Nuovi capitoli in "Le mille e una favola" e "Alla ricerca dei relitti perduti"

DOCUMENTI E TESTIMONIANZE

n queste pagine sono raccolti e si raccoglieranno documenti e testimonianze, sia di attualità che storici, relativi alle battaglie che si combatterono a nord di Qattara; sia di memorie, con i racconti degli uomini che vi parteciparono; sia polemici, con ricerca e analisi di come vennero presentati i fatti; sia di carattere documentale, con bibliografie e quant'altro si ritiene possa essere di interesse per il lettore. Queste pagine verranno aggiornate e aumentate man mano che ve ne sarà l'occasione e il tempo, e naturalmente la collaborazione alla loro compilazione è aperta a tutti i lettori.

                                                             

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE

 

 

 

 

FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

 

 

 

Corso di Laurea Specialistica in Scienze Politiche

 

 

 

 

DA EL ALAMEIN A TAKROUNA

Le tappe del ripiegamento italo – tedesco

(Novembre 1942 – Maggio 1943)

 

 

 

 

 

 

 

Laureando                                                                     Relatore

 

Fabio Sgambati                                                             Prof. Raoul Pupo

 

Esperto Esterno                                                             Correlatore                    

 

Mauro Depetroni                                                           Prof. Georg Meyr

 

 

 

 

Anno Accademico 2006 – 2007

 

 

INDICE

 

 

PREFAZIONE                                                                     pag. 1

 

Capitolo I

 

L’ESERCITO ITALIANO

ALLA VIGILIA DEL CONFLITTO MONDIALE

 

       La riforma Pariani                                                          pag. 3

       I comandi militari e la classe ufficiale                              pag. 7

       I mezzi corazzati e gli armamenti                                     pag. 11

 

Capitolo II

 

OPERAZIONI IN AFRICA SETTENTRIONALE

SINO ALLA BATTAGLIA DI EL ALAMEIN

 

       L’avanzata sino a Sidi el Barrani                                     pag. 27

       La controffensiva britannica                                           pag. 32

       L’arrivo dei rinforzi germanici                                        pag. 36

       L’operazione Crusader                                                  pag. 39

       L’ultima avanzata italo tedesca                              pag. 42

       Le tre battaglie di el Alamein                                           pag. 50

      

 

 

 

Capitolo III

 

LA PERDITA DELLA LIBIA E

L’INGRESSO IN TUNISIA

 

       La perdita della Tripolitania                                            pag. 57

       Il ripiegamento sulla linea del Mareth                     pag. 71

      

Capitolo IV

 

OPERAZIONI MILITARI IN TUNISIA

 

            Operazioni “Frűhlingwind” e ”Morgenluft”                     pag. 77

                        Azione Capri                                                                 pag. 81

                   La battaglia del Mareth                                                   pag. 86

                   Ripiegamento sulla linea degli Chotts                     pag. 96

                   La battaglia degli Chotts                                                 pag. 101

                   Ripiegamento sulla linea di Enfidaville                             pag. 106

                  

Capitolo V

 

TAKROUNA

 

         La linea di Enfidaville                                                     pag. 112

                   La situazione politico strategica                                      pag. 118

                   Il caposaldo di Takrouna                                               pag. 126

                   La riconquista di Takrouna                                            pag. 133

                   La fine della guerra d’Africa                                           pag. 146

 

 

         CONCLUSIONI                                                                     pag. 155

 

Allegati

 

·  Relazione di Messe riguardante la battaglia di Mareth             pag. 164

·  Relazione di Messe riguardante la battaglia di Enfidaville        pag. 185

·  Tabella comparativa dei gradi militari                                     pag. 197

·  Piccolo dizionario arabo                                                       pag. 198

 

 

         BIBLIOGRAFIA                                                                    pag. 199

 

        

 

        

 

                           

 

In ricordo del Sottotenente Cesare Andreolli, del Generale Rolando Giampaolo e di tutti coloro che combatterono sino all’ultimo respiro in terra d’Africa.

 

 

PREFAZIONE

 

 

Durante il secondo conflitto mondiale lo scenario bellico dell’Africa Settentrionale fu sicuramente uno dei più combattuti da entrambi gli schieramenti con sacrifico e valore. Le operazioni militari che per più di due anni devastarono il suolo africano, in particolare quello libico, costarono migliaia di caduti non solo agli appartenenti delle forze armate ma anche ai civili italiani che dal 1911 risiedevano nella ormai famigerata “quarta sponda”. L’Italia impegnò a fondo le proprie risorse economico militari per far pendere a proprio favore le sorti degli scontri, che avrebbero dovuto portare le armate dell’Asse sin sulle rive del Nilo ponendo così fine all’influenza britannica sull’ Egitto.

La bibliografia in merito a tali eventi è davvero ampia e molti storici, delle più svariate nazionalità, hanno affrontato con “taglio” diverso gli eventi, offrendo un’ottima panoramica capace di concedere al lettore una visione imparziale e critica di quella “parte” di conflitto. Risulta però ancora interessante riscoprire le memorie di chi in prima persona ha rischiato la propria vita nell’adempimento del proprio dovere, al fine di poter comprendere ancora una volta di più i drammatici eventi che hanno caratterizzato la storia italiana.  Il lavoro che mi accingo a presentare non è altro che uno studio frutto dell’analisi della memorialistica inedita[1] messami gentilmente a disposizione dall’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia sezione di Monza, di cui ringrazio il presidente Francesco Crippa, dalla signora Lucilla Andreolli( figlia del sottotenete Andreolli), dal signor Rolando Giampaolo( figlio del tenente Rolando Giampaolo) e dal Centro Regionale Studi di  Storia Militare Antica e Moderna di Trieste, senza i quali questo lavoro non sarebbe stato possibile. Per completezza si sono inoltre consultate le fonti telematiche dell’ Official History of New Zeland in the second world war 1939-45   Dall’analisi di queste fonti si è voluto approfondire in particolare modo gli scontri svoltasi a Mareth e nei pressi dell’altura di Takrouna, in Tunisia,  che la storiografia maggiore ha in qualche modo tralasciato viste la ormai già delineata situazione del conflitto in terra d’Africa, ma che comunque si caratterizzarono per l’alto spirito di sacrificio di chi ne prese parte.

L’africa settentrionale fu un teatro operativo particolare, sia per le difficilissime condizioni ambientali, ma anche perché più di una volta, l’esito degli scontri diedero allo schieramento italo – tedesco l’impressione di una marcia trionfale verso il delta del Nilo.

Prima d’iniziare l’analisi delle fonti, per far comprendere meglio gli episodi che potarono agli scontri di Takrouna andrò a descrivere sommariamente la situazione delle forze armate italiane all’inizio del conflitto e le operazioni militari compiute sul fronte nord-africano fino all’ingresso in Tunisia da parte di ciò che restava dell’armata italo tedesca in Africa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO I

L’ESERCITO ITALIANO ALLA VIGILIA DEL CONFLITTO MONDIALE

 

LA RIFORMA PARIANI

 

 

La seconda metà degli anni trenta vide l’Italia impegnata su due fronti, quello etiopico e quello spagnolo. Lo sforzo economico militare sia nella guerra contro lo stato del Negus che contro l’esercito repubblicano spagnolo risultò enorme sotto tutti i punti di vista. Nonostante tutto l’esito vittorioso conseguito in entrambi le imprese accrebbe la popolarità sia sul piano interno che su quello internazionale del  regime guidato da Benito Mussolini.

La reputazione guadagnata dal regime con la fondazione dell’Impero e con l’affermazione del governo franchista in Spagna produsse però un notevole indebolimento delle forze armate italiane, che in tempi brevi non avrebbero assolutamente potuto sostenere un ennesimo sforzo bellico a livello europeo.

Gli impegni sostenuti dall’Italia però contribuirono anche a modernizzare,  sviluppare e sperimentare nuove tecniche militari. Infatti proprio durante l’impegno del Corpo Truppe Volontarie in Spagna si sviluppò, almeno a livello teorico, il concetto di “Guerra di rapido corso”, consistente in un insieme di operazioni basate sul rapido movimento delle forze schierate, che andava così a contrapporsi alla “guerra di posizione” che aveva invece caratterizzato la prima guerra mondiale.

In Italia il totale abbandono della guerra di trincea però non avvenne mai, anche perché gli sforzi che si sarebbero dovuti produrre per una massiccia modernizzazione dell’esercito risultavano insostenibili per il paese.

Nonostante tutto una riforma venne avviata e affidata al Generale Pariani, Sottosegretario di Stato al Ministero della Guerra dal 1936 al 1939, che s’impegnò profusamente per avviare un mutamento del Regio Esercito, mirante alla sua modernizzazione.

Tale sforzo si concretizzò nella cosiddetta “Riforma Pariani” varata nel 1938, con la quale le divisioni ternarie furono sostituite con quelle binarie. La “vecchie” divisioni ternarie erano così chiamate perché improntate su tre reggimenti di fanteria e uno di artiglieria, quest’ultimi articolati a loro volta su quattro gruppi, mentre le “nuove” divisioni binarie erano organizzate su due reggimenti di fanteria e uno di artiglieria, articolato a sua volta in tre gruppi. Tutto questo si tradusse in un alleggerimento delle unità che sarebbero così risultate più agili e manovrabili[2].  Però se i comandi italiani da un lato potevano disporre di forze  veloci sul campo dall’atro essi si trovarono a dover manovrare con divisioni numericamente inferiori e quindi più deboli, con una conseguente minor capacità di ingaggio nei confronti del nemico.[3]

Ma questo aspetto passò in secondo piano visto che la riforma incontrò il forte consenso di molti ufficiali maggiori che videro nel nuovo assetto non una maggiore efficacia dell’esercito ma bensì una possibilità di fare carriera: infatti con l’aumento del numero di divisioni sarebbe aumentato anche quello dei generali di divisione, titolo ambito da molti e che conferiva un certo prestigio. Poco lungimirante infine si dimostrò anche il fronte politico che appoggiando la riforma si preoccupò solamente di poter contare, almeno nominalmente, su un maggior numero di divisioni che sarebbero servite ad accrescere il prestigio sul piano interno e internazionale dell’Italia.[4]

Non tutti però  sostennero a pieno la riforma Pariani, come si può leggere nel documento redatto in data primo novembre 1939 sulla situazione del Regio Esercito:

 

La trasformazione dell’esercito attualmente in corso(passaggio dall’ordinamento della divisione su 3 reggimenti fanteria e 4 gruppi artiglieria e quello su 2 reggimenti fanteria e 3 gruppi artiglieria) – per la quale il Capo di S.M. Generale ha espresso sempre parere decisamente contrario – infirma gravemente l’efficienza delle unità complicandone al massimo la mobilitazione;

le divisioni binarie sono, poi, molto leggere e dispongono di artiglierie da 75 e da 100 mentre le divisioni dei principali Stati moderni hanno calibri da 105 e 150[5]

 

Concentrandosi sui dati numerici possiamo affermare che le “nuove” divisioni binarie che si vennero a creare dopo la riforma Pariani potevano contare all’incirca su 13.500 uomini, nei cui ranghi era inquadrata anche una legione  di camicie nere articolata su due battaglioni[6].

Più specificamente le divisioni che sarebbero poi state impegnate nel secondo conflitto mondiale risultavano composte da:

 

·        Due reggimenti di fanteria su tre battaglioni, una compagnia mortai da 81 ed una compagnia cannoni da accompagnamento da 47/32;

·        Un battaglione mortai su due compagnie da 81 ed una da 45;

·        Una compagnia cannoni controcarro da 47/32;

·        Un reggimento d’artiglieria su tre gruppi: uno da 100/17, uno da 75/27 e uno da 75/13;

·        Una batteria da 20 mm. su sei pezzi;

·        Un posto aerologico;

·        Un battaglione misto del genio su una compagnia artieri, una trasmettitori ed una fotoelettricisti;

·        Una sezione sussistenza ed una di sanità

 

Durante le operazioni in Africa settentrionale questo modello verrà però riadattato dallo Stato Maggiore Esercito visto che le particolari condizioni tattico ambientali richiedevano l’utilizzo di divisioni sempre più manovrabili e capaci di percorrere medie e lunghe distanze in breve tempo.

Presero così forma le divisioni di fanteria A.S[7] ’42, i cui componenti scendevano da 13.500 a 7.000,  così ripartiti:

 

·        Due reggimenti di fanteria su tre battaglioni e una compagnia mortai da 81

·        Un reggimento di artiglieria campale su quattro gruppi, un gruppo contro carro e contro aereo e due batterie da 20 mm.

·        Un battaglione misto genio

·        Una sezione sussistenza ed una di sanità[8]

 

La seconda guerra mondiale sottolineerà in maniera drammatica la scarsa validità del nuovo ordinamento militare, causato da una limitata modernizzazione delle forze armate, carenti di automezzi, carri armati e artiglieria.

Con la riforma Pariani l’esercito fu trasformato in superficie, rispondendo più a esigenze politico economiche che a reali esigenze operative[9].

Infine la mancata discussione da parte dei più alti vertici militari su campi minati e sulle possibili battaglie fra carri[10], elementi fondamentali nella campagna d’Africa e durante tutta la seconda guerra mondiale, contribuirono a una impreparazione delle forze armate italiane che si trovarono quasi sempre in forti condizioni di inferiorità rispetto al nemico.

