quelle precedenti cercano sempre, a volte esigendoli, i valori in cui credere.
Uomini così non muoiono mai. Sono indistruttibili ed eterni, nell'insegnamento che trasmettono e nell'esempio che lasciano.
Il Colonnello Sillavengo non è scomparso. Come diciamo tra gli Alpini, "è andato avanti". 
3.    CONCLUSIONI. 
Alamein, oggi.                                  
Chi oggi si reca in pellegrinaggio ad el Alamein non trova più traccia di quanto accaduto 60 anni or sono.              
Quattro Sacrari militari, Greco, del Commonwealth, Tedesco ed Italiano, accanto alla fatidica q. 33, ed un piccolo museo della battaglia, voluto e gestito dal Governo egiziano, tengono vivo il ricordo, la pietà, il rispetto.
Il deserto è cambiato, specie nella fascia a cavaliere della litoranea, oggi autostrada a quattro piste, dove le case fatte con blocchi di tufo hanno sostituito le antiche tende beduine ed hanno dato luogo ad un'interminabile schiera di villaggi turistici, susseguentisi lungo la riva del mare in una processione ininterrotta che, da Alessandria, sta raggiungendo Marsa Matruh.
Qualcuno, circa vent'anni or sono, scoprì che tutte le modeste alture della zona sono costituite da cappellacci di tufo, ottimo materiale da costruzione.
Così la maggior parte delle quote che hanno contrassegnato lo sviluppo della battaglia sono scomparse ed al loro posto vi sono altrettante cave.
Questo lungo la fascia costiera. 
Andando invece a sud, verso la Depressione, si incontra un ambiente rimasto più intatto.
Gran parte delle vecchie piste di guerra, antiche carovaniere, sono state trasformate in piste rotabili, ad uso dei pesanti autocarri delle ditte petrolifere che hanno violentato il deserto in ogni sua parte, per scavarvi innumerevoli pozzi di petrolio.
Oggi dalla stazione di Alamein si può scendere verso sud, con un permesso di polizia, lungo la “pista Rommel”, dalla quale si accede alla Depressione attraverso il Passo del Cammello.
L'uso delle altre piste, la “Wiskey” e la “Chianti”, che raggiungono Qaret el Himeimat, è possibile solo avendo con sé, oltre il permesso di polizia, una guida autorizzata e pratica dei luoghi.
Tante limitazioni per via dei campi minati, ancora micidialmente attivi, sui quali per anni, dopo la battaglia, i beduini hanno perso molti dei loro, intenti alla raccolta ed allo sgombero dei relitti di ogni genere che la guerra aveva lasciato dietro di sé.
Lì si è nel vero deserto: senza un cespuglio, un arbusto, nulla. Solo sabbia, a perdita d'occhio.
Difficile trovarvi tracce, di qualsiasi genere. Difficile immaginare come vi si potesse vivere, e combattere. 
Ogni anno, nell'anniversario della battaglia, alla fine di ottobre, viene svolta una grande cerimonia internazionale, la cui organizzazione compete a turno all'Italia, alla Germania ed alla Gran Bretagna e che dà vita ad un grande momento di incontro e di commozione.
I Veterani, anche se sempre meno numerosi per ragioni anagrafiche, tornano ogni anno, per portare un fiore ed un saluto ai commilitoni caduti e là sepolti.
Colpisce vedere uomini di oltre 80 anni che si ritrovano, fraternizzano, si abbracciano, indossano con estrema fierezza i copricapo e le decorazioni di allora e, nonostante l'evidente peso dell'età, hanno ancora atteggiamento deciso, fiero, trasmettono entusiasmo, fede, amor di Patria. Quale che sia la loro nazionalità.
Si commuovono con facilità allorché i discorsi ufficiali rievocano le loro gesta e quelle dei loro camerati. A molti le lagrime rigano il viso.
Ma chi, chi non piangerebbe, di commozione e di emozione, avendo partecipato a tanto sacrificio!?
Vedendoli, vengono spontanee alcune domande:
“perché tutto questo insieme di eventi, di sacrifici, di sensazioni e di sentimenti non viene fatto conoscere alle generazioni più giovani? Perché tanto esempio non viene loro ricordato, pur lasciando a loro, ai giovani, ogni possibilità di meditare, riflettere su tutto questo? Perché, infine, non dare loro lo spunto per sentirsi orgogliosi dei propri padri?”. 

Questo, almeno, la Patria dovrebbe ai suoi Soldati e ai suoi Caduti di allora. 
Io vi do un suggerimento.
Proponetevi, nella vostra vita, di recarvi una volta ad el Alamein. E se mai ve ne sarà l'occasione andatevi con i vostri figli.
I depositari, i titolari del ricordo di tanta tragedia, di tanto valore, di tanto sacrificio siete voi e le generazioni che vi seguiranno, ricordatevelo! 
Andate, se potete, a vedere il deserto. 
Visitate il Sacrario con gli occhi della memoria.
Ascoltate ciò che esso vi dirà con le sue forme architettoniche, con i cimeli che custodisce, con le lapidi che vi tengono vivo il ricordo di ciò che avvenne in quegli anni lontani, i nomi dei reparti, delle unità.
Nell'interno della torre, ascoltate le voci silenti di coloro che vi riposano. 
Traetene poi le conclusioni che vorrete, da soli. 



Se, alla fine, qualche cosa vi sarà rimasto nel cuore, quei Soldati, quei nostri fratelli non saranno caduti invano.

      Gen. Gualtiero STEFANON

 

            

 

 

 

 
16 Agosto 2008 / v06
 

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