 

 

I COMANDI MILITARI E LA CLASSE UFFICIALE

 

 

Le operazioni militari non misero solo in evidenza l’inadeguatezza della riforma varata nel 1938, ma anche l’inefficienza e incompetenza degli alti comandi italiani. A tal proposito risulta interessante  notare come  nel periodo precedente al secondo conflitto mondiale il gruppo dirigente delle forze armate restò sostanzialmente invariato, tanto che l’età media dei maggiori comandanti dell’esercito e della marina si aggirava intorno ai sessanta – sessantacinque anni [11].

Quindi un cambio radicale dei generali causato da scelte e valutazioni errate non avrebbe purtroppo mutato sensibilmente il corso della guerra, anche perché le classi di alti ufficiali e dei  generali al comando godevano di un enorme appoggio da parte della classe politica che rendeva quindi ancora più difficile la loro rimozione.

Per quanto riguarda invece gli ufficiali subalterni è importante fare una distinzione: gli ufficiali erano di due tipi, quelli in servizio permanente effettivo (s.p.e.) e quelli di complemento (a.u.c.).

Gli ufficiali del primo tipo risultavano discretamente preparati, perché provenienti dall’accademia o da altro tipo di promozione a ufficiale e soprattutto perché militari di “professione”, che avevano maturato nel periodo di formazione e di servizio una certa attitudine al comando.

Purtroppo il numero di questi ufficiali risultava alquanto esiguo, infatti il Regio Esercito che poteva contare su circa 1.600.000 uomini, di cui 600.000 oltremare, disponeva mediamente di uno o due ufficiali in s.p.e. per battaglione e di uno o due sottoufficiali di carriera per compagnia[12]. Tutto ciò si concretizzava in una inadeguata azione di comando con una conseguente mancanza di coordinazione tra le varie unità presenti sul campo.

Ovviamente questo scarso numero di ufficiali risultava soggetto a una forte diminuzione e a un difficile rimpiazzo man mano che la guerra proseguiva.

Diversa invece la situazione per quel che riguardava gli ufficiali di complemento. Dal 1923 i giovani diplomati e laureati dovevano obbligatoriamente partecipare ai corsi A.U.C.,  i cui percorsi addestrativi fornivano la formazione di base per il comando. Ma come scrive giustamente lo storico Montanari  i mesi di effettivo comando dell’allievo ufficiale erano sei sui diciotto della ferma,periodo questo troppo ridotto per mettere in condizione un ufficiale di comandare con efficienza e sufficiente coordinazione la propria unità. Infatti l’attitudine al comando, se non è una dote naturale, si acquisisce con addestramento ed esperienza.

Rochat invece mette in evidenza come la mancanza di fondi fosse un elemento determinante per la inadeguata formazione della classe ufficiale.

Al di là di queste due posizioni, che possono essere complementari, due sono gli elementi da sottolineare: dal 1936 i corsi A.U.C. aumentarono in maniera esponenziale, superando le 15.000 unità, mettendo in atto la normativa sopraccitata del 1923[13].

Per quel che riguardava invece gli ufficiali richiamati in servizio, il rapporto riservato inviato a Mussolini il 27 settembre 1939 affermava:

 

Per gli ufficiali richiamati, salvo rare eccezioni, si può in breve dire: “ scarsissima ne è la preparazione professionale (molti congedatisi da sottotenente si trovano oggi capitani); poco elevato il sentimento militare; spirito di sacrificio e di abnegazione insufficienti – eccessiva è la preoccupazione per le famiglie e le faccende private; senso di stanchezza: non pochi sono per la seconda o terza volta distolti dalle loro occupazioni ordinarie in breve volgere di anni; apatia per il servizio con ripercussioni sfavorevoli sulla compattezza disciplinare dei reparti; freddezza per l’eventualità di guerra; poca consapevolezza e dignità del grado – di cui un elemento esemplificativo caratteristico è la indifferenza alle forme esteriori: non si saluta, non si pretende ne si rende il saluto; eccessiva familiarità tra i superiori e inferiori e anche fra ufficiali e soldati che non è ben inteso cameratismo, ma evidente violazione del rapporto gerarchico,; scorrettezza nell’uniforme e nel tratto – divise più diverse per colori e fogge – non è raro il caso di ufficiali che in pubblica strada abbiano la giubba sotto il braccio, la bustina o il berretto in mano oppure la giubba sbottonata e le maniche rimboccate; ufficiali che si chiamano a gran voce a distanza in pubblica strada affollata.

In conclusione: impreparazione professionale e ineducazione disciplinare e spirituale.

Ad aggravare le conseguenze che questo stato di cose comporta nell’efficienza disciplinare e addestrativa dei reparti concorre la mancanza di ufficiali in S.P.E. che nella maggior parte dei corpi sono ridotti a 1/8 del totale[14].

 

Particolare risultava infine anche la posizione di tutti coloro che avevano prestato servizio come ufficiali di complemento durante la prima guerra mondiale e che si trovarono vent’anni più tardi, con evidenti difficoltà, al comando di un battaglione. A tal proposito risulta interessante la testimonianza del maggiore Caccia Dominioni,  comandante del XXXI genio guastatori e ufficiale durante la prima guerra mondiale:

 

Il maggiore riflette. In complesso egli ne sa molto meno dei suoi ufficiali: non saprebbe rispondere a diverse domande rivolte ai futuri sergenti. Fa l’esame di coscienza. Sente di essere un buon soldato, ma mediocre di preparazione, restato alle sue esperienze di molti anni prima: era assai inquieto quando l’avevano mandato a comandare un reparto come il 31°, ma ha trovato tre comandanti di compagnia eccellenti, e il suo compito s’è alleviato. Intanto, con l’aumentato senso di sicurezza, è cresciuta anche la sua boria, ma si chiede come se la caverà con la prova del fuoco.

È mediocremente pauroso? È mediocremente coraggioso? Non lo sa. Le esperienze del Carso sono lontanissime, quelle etiopiche insignificanti.[15]

 

 

Quindi pur distinguendosi per il loro valore e coraggio gli ufficiali di complemento, che comunque ricoprivano un ruolo importante nell’organigramma dell’esercito italiano, risultavano meno abituati all’esercizio del comando.

 

 

I MEZZI CORAZZATI E GLI  ARMAMENTI

 

 

I mezzi corazzati ebbero un ruolo fondamentale in Africa,  sia per la particolare natura del territorio, sia per le esigenze della nuova “guerra di movimento”. Purtroppo anche questo aspetto mise in luce l’assoluta impreparazione e inadeguatezza delle forze italiane, frutto sopratutto di un mancato investimento mirante allo svecchiamento e modernizzazione del parco mezzi in dotazione all’esercito. Infatti le divisioni corazzate e battaglioni carri schierati nel deserto libico,  che sino alla fine degli anni trenta potevano ancora risultare competitivi, apparvero del tutto incapaci di tener testa al nemico durante il conflitto.

I primi mezzi che presero parte agli scontri africani furono  i carri veloci L3 e i carri medi M11/39. Gli L3 erano dei piccoli carri da 3,2 tonnellate, con scarsa capacità di fuoco, sviluppati e ideati per combattere in ambito alpino e montagnoso. Visto il loro proficuo utilizzo durante la guerra di Abissinia[16],ben 4 anni prima,  i comandi italiani ebbero la presunzione di volerli utilizzare con compiti di “rottura” nei confronti delle divisioni di fanteria nemiche. Il risultato fu pessimo, non solo per l’incapacità del carro di poter svolgere tale funzione contro reggimenti provvisti di armi anticarro, ma soprattutto perché le deboli corazzature degli L3  potevano essere facilmente penetrate anche da qualsiasi mitragliera e a breve distanza persino dalle armi individuali del nemico.

Per quel che riguarda invece L’ M11/39, esso poteva essere considerato il primo carro medio italiano[17], con un peso di 11 tonn. e armato con un  cannone da 37 semiautomatico in casamatta e due mitragliatrici da 8 in torretta.

Purtroppo neanche questo carro si dimostrò all’altezza della situazione e i suoi  grossi limiti furono lo scarso armamento, la mancanza di una corrazzatura adeguata e una potenza di fuoco non all’altezza della situazione.

Ciò nonostante, anche se con ritardo, i comandi italiani non  restarono a guardare e corsero ai ripari, cercando di fornire alle divisioni corazzate un carro adeguato alle esigenze di guerra. Scartata l’ipotesi di fabbricare su licenza tedesca il carro Panzer III, a causa del sodalizio economico tra Ansaldo e F.I.A.T. che si arrogarono l’esclusiva di progettare e fabbricare mezzi per il regio esercito, venne varato il carro medio M 13/40. Le migliorie apportate su questo nuovo modello si dimostrarono migliori del suo predecessore, ma si dimostrarono comunque inferiori a quelle dei carri alleati.

Nemmeno l’ultima evoluzione, l’M 14/41, che in ultima analisi si differenziava dal suo predecessore solamente per un maggior numero di cavalli nel motore, poté fronteggiare in maniera adeguata gli inglesi.

Una conferma ulteriore delle deficienze e della fragilità del carro M si possono chiaramente vedere nella relazione esposta da un ufficiale carrista e riportata qui sotto :

 

In definitiva si tratta di un carro dotato di un motore che certamente avrebbe funzionato bene in territorio metropolitano con il peso di 8 tonnellate per il quale era stato ideato, ma che in territorio africano, con il ghibli, la sabbia, le altre avverse condizioni climatiche a tutti note e l’aggiunta di altre 6 tonnellate è assolutamente inidoneo nonostante le cure e gli accorgimenti usati per farlo funzionare.

I reparti carristi che debbono operare sotto il fuoco nemico non possono e non debbono avere la preoccupazione che il loro mezzo non si metta in moto, che spacchi con ingiustificabile frequenza il cambio, che si vuoti di acqua o che perda olio e che quando a prezzo di stenti, di rimorchi e di ripieghi si è avviato debba procedere solo in prima o seconda velocità con acrobazie di pilotaggio inidoneo ad offendere e difendersi.

Nell’azione del giorno 17 a quota 209 ad Ovest di Tobruk si è salvato solo il carro che, più efficiente degli altri, ha potuto marciare in terza evitando di costituire facile preda del tiro nemico.

Si ritiene quindi che il carro M 13 perché possa veramente esplicare l’azione che da essi tutti si attendono debba essere dotato – senza ricorrere a ripieghi di sorta, tipo rialesature – di un motore potente ed efficiente degno della nostra industria automobilistica che in tale campo non dovrebbe essere seconda a nessuno.[18]

 

Poco rassicurante risulta ancora la descrizione dei mezzi corazzati che ci da Caccia Dominioni, nella qual traspare in maniera inequivocabile l’inferiorità del parco mezzi corazzati italiano:

 

La corazza del nostro M 13 varia dai 15 a 30 millimetri, contro i 57 millimetri del carro Grant: la sua velocità oraria massima, su strada, è di trenta chilometri, il suo cannoncino da 47 può servire tutt’al più  contro qualche antico modello che il nemico ha da tempo giubilato, mentre l’industria bellica italiana insiste serenamente a costruire in serie i tipi superatissimi del tempo di pace. Dal carro M 13/40 al successore M 14/41, in un anno di tempo è stata aumentata la corazza laterale di 5 millimetri, e la velocità su strada di qualche chilometro. L’autonomia è stata portata da duecento chilometri a duecentoventi. Nello stesso periodo tedeschi e inglesi hanno prodotto sempre nuovi modelli, in poderoso aumento di potenza, a immediato contatto con l’esigenza imposta dal campo di battaglia.

Inglesi e tedeschi hanno trovato, in perfetto accordo tra loro, una stessa definizione del nostro carro: bara d’acciaio.[19]

 

L’unico mezzo che diede una buona prova fu il semovente 75/18.

 

Questo materiale semovente, verosimilmente efficace, è in sostanza il carro M13 che monta un obice da 75/18. la torretta è parte della sovrastruttura del carro sono state eliminate e sistemata una nuova corazza frontale, come pure lamiere laterali senza il portello d’ingresso. La camera di combattimento è coperta da una lamiera di 9,9mm. In ordine di combattimento, il pezzo pesa circa 11 tonnellate. Lungo 5,06 m., largo 2,20m. e alto 1,85 m., presenta una sagoma alquanto schiacciata. Il motore, inconsueto, è a gasolio: cioè brucia una miscela di benzina e petrolio. Su strada, l’autonomia è di 200 Km. si ignora quella in terreno vario. La corazzatura è robusta . frontale 25mm rinforzata con un'altra piastra da 25mm, laterale25 mm. L’equipaggio è di tre uomini. Il cannone ha un brandeggio di 45° e un elevazione da -15° a +25°. È lungo 18 calibri e ha una gittata di 7,6 Km. Le munizioni comprendo una granata ordinaria da 6,3 Kg., una perforane da 6,39Kg. Una riservetta di 29 colpi è presente, ma molti altri possono essere stivati[20].     

 

Questo pezzo di artiglieria venne invece usato come un vero e proprio carro armato in quanto il cannone che montava era capace di perforare qualsiasi corazza.

Questa la testimonianza del comando del 132° reggimento artiglieria corazzata :

 

Nei fatti d’arme a cui abbiamo partecipato, il gruppo ha svolto azione d’appoggio per batterie e di accompagnamento per pezzo, attenendosi per quanto possibile alle norme emanate dall’Ispettorato, norme che sono state inviate in visione al Comandante dell’artiglieria dell’Ariete. In complesso, il semovente è stato giudicato una felice attuazione, maneggevole (assai più del carro medio), poco visibile, capace di svolgere azioni fino alle medie distanze e poi di frammischiarsi con i carri e di combattere con loro[21].     

 

I problemi però non si fermarono solamente ai mezzi corazzati, ma anche la parte logistica risultava fortemente deficitaria.

Come già detto la natura del territorio e le nuove tecniche di conduzione della guerra costringevano le truppe ad appoggiarsi alla motorizzazione per poter fronteggiare il nemico, al fine di poterlo inseguire adeguatamente in caso di avanzata o per potersi ritirare velocemente in  caso di offensiva nemica[22].

Purtroppo tale conduzione della guerra avrebbe necessitato di un numero ben maggiore di autocarri rispetto a quello messo realmente a disposizione delle varie divisioni.

Consapevole ne era anche il ministero della guerra che il 25 maggio 1940 annotava:

 

Coi provvedimenti in corso, e con altri in via di proposta, al 10 giugno le forze della madrepatria continentale, Sicilia e Sardegna, saranno approntate […]

circa gli autocarri comunico:

·              Per mobilitarsi al completo l’Esercito deve requisire, in cifra tonda, 20.500 autocarri.

Quelli esistenti in paese ed in condizioni di essere utilmente requisiti sono 16.500, di cui 3.900 esonerati. Restano disponibili per l’Esercito 12.600 circa;

·              Ne deriva che anche requisendo tutti gli autocarri efficienti e requisibili l’Esercito si trova in deficienza di quasi la metà.

Allo stato attuale delle cose, con le requisizioni effettuate e preventivate (circa 8.000 autocarri) e raggiungendo le proporzioni di cui sopra si avranno bensì le truppe e alcuni servizi in condizione di vivere e di combattere staticamente, ma non in condizione di operare in movimento.

Per poter permettere ciò occorrerebbe completare( come automezzi) le unità e contemporaneamente costituire, sia pure in formazione ridotta, gli autoreparti di C. d’A. e gli auto gruppi di armata e del’A.C.E..

Per l’attuazione dei provvedimenti di cui sopra sono soltanto disponibili, in via teorica, 4.500 automezzi ( 12.500 – 8.000 ) con i quali non solo non è possibile aumentare la percentuale delle unità,ma non si possono neppure costituire tutti gli auto gruppi previsti, per i quali soltanto occorrerebbero 6.500 automezzi.

La situazione diviene ancora più seria, ove si consideri che la disponibilità pratica degli autocarri requisibili sarà sensibilmente inferiore al previsto ( 4.500 ), in causa dei ritardi nella presentazione, riparazione, ecc..

Per migliorare la situazione ( non per risolverla integralmente ) non si vede altro mezzo che quello di requisire non solo gli autocarri requisibili e non ancora requisiti, ma anche i  3.900 autocarri attualmente esonerati, o almeno 3.000 di essi[23].    

 

A soffrirne maggiormente ovviamente furono tutti coloro che impegnati in prima linea patirono la mancanza dei più elementari rifornimenti come acqua cibo e carburante.

Esauriente a tal proposito risulta la ricostruzione di un ufficiale, riportata da Montanari, che  afferma:

 

L’organico del Btg. Non corrisponde affatto né in mezzi né in uomini alle necessità della guerra in colonia […] Nel Btg. per servire 46 carri armati con 184 combattenti vi sono circa 170 uomini con 15 automezzi. Detti autocarri sono appena sufficienti a trasportare i 170 uomini; come si trasportano tutti i materiali, le parti di ricambio, il carburante, i lubrificanti, l’acqua e i viveri per centinaia di chilometri e per decine di giorni?

nel Btg. M 13 esiste un officina con la squadra riparazione e ricuperi di 21 uomini, dei quali in realtà appena due o tre sono dei meccanici meritevoli di tale nome[…][24].

 

Ancora più imbarazzante risultava invece il paragone con l’alleato germanico, che pur incontrando le stesse difficoltà di quello italiano risultava meglio equipaggiato. Questa la testimonianza riportataci sempre da Montanari:

 

Dopo l’occupazione di Mechili, il maggiore tedesco comandante della colonna della quale avevo fatto parte per due giorni, saputo che avevo raggiunto tale località con 14 carri su 40 così esprimeva: ‹‹avete fatto un miracolo con i vostri mezzi primitivi! Io ne ho portati 8 su 64››.

Però si affrettava a soggiungere che, poche ore dopo, circa 50 carri lo avevano raggiunto, ricuperati e riportati in linea dal suo servizio di ricupero del Btg.; per gli altri non aveva preoccupazione perché il servizio di recupero di reggimento avrebbe provveduto.

‹‹Il mio Btg. Riusciva a ricuperare con inaudita fatica 6 carri che poi dovevano essere nuovamente abbandonati nella tappa successiva››.. [25]

 

Diversa figurava invece la situazione degli armamenti individuali. Il fucile mod.38 sarebbe dovuto essere l’arma individuale usata dalla fanteria. Tale  fucile derivante dal mod. 91, usato in occasione della prima guerra mondiale,  risultava più corto e con un  calibro maggiorato da 6,5 a 7,35). I fucili in calibro 7,35 si sarebbero dimostrati una buona scelta e la nuove munizioni (che era caricata a nitrocellulosa pura) avrebbero offerto prestazioni migliori potendo contare su un tiro più teso, una maggiore velocità iniziale a pressioni inferiori ed una minore dispersione di colpi, oltre cha a un maggior potere invalidante.

Nelle intenzioni la nuova munizione 7,35X51mm avrebbe dovuto costituire il caricamento standard per fucili e fucili mitragliatori, mentre le mitragliatrici pesanti avrebbero dovuto impiegare la munizione 8X59mm. Gradatamente avrebbero quindi dovuto essere rimodernati tutti i fucili di vecchia produzione, disponendo così con spesa limitata, di materiale aggiornato ed al passo con i tempi. Ma con l’entrata dell’Italia in guerra fu però evidente che si sarebbero prodotti  notevoli inconvenienti logistici dovuti sia alla contemporanea presenza in servizio di armi individuali nei due calibri sia alla non totale distribuzione della nuova arma a tutti i reparti.

I comandi decisero quindi di rinunciare a dotare l’esercito del mod.38 in calibro 7,35 in favore del più tradizionale e già in dotazione mod.91/38 in calibro 6,5[26]

Scelta questa che dotò i soldati italiani di un arma individuale con un potenziale inferiore.

Nel ‘41 venne prodotta un’ulteriore versione più corta e sempre con calibro 6.5, mentre alcuni reparti, come quelli di cavalleria, ricevettero in dotazione il moschetto, più corto del fucile mod. 91/38, ma sostanzialmente identico.

Per quanto riguardava  gli ufficiali e sottoufficiali essi potevano invece contare sulla pistola Beretta mod. 34 cal. 9, piccola e compatta, un’ottima arma che garantiva un’affidabilità elevata, tanto da essere ampiamente usata anche nel dopoguerra.

 Le truppe italiane disponevano inoltre del fucile mitragliatore  “Breda 30” con calibro 6,5 e dal peso di 10,6 Kg, e di tre tipi di mitragliatrici: la “Fiat 14” con calibro 6,5, la “Fiat 35” con calibro 8, e l’ottima “Breda 37” anch’essa con calibro 8. Da segnalare infine l’utilizzo persino della “Schwarzlose”, mitragliatrice di preda bellica.

Migliore risultò comunque il  M.A.B. (moschetto automatico Beretta) 38A, buona arma, che in dotazione alla Folgore fu utilizzato con pregevoli risultati dimostrandosi affidabile ed efficace.

Per quel che riguarda invece le bombe a mano esse erano di tre modelli: la S.R.C.M[27]., la Breda e la O.T.O[28]. Tutte avevano la caratteristica di esplodere al contatto col terreno, questo elemento però si dimostrò essere svantaggioso per l’impiego in Africa in quanto il terreno soffice oltre a impedirne la detonazione poteva renderle degli ordigni inesplosi pericolosi  per entrambi gli schieramenti.

Le armi a tiro curvo erano invece il mortaio d’assalto Brixia da 45 mm e il mortaio da 81 mm, entrambi costruiti dal 1935. Il primo era usato per l’accompagnamento e l’arresto su brevi distanze, il secondo era invece il classico mortaio con un gittata che poteva raggiungere i 4 km.

Per quanto riguarda obici e cannoni, bisogna elencare i pezzi per la fanteria da 65/17 e il pezzo da 47/32. Quest’ultimo fu sicuramente il più usato, con funzioni di accompagnamento e controcarro, e si dimostrò discreto agli inizi del conflitto, ma con l’avanzamento tecnologico avversario, soprattutto in funzione controcarro, si dimostrò inadeguato ed inefficace.

Superfluo invece è descrivere i pezzi di artiglieria divisionale, di corpo d’armata e d’armata, basti dire soltanto che i cannoni si dimostrarono spesso inadeguati e in numero insufficiente.

Ricapitolando, le forze armate  lamentavano le seguenti deficienze, illustrate in questo documento datato primo novembre 1939:

 

 

Regio Esercito

 

Deficienze essenziali:

 

1.  Quadri: gravi deficienze quantitative per gli ufficiali in servizio permanente ( molte unità ne sono prive o ne hanno appena 1, spesso subalterno soltanto) e qualitative per gli ufficiali di complemento

2.  Artiglierie: Tutte di materiale che risale al 1914 – 1918. solo nel maggio 1940 si cominceranno ad avere nuovi materiali ( 14 batterie)

3.   Munizioni: Notevoli deficienze;

4.   Automezzi: Notevoli deficienze ( dal 10 al 50% per ogni grande unità)

5.   Carri armati: Mancano carri leggeri per le divisioni tipo Libia e carri medi delle divisioni corazzate. ( si avranno i primi 100 carri medi al 1° maggio 1940).

6.   Carburanti Disponibili solo per mesi 4 e ½.

7.   Vestiario ed equipaggiamento: Manca il fabbisogno per 15 divisioni, per la M.V.S.N., per la Dicat. Inoltre nessuna scorta

8.   Difesa contraerea: Deficienze gravissime. Sono disponibili., per tutto il territorio della Madrepatria, appena 225 batterie antiquate, con scarse munizioni. Nelle terre d’oltremare si hanno 30 batterie, pure antiquate e con scarse munizioni, di cui 13 in Libia, 14 in Egeo e 3 in Albania. Per cominciare ad avere i nuovi materiali si deve attendere l’estate 1940 e si avrà il fabbisogno previsto, al completo, solo nell’estate 1942.

 

Regia Marina

 

Deficienze essenziali:

 

1.     L’aumento delle 4 corazzate nel 1940 non potrà costituire un apporto in piena potenza, per ottenere la quale occorre trascorra almeno un anno di tempo dall’entrata in servizio (addestramento, addestramento dei complicati organi, specie artiglierie, materiali).

2.     Il quantitativo della nafta è scarso, anche ritenendo di poter sormontare le gravissime difficoltà di rifornimento, occorre tenere conto che la capienza complessiva dei depositi è ben poco aumentabile con le costruzioni in atto.

3.      per commisurare l’efficienza della difesa contraerea all’importanza delle località militari e marittime è giudicato necessario potenziare detta difesa con: 40 btr. da 90/50 – 200 p. (materiale modernissimo); 200 mitragliere.

 

Regia Aeronautica

 

Deficienze essenziali:

 

1.     Carburanti e Lubrificanti  sufficienti per 2 mesi al 15 ottobre e poco più di 2 mesi al 1° maggio 1940.

2.     Munizioni di caduta e di lancio scorte sufficienti per 3 – 4 mesi.

3.     Personale al 15 ottobre si ha una deficienza di 319 equipaggi; al 1° maggio la deficienza, rispetto agli equipaggi addestrati al 15 ottobre, sale a 1124.

4.     Materiale speciale di aeronautica: Difettano autoveicoli (400 al 15 ottobre e 300 al 1° maggio); alcune officine auto portate; alcune migliaia di fusti per manovra carburanti e lubrificanti.

5.     Difesa contraerei: quasi nulla per gli obbiettivi di interesse aeronautico (50 mitragliere da 20, 590 mitragliere da 8 di scarsa efficacia).

 

Esplosivi per le forze armate:

 

la fabbricazione degli esplosivi in tempo di guerra, per tutte e tre le forze armate, potrà consentire di disporre soltanto della metà e dei ¾ del fabbisogno, rispettivamente per gli esplosivi di lancio e di scoppio, purchè giungano le materie prime. Qualora queste non giungessero, la produzione si ridurrebbe, rispettivamente a 1/7 ed a poco meno della metà[29].

 

Il tutto si riflesse immediatamente sui primi soldati richiamati, come conferma questo rapporto riservato datato 11 settembre 1939:

 

La parziale mobilitazione iniziatasi negli scorsi giorni , e che è in corso di completamento, ha fatto rilevare una strana disorganizzazione in tutti i servizi militari. Il pubblico che è a conoscenza di tutti gli inconvenienti verificatisi e che ancora si verificano, non fa che mormorare contro gli organi responsabili. Molta gente non ha ritegno a dire a voce alta che siamo in pieno caos, che in queste condizioni non possiamo fare una guerra e che l’esercito assomiglia a quello di “franceschiello”, ecc..

E’ un fatto che anche i militari richiamati non fanno che lagnarsi: rancio che non viene confezionato, mancanza di indumenti e di coperte, mancanza di abiti, ecc.

Si vedono girare per la città soldati con la giacca sotto il braccio, altri semi vestiti da militari e da borghesi; altri che non avendo trovato alloggio in caserma o negli accantonamenti se ne sono andati a dormire al ricovero “Massoero”.[…]

Nell’accampamento di Piazza Palermo il rancio di dieci soldati distribuito a cento! Chi non trova posto sulla paglia va a dormire nei portoni e sulle aiuole! Gli ufficiali si lagnano perché devono provvedere con denaro proprio  ad ogni spesa, compresa quella di cancelleria.[…].

Reparti dislocati verso la frontiera che non ricevono la razione pane perché mancano forni militari! Che non hanno sussistenza sanitaria; che mancano di tutto.

In alcuni reparti gli ufficiali sono stati costretti a pagare l’importo del rancio con denaro per permettere ai soldati di andare all’osteria! Mancano coperte, paglia, rancio, ecc..[…]

A Ceva molti alpini si sono assentati per qualche giorno per correre alle proprie case  a mangiare ed a dormire[30].  

 

Con il passare dei mesi le circostanze migliorarono, ma le condizioni restavano comunque critiche. Il concretizzarsi di tale situazione era ovviamente da ricercarsi nel settore economico produttivo italiano e sulla scarsità di materie prime. Come affermava il Ministro delle Finanze Riccardi nel febbraio del 1940:

 

Mancano quindi all’appello 2 miliardi e 245 milioni. Per le riserve auree esistenti questo è uno sforzo estremo. Perciò bisogna ridurre gli acquisti, i fabbisogni non strettamente indispensabili per le spese militari e il fabbisogno interno, perché Annibale non è alle porte, ma ha già varcato la soglia.

L’industria italiana è quella che è e, attratta dalle allettanti commesse di carattere militare, non produce per esportare. Queste sono le ragioni che mi spingono a perorare la causa delle limitazioni di consumo nel mercato interno. […] se non si esporta non si possono avere i mezzi di pagamento e perciò i programmi debbono aderire a questa realtà. Noi, per esportare, non potendo aumentare la produzione , dobbiamo ridurre i consumi interni, dobbiamo ridurre i programmi […].

Ora questi problemi li affido alla comprensione dei camerati militari e mi auguro che essi si compenetrino di questa realtà. O si hanno i mezzi per acquistare le materie prime, altrimenti bisogna subire la situazione qual è. Non ci sono più scorte in Italia; dall’epoca delle sanzioni si stanno bruciando le riserve. Non c’è il gioco delle importazioni che si può fare solo attraverso una politica di esportazione[31].

 

 

Era evidente quindi ce l’Italia non sarebbe mai stata pronta, in breve tempo, per una conduzione efficacie della guerra. A tal proposito le parole del Generale Favagrossa, commissario generale per le fabbricazioni di guerra:

 

[…] E poiché dai dati in mio possesso non vedo la possibilità di assicurare la quantità di materie prime necessarie per ottenere dagli impianti attuali e futuri il massimo rendimento […]

Rappresento infine l’opportunità che le forze armate rivedano i dati forniti, mantenendosi – sia per la parte che riguarda la preparazione di partenza come per il fabbisogno di guerra di un anno – più aderenti alle possibilità delle industrie ed ala disponibilità di materie prime.

Non è evidentemente possibile protrarre la preparazione di partenza fino al 1944, anzi fino al 1948 se si vuole avere prima di entrare in guerra  le scorte per almeno un anno: termini che sarebbero altresì superati qualora non si disponesse delle materie prime necessarie per lo sfruttamento massimo degli impianti[32].

 

 

Possiamo quindi evincere da ciò come non solo le forze combattenti, ma anche quelle logistiche, che nella conduzione di un conflitto hanno egualmente un ruolo fondamentale, risultassero chiaramente mal equipaggiate e incapaci se non a prezzo di inestimabili sacrifici a tener testa alle truppe nemiche.

La vittoriosa avanzata tedesca in Europa spinsero comunque l’Italia ad entrare nel conflitto con la consapevolezza di non essere adeguatamente pronti ma con la speranza che la guerra sarebbe durata pochi mesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO II

OPERAZIONI MILITARI IN AFRICA

SETTENTRIONALE SINO

ALL BATTAGLIA DI EL ALAMEIN

 

 

L’AVANZATA SINO A SIDI EL BARRANI

 

 

Il 10 Giugno 1940, come proclamò Benito Mussolini dal balcone di palazzo Venezia, le dichiarazioni di guerra furono consegnate agli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna.

In quel momento l’Italia disponeva di 73 Divisioni nelle quali erano inquadrati 106 reggimenti di fanteria, 12 di bersaglieri, 10 di alpini, 12 di cavalleria, 5 di carri armati, 32 di artiglieria e 19 del genio: a questo potenziale di uomini si aggiungevano circa 220 battaglioni di Camicie Nere, seguiti poi da atri 81 battaglioni costieri, 51 territoriali e 29 compagnie costiere. Di tale novero, circa 85.000 uomini risultavano in forza alla Milizia Artiglieria Contro Aerei, inquadrati in 22 legioni[33]. La milizia Artiglieria Marittima, subordinata alla regia marina, si articolava invece su 10 legioni.

In Africa settentrionale si trovavano invece dislocate la 10a e la 5a armata.

La 10a armata, comandata dal Generale di corpo d’armata Berti risultava composta da:

·        1a Divisione coloniale libica (comandata dal Generale di divisione Sibille)

·        XXI° Corpo d’armata (comandato dal Generale di corpo d’armata Dalmazzo) composto da:

o       62a Divisione fanteria Marmarica (comandata dal Generale di divisione Tracchia)

o       63a Divisione fanteria Cirene (comandata dal Generale di divisione Spatocco)

·        XXII° Corpo d’armata (comandato dal Generale di divisione Pitassi Mannella) composta da:

o       64a Divisione fanteria Catanzaro (comandata dal Generale di divisione Spinelli)

o       4a Divisione M.V.S.N[34] (comandata dal Luogotenente Generale Marzari).

 

L’armata era schierata in Cirenaica, regione più a ovest della Libia.

La 5a armata, comandata dal Generale di corpo d’armata Gariboldi risultava invece composta da:

·        2a Divisione coloniale libica (comandata dal Generale di divisione Pescatori)

·         Corpo d’armata (comandato dal Generale di divisione Barbieri) composto da:

o       25a Divisione fanteria Bologna 

o       60a Divisione fanteria Sabratha

o       55a Divisione fanteria Savona

·        XX° Corpo d’armata (comandato dal Generale di corpo d’armata Cona) composto da:

o       17a Divisione fanteria Pavia

o       27a Divisione fanteria Brescia

o       61a Divisione fanteria Sirte

·        XXIII° Corpo d’armata (comandato dal Generale di corpo d’armata Bergonzoli) composto da:

o       1a Divisione Camicie nere 23 Marzo (comandata dal Luogotenente Generale Antonelli)

o       2a Divisone Camicie nere 28 Ottobre (comandata dal Luogotenente Generale Argentino)

Questa armata era invece dislocata nella parte centrale della Libia denominata Tripolitania.

A differenza di ciò che aveva chiesto Mussolini questa forza  si dimostrò tutt’altro che offensiva, mettendo in luce tute le proprie difficoltà e limitazioni.

La guerra d’aggressione, propagandata sin dall’inizio e che sarebbe dovuta essere condotta assalendo il nemico, si dimostrò solo un abbaglio e ben pesto le truppe italiane, causa la scarsa “coordinazione” dei vari comandi e la pessima rete di telecomunicazioni, assunsero un atteggiamento difensivo.

Sul fronte egiziano l’Italia iniziò  a subire l’iniziativa inglese, guidata dal General, Sir Archibald Wavell, comandante in capo del Medio Oriente, che con piccole e veloci azioni offensive  iniziò  a colpire  tutti i posti confinari, situati lungo il fronte,dalla costa sino a Giarabub[35]. Dopo solo quattro giorni dall’inizio del conflitto caddero in mano nemica il presidio di Sidi Omar e le ridotte di Bir Scegga e di Capuzzo situate in territorio libico.

Dopo la prima settimana di ostilità resisteva solamente l’isolato caposaldo di Giarabub e la guerra che i comandi italiani avevano prospettato offensiva si dimostrò tutt’altro che attuabile.

Differente invece la situazione del fronte tunisino, dove la Francia, piegata dalla fulminea avanzata tedesca, non fu in grado di opporre alcun schieramento offensivo. Il 25 giugno vista l’insostenibilità di qualsiasi azione militare il governo di Parigi decise di siglare un armistizio con il governo di Roma.

Se da una parte la resa della Francia faceva pendere gli equilibri in Europa da parte dell’asse, dall’altra non portò particolar  benefici alle truppe italiane impegnate in Africa Settentrionale. Infatti, visti gli accordi raggiunti con lo stato transalpino, secondo cui si garantiva l’integrità coloniale francese, si poneva fine a quell’aspettativa di invasione del territori tunisini tanto caldeggiata da Italo Balbo che secondo le sue stese parole sarebbe servita a :

 

“[…] rapinare materiale francese col quale  risolverei gran parte del mio problema”[36].

 

Impossibile dire se  un ingresso in Tunisia da parte di truppe italiane avrebbe cambiato le sorti della guerra in Libia, resta però la considerazione che materiali e armamenti francesi sarebbero potuti essere utilizzati contro gli inglesi sul fronte egiziano.

Stava di fatto che con la Francia fuori da giochi e con i bombardamenti su Londra che facevano presagire un imminente invasione dell’Inghilterra, Mussolini, per non sfigurare di fronte all’alleato germanico e per poter avanzare future pretese coloniali in caso di pace , decise di mobilitare i vertici militari stanziati in Africa per scagliare un offensiva in territorio egiziano.

Purtroppo tale piano  subì notevoli ritardi sia a causa dei già citati problemi tecnico logistici che le truppe italiane dovevano affrontare, sia per la morte dl governatore della Libia Italo Balbo colpito per errore dalla contraerea italiana installata sulla nave San Giorgio il 28 giugno.

Con l’arrivo in colonia il 2 luglio di Rodolfo Graziani, nuovo governatore,  iniziarono i preparativi per lanciare un offensiva contro le truppe inglesi schierate sul confine.

L’offensiva venne lanciata il giorno 13 settembre, dopo due mesi di controversa preparazione e confuse discussioni tra Graziani, Badoglio e Mussolini.

Le truppe del Commonwealth si limitarono ad un’attività di osservazione e di disturbo[37], così il giorno 16 dello stesso mese i soldati italiani poterono entrare indisturbati nel piccolo abitato di Sidi el Barrani situato in territorio egiziano. Il 18 settembre i comandi italiani dichiararono concluse le operazioni offensive che si fermarono dopo un avanzata di soli 80 km, distanza che aveva già messo in luce tutte le limitazioni e difficoltà di un esercito poco attrezzato per condurre una guerra di movimento votata all’attacco.  

La sosta a Sidi el Barrani, per consolidare la linea dei rifornimenti e per organizzare le forze in caso di ulteriore avanzata, durò più del previsto.

Tutto ciò irritò non poco Benito Mussolini che, intuiti probabilmente i pericoli di un eventuale protrarsi delle operazioni militari[38], confidava in un rapido arrivo ad Alessandria.

Questo le parole che il Duce del Fascismo rivolse a Graziani proprio in quei giorni:

 

Caro Graziani,

A distanza di 40 giorni dalla presa di Sidi el Barrani, io mi pongo il quesito: questa lunga sosta a chi ha giovato? A noi od al nemico? Non esito un minuto solo a rispondere: ha giovato di più, anzi esclusivamente, al nemico[…].[39]

 

Era ormai evidente sia agli alti vertici militari che ai più alti vertici politici che una conduzione aggressiva avrebbe richiesto un equipaggiamento ed una coordinazione tra i reparti che il Regio Esercito non disponeva.

 

 

LA CONTROFFENSIVA BRITANNICA

 

 

I mesi di Ottobre e Novembre videro l’ intensificarsi degli scontri lungo il fronte tra pattuglie armate britanniche e avamposti italiani.

Le continue pressioni da parte di Mussolini per una nuova offensiva spinsero il Maresciallo Graziani ad ammassare il grosso della Xa armata fra Bardia e Sidi el Barrani. Se questo spostamento da una parte aumentava la forza d’urto che l’Italia poteva utilizzare contro le truppe inglesi, dall’altro rendeva vulnerabili le retrovie[40] e del tutto inadeguato il sistema difensivo in caso di controffensiva.

Tale situazione non sfuggì però agi attenti comandi militari di Londra che, vista la scarsità e inconsistenza delle fortificazioni italiane[41], decisero di iniziare ad ammassare nuove forze per poter lanciare una controffensiva.

Fu così che nel mese di dicembre, le forze del Commonwealth toccarono le 300.000 unità.

Il 7 dicembre violente incursioni aeree inglesi contro i soldati italiani precedettero di due giorni l’inizio dell’operazione che i britannici denominarono “Compass” e con la quale avrebbero dovuto riprendere l’abitato di Sidi el Barrani respingendo le truppe di Graziani in Libia.

 I comandi italiani, sottovalutata  l’entità del pericolo portato dall’operazione Compass[42] e alle prese con i già elencati i problemi di ordine logistico, ricevettero un duro colpo e furono costretti, nonostante un strenua resistenza, ad abbandonare il caposaldo di Sidi el Barrani per attestarsi, il giorno 12, sul confine Libico-Egiziano tra Sollum e Halfaya.

Il giorno 14 Graziani, visto che la posizione raggiunta non offriva un adeguata difesa da una possibile avanzata inglese, decise di far ripiegare ulteriormente i propri soldati nei pressi della città di  Bardia, la quale solo due giorni dopo venne  cinta d’assedio dalle forze britanniche.

Le difese della cittadina di Bardia, situata sulla costa, erano del tutto inferiori  a quelle che invece poteva offrire più a ovest la cittadella di Tobruk, ma si decise comunque di tentare una difesa visto che la caduta in mano nemica di una città coloniale italiana avrebbe gettato delle ombre sulla conduzione delle operazioni militari africane.

Gli ultimi giorni del 1940 videro Bardia colpita da violenti bombardamenti che precedettero l’offensiva terrestre lanciata invece il 3 Gennaio del 1941. L’opposizione italiana pur dimostrandosi coraggiosa  non riuscì a frenare l’avanzata inglese[43] e già il giorno 4, sotto l’incessante incalzare del nemico, le munizioni a disposizione degli assediati iniziarono a scarseggiare e con esse venne meno anche l’acqua[44].

Declinata qualsiasi offerta di resa da parte degli inglesi le difese italiane resistettero sino a quando i carri Matilda[45] assieme all’incessante martellamento dell’artiglieria non posero fine all’assedio il giorno 5 gennaio. In tre giorni di combattimento la decima armata perse oltre 45.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri

il 21 gennaio le truppe del Commonwealth nella loro avanzata in territorio libico, posero sotto assedio la cittadella di Tobruk, che vedeva al suo interno asserragliati 22.000 uomini con 340 cannoni schierati lungo 54 chilometri di cinta difensiva[46]. La “battaglia di Tobruk” durò solo tre giorni, dal 21 al 23 Gennaio e anche qui le difese si dimostrarono inadatte a respingere l’offensiva nemica. La caduta di tale “fortezza” costò al regio esercito gravi perdite sia in termini umani che di mezzi e materiale. Persino l’unità San Giorgio, appartenente alla Regia Marina, dovette auto affondarsi per non cadere in mano nemica ,dopo che si era prodigata valorosamente, con continui cannoneggiamenti, per la difesa della città.

A questo punto le forze italiane incapaci di opporre un adeguata difesa iniziarono a ripiegare verso ovest incalzate dal nemico. Il 30 Gennaio fu perso l’abitato di Derna, evacuato il giorno 29, mentre il 6 febbraio anche Bengasi cadde in mano inglese.

Proprio Bengasi fu vittima durante l’occupazione delle truppe britanniche di devastazione e saccheggi che colpirono soprattutto la popolazione civile.

A testimonianza dei massacri perpetrati soprattutto da truppe australiane venne pubblicato già nel 1941 un libro dal titolo “56 giorni di civiltà inglese a Bengasi”, la cui prefazione fu scritta dal podestà di Bengasi e in cui si trova la drammatica testimonianza di Caterina Cortesani, responsabile del reparto di chirurgia dell’ospedale e qui sotto riportata:

 

[…] una sera verso la fine di febbraio il medico di guardia dovè salvare, facendole riparare in ospedale, tre ragazze dai 12 ai 15 anni che in quei pressi stavano per subire violenza da alcuni soldati ubriachi: un'altra sera, in medicheria, ho assistito alle cure prestate dal chirurgo di servizio ad un borghese, poi deceduto, colpito a pistolettate da alcuni australiani ubriachi alla Berka, dopo che lo avevano letteralmente spogliato dei soldi e degli oggetti preziosi. […].

[…] una sera la sottoscritta ha narcotizzato per un grave intervento laparatomico un giovane ufficiale, sottotenente M., successivamente deceduto, colpito da una raffica di mitragliatrice alla caserma Torelli, concentramento ufficiali, durante la passeggiata pomeridiana, da un soldato inglese in vena di allegria. Altre due volte ho dovuto prestare la sua assistenza ai medici per soldati di concentramento colpiti a pistolettate solo perché cercavano fuori orario pane e acqua da bere. […][47]  

 

Valoroso ma incapace di arrestare l’avanzata britannica fu invece il sacrificio della Xa  armata che nella  Battaglia di “Beda Fomm” riuscì’ solamente a rallentare l’avanzamento dei carri inglesi.

Il giorno 9 febbraio le divisioni britanniche arrivarono ai confini della Tripolitania, precisamente ad El Agheila, ma qui decisero di porre fine alla loro vittoriosa avanzata. Non tutti i generali britannici furono d’accordo sulla bontà di tale decisione, ma gli alti vertici militari decisero saggiamente di fermarsi per poter consolidare la propria linea dei rifornimenti che si estendeva in territorio libico per più di 300 km..

L’Italia in poco più  di sei mesi aveva pagato la propria impreparazione perdendo un terzo del territorio libico e lasciando sul campo  migliaia tra morti,  feriti e civili sfollati.

 

 

L’ARRIVO DEI  RINFORZI GERMANICI

 

 

Fin dall’autunno del 1940 ci furono proposte da parte  del cancelliere tedesco Adolf Hitler per poter inviare uomini nel teatro operativo del mediterraneo, ma Benito Mussolini, fedele alla sua linea di guerra parallela a fianco dell’alleato germanico, declinò sempre l’offerta ritenendo le forze italiane capaci di poter tener testa a quelle britanniche. La drammatica situazione che si era però venuta a creare costrinse il governo italiano ad accettare l’invio tedesco in Libia di truppe fresche e meglio equipaggiate

Il giorno 12 febbraio sbarcò  a Tripoli  Erwin Rommel, generale della Wermacht, che vista la difficile situazione, iniziò subito a prendere accordi di natura tattico organizzativa con il nuovo comandante in capo Generale Gariboldi, subentrato a Graziani.

Il giorno 14 invece iniziarono ad affluire in Africa i primi soldati tedeschi, inquadrati nel  C. T .A. (Corpo Tedesco d’Africa).

Si incominciarono così a predisporre tute le misure per un adeguata difesa della Tripolitania e per organizzare una futura controffensiva verso Bengasi.

L’offensiva italo – tedesca iniziò il 4 marzo e senza problemi venne subito riconquistato l’abitato di el Mugta, così anche le truppe del Commonwealth  furono costrette a ripiegare.

Nel frattempo però il giorno 21 le truppe italiane dislocate a sud nei pressi dell’oasi di Giarabub, e che da tempo resistevano con ogni mezzo all’assedio inglese, dovettero arrendersi.

L’accaduto se da una parte preoccupò gli alti comandi militari italiani che memori dell’operazione Compass suggerivano un atteggiamento difensivo, dall’altro non scoraggiarono Rommel che invece, notata la dispersione delle truppe inglesi, decise che era giunto il momento di incalzare nuovamente le prime linee britanniche per ricacciarle fuori dalla Libia.

La decisione si rivelò quanto mai azzeccata e anche in questo caso, come era già successo agli italiani nella seconda metà del 1940, la lunga linea di rifornimenti  non  sufficientemente potenziata costrinse Londra al ritiro delle proprie truppe che, incapaci di  approvvigionarsi adeguatamente e dovendo subire la forza d’urto nemica, furono costrette a cedere il passo alle truppe italo tedesche.

Fu così che la “riconquista” della Libia proseguì il 24 marzo con la ripresa di el Agheila situata ad est lungo la via Balbia. 

Mentre le ricognizioni aeree segnalavano un movimento retrogrado delle brigate inglesi l’avanzata di Rommel non conosceva sosta e il giorno 31 ritornò in mano italiana anche Marsa el Brega[48].  Con l’inizio di Aprile e con la rioccupazione di Agedabia, le truppe italo tedesche si attestarono nei pressi di Bengasi la cui  riconquista avvenuta  il giorno 4 fu salutata con sollievo dalla popolazione civile rimasta in città.

Avanzando sia lungo la via litoranea che attraverso il deserto lungo la pista del Gebel, le forze dell’Asse fecero ripiegare gli inglesi fino a Sollum in territorio egiziano.

A questo punto Rommel interruppe l’avanzata per risolvere due questioni aventi la massima priorità: la riconquista della cittadella di Tobruk, aggirata dall’avanzata, le cui difese davano riparo a 35000 inglesi; e l’aumento delle difese sulla linea Bardia – Sollum che sarebbero dovute servire in caso di contrattacco britannico.

Due furono gli attacchi  che le forze dell’Asse portarono alla piazzaforte di Tobruk, il primo tra il 14 ed il 17 aprile, il secondo  tra il 30 Aprile e il 4 Maggio, ma entrambi fallirono.

Gli alti comandi, abbandonata così l’idea di uno scontro frontale per riprendere la cittadella, decisero di porla sotto assedio[49]. A tal proposito però, intuendo che gli inglesi avrebbero contrattaccato per rompere l’assedio di Tobruk, le forze dell’asse costituirono un apposita linea difensiva più a ovest nei presi di Ain el Gazala, dove attestarsi per impedire  l’avanzata nemica.

La reazione inglese non si lasciò attendere e già il 15 maggio, con l’operazione “Brevity” le truppe guidate dal General Wavell cercarono di avanzare in territorio libico, ma questa volta le difese approntate dallo schieramento italo tedesco ressero e i britannici furono costretti al ritiro.

Stessa sorte toccò all’operazione “Battleaxe” che costò persino il posto al comandante inglese sostituito da General sir Auchinleck.

Respinti i contrattacchi britannici le truppe dell’asse approfittarono per poter riordinare truppe e servizi[50], consolidando così la propria linea dei rifornimenti.

Fu così che sino a novembre a situazione sul fronte africano risultò praticamente immutata.

Emblematiche furono le parole di Rommel, commentando le operazioni appena concluse affermò

 

“nella guerra moderna non era mai stata intrapresa fino allora un’offensiva così impreparata."[51]

 

Sino a quel momento il bilancio delle truppe dell’asse in Africa, dall’arrivo di Rommel, risultava alquanto positivo, ma le lacune dovute all’insufficienza di mezzi e materiali adeguati avrebbe messo a nudo, da li a poco, tutte le debolezze dello schieramento italo tedesco.

 

 

L’OPERAZIONE CRUSADER

 

 

Dal novembre 1941 le forze dell’asse iniziarono ad approntare tutte le misure necessarie per espugnare definitivamente le difese di Tobruk. Più precisamente la cacciata degli assediati dalla cittadella avrebbe permesso allo schieramento italo – tedesco di dirottare sul fronte egiziano uomini e mezzi impegnati nell’assedio.

Ciò nonostante i comandi italiani manifestarono forti preoccupazioni nei confronti dell’alleato tedesco sulle misure necessarie a riacquisire il controllo di Tobruk. Infatti secondo il Maresciallo d’Italia Cavallero un offensiva  se da una parte avrebbe reso possibile la cacciata degli inglesi dalla Libia, dall’altra avrebbe lasciato pericolosamente scoperto il fronte ad un contrattacco britannico.

La “volpe del deserto”, non si fece però impressionare dalle preoccupazioni italiane e fedele alla propria tattica offensiva ma allo stesso tempo sicuro della linea difensiva costituita a  Ain El Gazala, decise di iniziare i preparativi  per la riconquista di Tobruk.  I timori italiani però questa volta si dimostrarono fondati  e l’attacco fissato da Rommel a Tobruk  per il 20 Novembre non ebbe mai inizio a causa  dell’ennesima offensiva britannica denominata questa volta “Crusader”. Questa volta le truppe di Auchinleck, riorganizzate nell’ 8a Armata potevano contare su un totale di sette divisioni equipaggiate con 770 carri armati, tra cui spiccavano i nuovi Crusader (che diedero appunto il nome all’operazione), i carri da fanteria Matilda II , i Valentine e gli americani M3 Stuart. Inoltre Il supporto aereo poteva essere garantito da 1.000 aeroplani, di vario genere, della R.A.F..

A fronteggiarli c’erano invece la 15ª e 21ª Panzer Division (che disponevano di 260 panzer) , la 90a Divisione leggera, che però aveva sofferto di pesanti perdite durante gli scontri precedenti,  le divisioni di fanteria italiane Savona, Pavia, Bologna, Brescia, Trento, la Divisione motorizzata Trieste e la Divisione corazzata Ariete equipaggiata con 154 carri armati. A contrastare la superiorità della R.A.F. c’erano invece 120 velivoli della Luftwaffe e 200 appartenenti alla Regia Aereonautica.

L’offensiva, che ebbe inizio il 18 novembre,  ebbe come primo obiettivo il permettere al XXX° Corpo d'armata di dirigersi verso Bardia, presidiata da forze italiane, col compito di ricongiungersi con le forze intrappolate a Tobruk che nel frattempo avrebbero dovuto rompere l'assedio. Tuttavia l'offensiva britannica almeno inizialmente non riuscì e le forze corazzate inglesi  subirono pesanti perdite nello scontro tra carri armati nei pressi di Sidi Rezegh, poco distante da Tobruk, mentre il XXX° Corpo d'armata rallentava la propria avanzata fiaccato dall’intenso fuoco dei pezzi da 88 mm.[52] schierati lungo la linea.

Cruenti furono anche gli scontri nei pressi di Bir El Gobi dove la divisione corazzata Ariete in una battaglia tra carri distrusse 50 carri armati britannici a fronte della perdita di 34 dei suoi. Sempre a Bir el Gobi si distinse anche il reggimento Giovani Fascisti, che riuscì ad impegnare il nemico, garantendo così una più sicuro ripiegamento delle forze italo tedesche. Infatti pur riuscendo inizialmente a respingere l’urto nemico le forze dell’Asse, resesi conto della superiorità tecnologica e logistica del nemico, scelsero di ripiegare sino alla linea difensiva di Ain el Gazala.

Il 21 novembre, la volpe del deserto, per alleviare la pressione sulle forze italiane e sulle sue divisioni di fanteria leggera, raccolse tutti i carri armati ancora disponibili, e sfruttando il supporto aereo della Luftwaffe, lanciò un contrattacco lungo  la frontiera egiziana per cogliere alle spalle le forze Alleate.

Gli inglesi pur temendo il peggio decisero di non arretrare mantenendo le posizioni e sferrarono un ennesimo contrattacco contro le forze di Rommel con la 4ª Divisione indiana. A questo punto gli italo tedeschi  non furono più in grado di mantenere la linea difensiva visto che il 27 novembre, la 2a Divisione neozelandese era riuscita a formare un collegamento con la guarnigione asserragliata a Tobruk , a prezzo di pesanti scontri con i bersaglieri italiani, rompendo così l’assedio. Le forze comandate da Cunningham e Auchinleck continuarono a premere sulle linee italo-tedesche, che furono costrette a ripiegare ancora più a ovest sino a Marsa el Brega, lasciando così la cirenaica in mano nemica. Pur essendo penetrati nuovamente in territorio libico l’operazione “Crusader”, che ebbe un enorme costo in termini di uomini e mezzi, non ottenne il suo obbiettivo principale che era quello di distruggere definitivamente le divisioni moto-corazzate dell’Asse.[53]

Dal canto loro le forze italo tedesche pur trovandosi in condizioni di inferiorità sia numerica che tecnologica riuscirono a contenere l’avanzata del nemico, tema questo che d’ora in poi sarà comune a tutta la campagna d’Africa sino alla resa di Capo Bon.

 

 

L’ULTIMA AVANZATA ITALO-TEDESCA

 

 

L’avanzata scaturita dell’operazione “Crusader” mise però in grave difficoltà l’imponente impianto logistico che le forze inglesi avevano mobilitato per poter conseguire il loro obbiettivo. Infatti Le truppe britanniche, dopo essere penetrate in Libia, risultavano troppo sparse lungo il fronte, mentre le linee di rifornimento non approvvigionavano efficientemente uomini e mezzi che non erano ancora riusciti a rinforzare le posizioni appena guadagnate.

I comandi italo tedeschi, conoscendo dopo l’offensiva del 1941 i problemi scaturiti da una così lunga avanzata, decisero di contrattaccare evitando così che il nemico potesse consolidare le proprie posizioni. L’attacco ebbe inizio il giorno 21 gennaio 1942 alle ore 8:30, e le truppe inglesi, causa i problemi sopra elencati e la velocità con cui venne sferrato l’assalto, furono costrette ad un veloce ripiegamento verso nord-est. La “Volpe del deserto” sfruttando il momento decise di incalzare le truppe del Commonwealth al fine di poterle definitivamente distruggere. Il giorno 22 fu ripresa Agedabia e nelle giornate tra il 23 e 24 furono attaccate le divisioni inglesi dislocate a Giof el-Matar (est di Agedabia).

Il contrattacco causò forti perdite alle forze britanniche, che lasciarono sul campo circa cento pezzi d’artiglieria, più di cento mezzi, tra corazzati ed autoblindo, e mille prigionieri. Ciò nonostante le divisioni motocorazzate inglesi riuscirono a ritirarsi evitando quella “rotta” tanto sperata da Rommel.

Diversa invece fu la sorte della 2ª Brigata corazzata britannica, che intercettata dall’Afrikakorps durante il tentativo di ripiegamento nei pressi di El-Cherruba, fu completamente annientata[54]. Il proseguire dell’avanzata, messo in difficoltà dagli scarsi rifornimenti di carburante costrinse i comandi italo tedeschi a non inseguire direttamente le forze inglesi che stavano dirigendosi verso El-Mechili, ma di spostarsi invece verso Bengasi.

Dopo aver riconquistato  per la seconda volta la cittadina libica e approvvigionate le truppe, Rommel diramò l’ordine di riprendere l’avanzata in direzione di El-Mechili, che trovandosi a metà strada tra Tobruk e Bengasi rappresentava un punto strategico troppo importante per essere lasciato in mano inglese.

Come era già successo in precedenza l’idea di un avanzata così in profondità suscitò i timori dei comandi italiani, che giudicando l’operazione alquanto rischiosa avrebbero preferito attestarsi a difesa delle posizioni raggiunte.

Ecco cosa intendeva fare il Maresciallo d’Italia Ugo Cavallero responsabile del comando supremo:

 

dobbiamo metterci in una situazione tattica tale da poter sfruttare gli autocarri e avere l’appoggio dei caccia.

Questi sono i miei concetti a Maraua, campo avanzato protetto con caccia. Intanto aprire il porto di Bengasi, ricuperare i nostri pezzi di artiglieria, di cui abbiamo otturatori e alzi, e mandare quello che occorre per investire Tobruk. Fino a che non siamo in grado di fare questo è bene mantenere una situazione difensiva idonea.

Io non mi sento di portare la fanteria più avanti. […]

Affermo che se Rommel intende portare le fanterie più avanti mi oppongo nel modo più assoluto. Più  avanti ammetto solo forze mobili. Prego far sapere tutto ciò con molto tatto al gen. Rommel. Non abbiamo alcuna intenzione di legargli le man[55]i.

 

Però considerati i buoni risultati conseguiti da Rommel al comando supremo fu ordinato comunque di portare il Corpo d’armata e di manovra sino a El Mechili. A questo punto le truppe dell’Asse, per evitare che un avanzata troppo ardita si dimostrasse incapace di mantenere le posizioni raggiunte, decisero di fermarsi per potersi riorganizzare e potenziare le proprie linee di difese. A tale scopo tutto il fronte, sino alla costa fu minato.

Questo il punto che Rommel fece in data 14 febbraio in un telegramma inviato al comandante Cavallero:

 

<<io giudico la situazione come segue: il nemico si è ritirato con tre divisioni(XIII Corpo) sulla linea Bir Achein-Acroma. A nord, sulla posizione avanzata Bir Achein-Ain Gazala, stanno 3 brigate. Dinnanzi a queste vi sono elementi esploranti. Nella fortezza di Tobruk ed immediatamente a sud stanno 2  divisioni. […]

La massa delle divisioni nemiche ha subito, durante gli ultimi tre mesi, perdite notevoli. Per completarle e in corso il trasporto di personale e di materiale. L’affluenza di nuovi reparti non si è ancora verificata. Le gravi perdite subite e la perdita delle basi di rifornimento in Cirenaica, dovute al nostro contrattacco, costringono per ora il nemico alla difensiva>>. […]

Le posizioni raggiunte dall’Armata corazzata nel settore Agedabia – Bengasi ed a cavallo di Srontar, come pure nel settore Mechili-Tmim, sono favorevoli per le azioni che sono attese nei prossimi mesi ed in particolare dopo che sarà effettuata la posa, ora in corso, delle mine in alcuni tratti del terreno a noi antistante e delle piste che conducono a Msus e ad Agedabia.

L’arma aerea ha ora a disposizione nuovamente tutti i campi della Cirenaica, soprattutto Martuba e Derna.

Inoltre il possesso della Cirenaica ci consente di estendere le nostre basi di rifornimento e ci ha permesso di ristabilire il diretto collegamento con la Grecia[56]

 

Iniziò così un lungo periodo di stasi operativa che si sarebbe protratto sino alla fine di maggio.[57]

Il giorno 30 aprile gli alti comandi decisero di pianificare una nuova offensiva contro le linee nemiche. L’avanzata che avrebbe dovuto portare le truppe dell’asse a Tobruk si sarebbe concretizzata con un accerchiamento delle forze britanniche impegnate al centro del loro schieramento da un attacco di fanteria.

Le operazioni iniziarono il 26 maggio con un intenso bombardamento delle linee nemiche a cui seguì il pianificato attacco di fanteria. Purtroppo qualcosa nel piano italo tedesco non funzionò e le forze corazzate, che avrebbero dovuto accerchiare il nemico, non riuscirono nel loro intento a causa di una forte concentrazione di truppe britanniche nei pressi di Bir Hakein. Qui dopo aspri scontri, che videro impegnate le divisioni Trieste ed Ariete, le truppe dell’Asse, non riuscendo a sfondare le linee nemiche furono costrette a ripiegare.

La crisi di rifornimenti che stava colpendo le forze di Rommel però non impedì che il 1 giugno si sferrasse un attacco alla piazzola di Got el Ualeb la cui conquista permise di liberare la pista Capuzzo, punto strategico fondamentale che avrebbe consentito alle truppe corazzate di muoversi con più facilità verso il confine egiziano.

A questo punto le armate italo tedesche furono costrette ad un atteggiamento difensivo[58], al fine di poter potenziare le proprie difese e dar modo alle forze schierate di approvvigionarsi di benzina, acqua e munizioni.

Questa sosta però diede la possibilità ai comandi inglesi, che disponevano ancora di ingenti forze, di scagliare subito un contrattacco contro le linee nemiche.

Scattò così il giorno 5 giugno l’operazione Aberdeen che però non riuscì ad avanzare neanche di un metro visto che i comandi italo tedeschi avevano predisposto efficaci difese. Gli inglesi non desistettero e due giorni dopo impegnarono nuovamente il nemico, ma anche in questo caso i risultati furono deludenti.

Respinti i tentativi di assalto nemico non restava altro che sfondare la linea difensiva di Ain el Gazala per poter poi cingere d’assedio Tobruk. Bir Hakeim (in arabo "Pozzo del vegliardo") risultava l'estremo baluardo di questa linea fortemente difesa e pesantemente minata dalle truppe britanniche ed alleate che, dalla costa, si snodava per 70 km nel deserto libico. Questo caposaldo rappresentava inoltre un notevole ostacolo per le forze dell'Asse che per garantirsi i rifornimenti necessari erano costrette ad aggirarlo da sud, con un notevole dispendio di tempo e risorse. A difesa della cittadella c’erano inoltre una brigata della Legione Straniera francese (i cui effettivi erano principalmente formati da ex combattenti repubblicani spagnoli) e un migliaio di volontari della Brigata Ebraica che non si sarebbero arresi facilmente visto che non essendo riconosciuti dalla Società delle Nazioni come forze combattenti, ma come esuli politici, non sarebbero stati tutelati dalla Convenzione di Ginevra una volta divenuti prigionieri. Gli scontri furono durissimi  e il giorno 11 giugno Bir Hakeim alzò bandiera bianca arrendendosi alle truppe di Rommel. Da li a poco anche la linea difensiva di Ain el Gazala sarebbe caduta permettendo così alle truppe italo tedesche di continuare la loro trionfale avanzata. L’operazione che  aveva sbaragliato le linee nemiche suscitò l’ammirazione di Mussolini, che vedeva riaccese così le sue speranze di un arrivo ad Alessandia. Queste le parole di elogio che il Duce rivolse al Generale Bastico:

 

[…] vivo elogio ai comandanti ed alle truppe italiane e tedesche tutte che ai successi conseguiti in venti giorni di duri combattimenti, eroicamente sostenuti in Marmarica, hanno oggi aggiunto quello più vasto di Ain el Gazala. A voi e ed al Ge. Rommel, valoroso condottiero delle truppe sul campo di battaglia, il mio particolare compiacimento[59].  

 

A questo punto le divisioni italo tedesche puntarono direttamente verso la piazzaforte di Tobruk per cingerla sotto assedio. Questa volta l’assedio ebbe i suoi frutti e già il giorno 21 giugno le truppe inglesi asserragliate nella cittadella dovettero arrendersi. La presa di Tobruk  permetteva così di accorciare di qualche centinaio di chilometri le linee di rifornimento che sin a quel momento partivano da Tripoli e Bengasi. Con l’8ª Armata in fuga verso l’Egitto i vertici militari dell’asse si trovarono di fronte ad una difficile scelta: lanciare la famigerata operazione C3 per la conquista di Malta, oppure inseguire in territorio egiziano le truppe inglesi per poterle annientare. Il comando supremo italiano propendeva per la presa di Malta che a dire di Cavallero:

 

L’operazione di Malta, oltre che a risolvere il problema dei traffici del Mediterraneo, ci restituirebbe la piena disponibilità delle nostre forze aeree, che sono oggi vincolate al settore mediterraneo e così rimarranno fino a che Malta resti in possesso del nemico. Lo svincolo delle forze aeree, sommato con gli altri vantaggi della presa di Malta, significherebbe per noi il riacquisto della libertà di manovra, fattore di primordiale importanza per la vittoria[60].

Dall’altra parte lo stesso cancelliere tedesco Adolf Hitler auspicava invece per una rapida avanzata in Egitto ponendo in secondo piano il problema dei rifornimenti ostacolati da Malta. Questa la lettera che in quei giorni il Fuhrer inviò al Duce:

 

il destino ci ha offerto una possibilità che in nessun modo si presenterà una seconda volta sullo stesso teatro di guerra. Il più rapido e totalitario sfruttamento di essa costituisce a mio avviso la principale prospettiva militare. Fino ad ora ho sempre fatto tanto a lungo e completamente inseguire ogni nemico battuto quanto è stato consentito dalle nostre possibilità. L’8ª Armata inglese è praticamente distrutta. […] se ora i resti di questa Armata britannica non venissero inseguiti fino all’ultimo respiro di ogni uomo succederebbe la stessa cosa che ha fatto sfuggire il successo agli inglesi quando giunti a poca distanza da Tripoli si sono improvvisamente fermati per inviare rinforzi in Grecia. Soltanto questo errore capitale del Comando inglese ha allora reso possibile che il nostro sforzo fosse premiato dalla riconquista della Cirenaica. Se adesso le nostre forze non proseguono fino all’estremo limite possibile nel cuore stesso dell’Egitto si verificherà innanzi tutto un nuovo afflusso di bombardieri americani che, con aeroplani da lunga distanza, possono facilmente raggiungere l’Italia. […] Ma l’inseguimento senza tregua del nemico condurrà al disfacimento. Questa volta l’Egitto può, sotto certe condizioni, essere strappato all’Inghilterra.[…]. La dea della fortuna nelle battaglie passa accanto ai condottieri soltanto una volta. Chi non l’afferra in un momento simile non potrà raggiungerla mai più. Il fatto che gli inglesi abbiano, contro tutte le regole dell’arte bellica, interrotto la loro prima marcia su Tripoli per cimentarsi in altro terreno ci ha salvato, Duce, ed ha condotto in seguito gli inglesi alle più dure sconfitte.  Se ora noi tralasciamo di inseguire gli inglesi sino all’annientamento il risultato sarà che più tardi avremo una quantità di preoccupazioni. Accogliete, Duce, questa preghiera soltanto come il consiglio di un amico che da molti anni considera il suo destino come inseparabile dal vostro e che agisce in conseguenza. Con felice cameratismo. Hitler[61].

 

Non avendo sufficienti materiali e mezzi per poter intraprendere entrambi le operazioni i comandi militari e politici dell’asse, in preda al’euforia del successo in Africa Settentrionale, decisero di accantonare l’operazione C3 per potersi concentrare sulla distruzione delle armate inglesi in fuga verso l’Egitto. Il 25 giugno l’avanzata proseguì riconquistando il caposaldo di  Sidi el Barrani, mentre il giorno 29 la presa di Marsa Matruh, cittadina costiera dell’Egitto, permise alle divisioni corazzate di Rommel di proseguire l’assalto contro le forze inglesi.  Gli ultimi giorni di Giugno videro le stremate forze dell’asse raggiungere la “strozzatura” di Alamein. In questo punto la linea del fronte risultava essere larga all’incirca cinquanta chilometri  per la presenza a nord del mare e a sud invece della depressione di El Qattara, che risultava impraticabile per le divisioni corazzate.

 

 

LE TRE BATTAGLIE DI  EL ALAMEIN

 

 

L’offensiva italo – tedesca  partì il primo luglio, quando le truppe guidate da Rommel tentarono di aggirare le postazioni nemiche per poter continuare la loro avanzata. La disparità di forze, la scarsità di rifornimenti e la particolare natura del terreno fecero si che il piano adottato non  potè essere portato a compimento, causando invece uno stallo nell’avanzata delle divisioni corazzate dell’asse. La linea inglese forte di 150.000 uomini equipaggiata con 1.114 carri armati aveva retto all’urto dei circa 96.000 soldati italo tedeschi appoggiati da 585 carri.

I comandi dell’asse decisero così che era giunto il momento di attestarsi a difesa delle posizioni guadagnate sino a quel momento.

Questa decisione non scaturì solamente dalla mancato sfondamento delle linee nemiche nei pressi di El Alamein, ma sopratutto dalla drammatica condizione in cui versavano uomini e mezzi, che logori dopo l’avanzata di inizio ’42, iniziavano a sentire il peso di un inadeguata linea di approvvigionamento.

Queste le parole del Maresciallo d’Italia Ugo Cavallero  datate 1° Agosto:

 

tutti i comandanti chiedono ufficiali che siano fisicamente efficienti e con un minimo di preparazione. La fanteria è stanca, molto provata, non ancora reintegrata con complementi. Ciò vale tanto per gli italiani che per i tedeschi. Però non vi sono alternative. Le sostituzioni sono impossibili. Il soldato va curato. Non si può da lui pretendere se non lo si cura, specie nel vitto e nell’acqua. Soldati della “Bologna”, al passaggio del gen. Rommel, hanno chiesto acqua. Ha richiamato l’attenzione sulla necessità di potenziare la difesa di Marsa Matruk verso cui non sono da escludere tentativi di sbarco avversari. I “Commandos” stanno svolgendo una attività che ci provoca difficoltà notevoli. […] La razione d’acqua da bere dei nostri soldati, in certi settori è ridotta ad un litro al giorno. Al rancio caldo i tedeschi procedono con le cucine a nafta. I carristi sono anche dotati di fornello a spirito. Il nostro soldato non ha nulla di simile, l’impiego della legna è impossibile: occorrerebbe portarla dal Gebel. […] la 90ª  div. Germanica si è motorizzata integralmente a Tobruk con materiale inglese[62]

 

Importante infatti fu per le divisioni dell’asse il fatto che l’8° armata britannica in ritiro dalla fortezza di Tobruk avesse lasciato indietro ingenti quantità di rifornimenti e mezzi ancora in perfetto stato. A tal proposito è da citare anche la testimonianza di Paolo Caccia Dominioni, comandante del 31° Battaglione Genio, il quale afferma  che i magazzini nella cittadella espugnata:

 

[…] sono molti e favolosamente ricchi; villaggi interi di magazzini specialmente lungo la strada per Derna, e tra i forti Pilastrino, Solaro e Arienti. Vi sono alte piramidi di birra in scatola, baracche strapiene di farina bianchissima, di sigarette, di tabacco, di uniformi bellissime; e tonnellate di corredo Kaki, con la meravigliosa tela a grossa trama che pare pesante e quando la si mette sembra di portare un velo rinfrescatore. E marmellate, e fiumi di whisky, e scatolame prezioso[63].

 

Basti inoltre ricordare che solo il 60 – 65% di materiali arrivato nei porti libici dall’Italia giungeva alle unità in linea in misura mai superiore al 40% degli invii originari.[64]

Verso la metà di luglio il General Auchinlek, comprendendo la difficile situazione in cui versavano le truppe di Rommel,  decise di passare alla controffensiva.

Tre furono gli attacchi britannici che si susseguirono dal giorno 15 al 27 luglio, solo l’esperienza accumunata in mesi di guerra e l’alto spirito di sacrifico permisero agli italo tedeschi di non essere travolti.

Dopo questa serie di attacchi e contrattacchi ne seguì una fase di stallo, in cui Rommel ebbe la  possibilità di ottimizzare al meglio le scarse risorse a propria disposizione. Il tempo però dava anche la possibilità alle divisioni britanniche di rinforzarsi e questo avrebbe reso vulnerabile lo schieramento dell’asse che rischiava di venir travolto da un ennesima controffensiva nemica. Fu così che la volpe del deserto, in un ultimo tentativo per poter far pendere le sorti della battaglia dalla propria parte, elaborò un nuovo piano offensivo. Questa volta l’attacco, programmato per la fine di Agosto, avrebbe previsto la penetrazione nello schieramento nemico per poterlo aggirare e aggredirlo alle spalle. Purtroppo i piani dei comandi italo tedeschi incapparono nella ormai cronica penuria di rifornimenti che sarebbero serviti a muovere  con efficienza le divisioni moto corazzate.  Infatti  l’asse disponeva per tale offensiva solamente di 8.000 tonnellate di nafta[65], contro le 30.000 necessarie per poter attuare l’attacco. Visto però che l’attendere avrebbe in ogni modo rafforzato il nemico, che stava ammassando un numero ragguardevole di uomini e mezzi,  gli alti comandi decisero comunque di sferrare l’attacco facendo affluire la nafta necessaria durante l’offensiva.

Rommel iniziò a muoversi l’ultimo giorno di agosto, ma i mezzi corazzati rimasero intrappolati fin da subito nei fitti campi minati, più profondi del previsto. Il primo settembre,  nei pressi di Alam el Halfa e dopo un giorno di sanguinosi combattimenti Rommel decise di fermare l’avanzata.

Oltre all’accanita difesa inglese il mancato sfondamento della linea nemica andava sopratutto imputato a quei carichi di nafta, che intercettati durante il loro viaggio dall’Italia alla Libia, vennero distrutti lasciando i serbatoi delle truppe corazzate dell’asse a secco.

La situazione dei rifornimenti alle truppe diventava così giorno dopo giorno sempre più disperata, e i problemi non erano da imputare solamente alla mancata presa di Malta.

Come scrisse il Maresciallo d’Italia Cavallero dopo un suo colloquio con il Duce:

 

il Duce ha rilevato che le deficienze prospettate derivano dall’impreparazione degli anni che hanno preceduto l’entrata in guerra. Concorda con la mia obiezione sul fato che se dopo il 1930 si fosse dato costantemente impulso alla preparazione oggi la situazione sarebbe ben diversa. Sulla nostra entrata in guerra, in anticipo sul preveduto, egli aggiunge : “ la storia non può scegliere orari ed itinerari[66]”.

 

A questo punto le truppe italo tedesche vista l’impossibilità di avanzare decisero di adottare uno schieramento prettamente difensivo, aspettando la controffensiva inglese. Nelle  sei settimane di stallo che ne seguirono i britannici radunarono 200.000 uomini e 1.000 carri armati di modello recente, tra cui 270 Sherman americani, pronti per essere utilizzati contro i circa 100.000 soldati dell’asse appoggiati da più o meno  200 carri. La battaglia iniziò alle 21:40 del 23 ottobre  quando 900 pezzi campali britannici aprirono il fuoco lungo tutta la linea. Al  sostenuto sbarramento di artiglieria seguì poi un pesante bombardamento aereo, mentre alle ore 22:00 ebbe inizio l’avanzata delle truppe di fanteria. I risultati dell’offensiva, seppur condotta con ingenti forze, non furono quelli sperati e le due linee d’attacco prospettate dal General Sir Bernard Montgomery non riuscirono a sfondare le difese italo – tedesche.  Nonostante i rallentamenti subiti gli alleati, in netta superiorità numerica, decisero di sferrare un altro attacco alla linea dell’asse. L'operazione, denominata Supercharge, iniziò il 2 novembre 1942. La pressione sugli italo tedeschi divenne insostenibile e Rommel, capito che ormai era impossibile arginare l’avanzata inglese, decise di ripiegare. Gli ordini provenienti da Roma e Berlino imposero di non arretrare nemmeno di un metro di fronte al nemico e così fu fatto, ma ormai ogni difesa era impossibile e nella notte tra il 3 e il 4 novembre anche gli ultimi capisaldi dovettero cedere al dilagare di un nemico numericamente superiore. Questo il testo del telegramma inviato da Hitler a Rommel in quei giorni:

Il popolo tedesco segue con me l’eroica battaglia difensiva con immensa fiducia nel vostro comando e nel valore delle truppe italo tedesche. Nella situazione in cui ella si trova non c’è altro da fare che non arretrare di un passo e lanciare nella battaglia ogni arma ed ogni combattente disponibile. Notevoli rinforzi aerei le saranno apportati questi giorni. Anche il Duce e il Comando Supremo faranno il massimo sforzo per darle i mezzi di continuare la lotta. Nonostante la sua superiorità anche il nemico sarà al termine delle sue forze. Non è la prima volta nella storia che la ferrea volontà ha il sopravvento sui battaglioni più forti. Alle vostre truppe non resta altra via che la vittoria o la morte. HITLER[67].

La disparità tecnologica e numerica questa volta ebbe il sopravvento e inutili furono i sacrifici di intere divisioni, come la Folgore e l’Ariete, che sino all’ultimo si opposero al nemico con ogni mezzo sino all’estremo sacrificio.

                              Manco la fortuna,  non il valore

Meglio di qualsiasi altra parola questa frase, ancora oggi incisa sul sacrario militare di El Alamein, sintetizza il sacrificio dei soldati italiani.  Il ripiegamento verso Fuka, a circa 90 chilometri ad ovest di El Alamein, fu drammatico, migliaia di soldati italiani, non disponendo di automezzi su cui salire per potersi ritirare, vennero lasciati a piedi nel deserto, mentre molti carri armati ormai privi di nafta vennero distrutti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO IIIª

LA PERDITA DELLA LIBIA E

L’INGRESSO IN TUNISIA

 

 

LA PERDITA DELLA TRIPOLITANIA

 

 

Giunti a Fuka Rommel cercò di riorganizzare le forze per poter in qualche modo arginare la travolgente avanzata britannica, ma lo sforzo risultò vano. D’altronde gli uomini e i mezzi a disposizione non consentivano di più. Il XX° corpo contava due compagnie bersaglieri e due pezzi dell’Ariete, altrettanto della Littorio, il Iª Btg. E il IIª Btg. Del 66° Rgt. E quattro pezzi della Trieste, una compagnia di formazione messa in piedi con i dodici carri efficienti delle due divisioni corazzate e questo era tutto. Il XXIª corpo disponeva di un battaglione della divisione di fanteria Lupi di Toscana, già destinato a diventare il Iª Btg. Del 61° Rgt. Fanteria e del 205° Rgt. Artiglieria della Bologna. La 15a  Panzer aveva otto carri, duecento uomini, dodici pezzi da campagna e quattro controcarri; la 21a Panzer poteva contare su trenta carri, quattrocento uomini, venticinque pezzi da campagna e sedici controcarro; la 164 a  leggera era ridotta a seicento uomini. Non esisteva più nemmeno un cannone da 88[68]. Disperso invece risultava tutto il X° Corpo d’armata.

Considerata la situazione il giorno 5 novembre Rommel ordinò di abbandonare la posizione di Fuka per ripiegare verso Matruh, abitato situato a circa 60 chilometri più a Ovest. Il giorno seguente giunse notizia della fine della Folgore. Circondati dai Bren carriers[69] nemici, ormai privi di munizioni, sfiniti, i resti della divisione paracadutista consistenti in duecento ufficiali e tremila soldati furono costretti ad arrendersi. La ritirata stava assumendo un ritmo disastroso a causa della pressione incontenibile dell’8ª Armata britannica.

Drammatica è anche la testimonianza del sottotenente Andreolli che osservava allibito :

 

[…] la valanga di automezzi, stracarichi di uomini emaciati e stanchi […] dal deserto fuggiva una massa baluginante di automezzi e uomini malconci, mossi unicamente dall’ansia di raggiungere la litoranea […].

Gli passò accanto un tre assi italiano, destinato evidentemente, data l’emergenza, a fungere da ambulanza, il quale procedeva lentamente con un carico di feriti ed ammalati le cui grida di dolore e le proteste si acuivano ad ogni sobbalzo del veicolo soverchiando il rombo del motore[70].

 

Quando il giorno 6 Novembre le truppe inglesi arrivarono a quaranta chilometri da Matruh i comandi italo tedeschi decisero di sgomberare la cittadina per evitare un accerchiamento che li avrebbe costretti ad una capitolazione. Iniziò così il ripiegamento lungo la linea Sollum – Hafaya, situata sul confine libico egiziano. Sotto l’incessante bombardamento  della Desert Air Force enormi colonne lunghe decine di chilometri ripresero la loro marcia verso ovest. Nonostante le enormi difficoltà le armate italo tedesche raggiunsero il confine libico, punto strategico importante visto che per salire sul tavolato di Sollum occorreva superare due passaggi obbligati costituiti appunto dalla stretta di Sollum e dal passo Halfaya. Si iniziarono perciò a pianificare i tentativi di difesa della Cirenaica. Qui Rommel aveva contato di difendere le posizioni con la Divisione Giovani Fascisti, che abbandonata a Siwa durante la battaglia di El Alamein, stava risalendo verso Giarabub (situata a  circa 300 chilometri a sud di Halfaya). Purtroppo le forze attese dalla volpe del deserto non sarebbero mai arrivate in tempo e fu così che egli decise di ripiegare ulteriormente verso ovest. Questo ulteriore ripiegamento indispettì alquanto il comando supremo italiano che contava invece sulla linea Sollum – Halfaya per poter riorganizzare le forze e costituire efficaci difese nei pressi di El Alghelia. Intanto gli eventi si susseguirono e il giorno 8 Novembre truppe anglo americane iniziarono a sbarcare in Algeria e Marocco incontrando scarsa resistenza. La manovra per accerchiare le truppe italo tedesche in Africa era ormai iniziata.

I comandi dell’asse corsero ai ripari e il giorno 10 iniziarono a far affluire truppe in Tunisia. Come affermava il capo del comando supremo italiano:

 

Così abbiamo occupato Francia, Corsica e Tunisia. Si è avuto in tal modo la possibilità di avere il possesso del punto del’Africa più vicino all’Italia : Tunisi. Le guerre puniche hanno avuto luogo per la posizione tunisina, il cui possesso ha dato all’Italia il dominio nel Mediterraneo.

Dell’attuale situazione derivano parecchi compiti, di primissima importanza: anche qui il problema dominante è quello di trasporti. […]

Il campo di battaglia in Tunisia ha aspetto europeo e quindi molti gravi problemi africani come la mancanza di acqua li non si presentano. Dobbiamo cercare di rigettare l’avversario verso Orano e dobbiamo puntare verso il Marocco[71].

 

Abbandonato il confine libico egiziano le divisioni dell’asse si diressero verso la linea difensiva di Ain el Gazala, che già mesi prima aveva respinto l’offensiva britannica. Questa volta però le condizioni erano diverse e le disparità di forze non avrebbero permesso l’arresto delle truppe inglesi. Resosi conto che una difesa ad oltranza sia di Tobruk che della linea di Ain el Gazala avrebbe portato solo al completo annientamento delle forze italo tedesche, Rommel ordinò di continuare il ripiegamento verso la Tripolitania.  La deficienza di carburante però non permetteva di puntare direttamente su Agedabia o almeno, su Bengasi, perché il percorrere le malagevoli piste del deserto avrebbe condotto a maggiori consumi. La ritirata doveva perciò seguire la via Balbia, il che, in compenso, avrebbe reso possibile un miglior funzionamento dei servizi. Naturalmente occorreva mandare a vuoto ogni tentativo di aggiramento, nonché evitare, con un opportuno dispositivo, il pericolo di eventuali mosse avvolgenti britanniche lungo le piste provenienti dal El Mechili. Per tali motivi senza attendere che la pressione dell’8° Armata si sviluppasse a pieno, alle due del 14 Novembre Rommel ordinò l’immediato abbandono delle posizioni di Ain el Gazala. Il gruppo di combattimento del XX° Corpo e dell’ Afrika Korps vennero avviati sull’itinerario interno del Gebel, gli altri reparti sulla via Balbia. La 90a leggere continuava ad operare come retroguardia; avrebbe seguito anche essa la litoranea fermandosi all’altezza di Beda Littoria Slonta per dare sicurezza al grosso dell’Armata corazzata italo tedesca.

Dal canto suo Mongomery, non potendo continuare lo “sfruttamento del sucesso”  data la situazione logistica, dispose di avanzare direttamente verso la città di Bengasi e l’abitato di Antelat senza seguire la Balbia. In questo modo avrebbe cercato di colpire le divisioni italo tedesche sul fianco.

Intanto il giorno 15 iniziò lo sgombero della città di Bengasi,  che proseguì sino al giorno 18.

La situazione per la popolazione civile non ancora sfollata divenne drammatica, ecco la testimonianza del paracadutista Raffaele Doronzo, in città quei giorni:

 

arrivati ad un angolo vedo nella via laterale due arabi che escono da una villetta con un gran fagotto sulle spalle; come ci vedono buttano tutto a terra e fuggono precipitosamente. Andiamo avanti ed arriviamo ad una palazzina a due piani circondata da un giardino. Qualche bomba deve essere scoppiata nei pressi perché ha tutti i vetri infranti e sui muri i segni delle schegge.

Entro e trovo una decina di persone fra cui alcune donne italiane, le prime che vedo dal luglio scorso, e che mi sembrano terrorizzate. Vengo fatto salire al secondo piano e poi sul terrazzo da dove puoi vedere tutto intorno. La faccenda è davvero seria, da qualsiasi parte si guardi, vedi gruppi di arabi che stanno mettendo a sacco le case intorno e mi rendo subito conto che non posso far niente[72].  

 

Contemporaneamente la situazione dei rifornimenti si faceva sempre più critica. Alcune cacciatorpediniere italiane, cariche di nafta e dirette verso Bengasi, dovettero essere dirottate perché le manovre di attracco al porto sarebbero risultate troppo pericolose.

Nel frattempo ad Agedabia le forze comandate da Rommel, che  avevano evitato l’accerchiamento inglese, si incontrarono con la Divisione Giovani Fascisti che proveniva da Giarabub. Da qui si decise di attestarsi sulla linea difensiva di el Agheila situata al confine tra Cirenaica e Sirtica.

La Cirenaica risultava così definitivamente persa. Le avanguardie inglesi occuparono in sequenza Tobruk, Bomba, Derna, Bengasi , città care agli italiani che erano costate sudore e sangue ai coloni giunti li dall’Italia.

Sino a quel momento le truppe italo tedesche in ritirata avevano percorso ben 1.200 chilometri nel deserto sotto i continui attacchi dell’aviazione britannica.

Il giorno 23 novembre Rommel a colloquio con Bastico poteva affermare:

 

I resti delle forze di El Alamein sono schierati in zona Agedabia Mars el Brega. L’ordine del Duce, approvato da Fuhrer, è di difendere la Tripolitania sulle posizioni Agheila Marada. Questa è una linea molto sottile, che non può essere rafforzata con le truppe che giungono dall’avanti. Il nemico ha quindi la possibilità di rompere questa linea sottile e di aggirare dal sud. Io prevedo un attacco lungo la rotabile Bir es Suera, e tutto quanto ripiega viene utilizzato come riserva mobile, da impiegarsi nel punto ove avverrà l’attacco.

Quanto ordinato dal Duce verrà eseguito; però se il nemico dovesse attaccare con ingenti forze, sarà l’annientamento degli ultimi resti dell’Armata.[73]

 

Su questa linea il comando supremo italiano faceva molto affidamento, soprattutto perché qui si poteva contare sull’appoggio aereo delle forze schierate in Libia.

Rommel però non era molto convinto di poter tenere la linea difensiva a lungo e propose di:

 

[…] ripiegare sulla linea di Buerat per lasciare al nemico la “lunga via della sete” e vedere di guadagnare tempo fino all’arrivo dei rinforzi.

Non dobbiamo accettare battaglia; se l’accettiamo, anche battendosi da eroi, è l’annientamento[74].

 

Di diversa opinione era invece il Maresciallo d’Italia Cavallero che invece affermava:

 

[…] sulla difesa da impostare ad oltranza sulla linea di Marsa Brega( El Aghila). In caso di cedimento andremo a finire agli Sciott[75] tunisini e rimarremo chiusi in un ridotto battutissimi.[…]

La situazione generale è che se abbandonate la linea di El Agheila per quella di Buerat può darsi che non possiate tenere neanche questa. Il contraccolpo si avrebbe anche in Tunisia. Se abbandoniamo la Tripolitania ci chiudiamo in un assedio difficile da sostenere, con gravi difficoltà anche per i rifornimenti.[76]

 

Tra le due posizioni venne cercato un compromesso e alla fine fu deciso di durare finché possibile sulla linea Marsa el Brega Marada e organizzare all’immediato suo tergo le forze motocorazzate dell’Armata. Fu stabilito inoltre di ricostituire  più indietro, anche a Buerat, gli elementi ripiegati abbisognevoli di maggiore riassetto e quindi inadoperabili sulle posizioni di El Agheila.

Quando fosse stato giudicato necessario invece sarebbe stato il momento di spostare gradualmente a Buerat le fanterie sostituendole ad El Agheila con forze mobili.

Questo lo schieramento italiano ad El Agheila il primo dicembre 1942:

 

·        Divisione di fanteria Pistoia composta da:

o       35° Reggimento fanteria su tre battaglioni

o       36° Reggimento fanteria su tre battaglioni

o       3° Reggimento artiglieria su due gruppi da 100/17 e 2 da 75/27

o       Servizi: 51° Sez. Sanità

o       In rinforzo : un gruppo da 105/28, un gruppo da 75/27 e due batterie da 65/17

·        Divisione di fanteria La Spezia composta da:

o       125° Reggimento fanteria su tre battaglioni e una compagnia guastatori

o       126° Reggimento fanteria su tre battaglioni e una compagnia guastatori

o       XXXIX Battaglione esplorante

o       LXXX Battaglione controcarri

o       80° Reggimento artiglieria su un gruppo da 105/28 e tre da 65/17

o       LXXX Battaglione misto genio

o       Servizi: 80° Sez. Sanità e 180° Sez. Sussistenza

o       In Rinforzo: Battaglione San Marco, VI Battaglione Camicie Nere e 8 batterie di vario calibro

·        Divisione di fanteria Trieste composta da:

o       65° Reggimento fanteria su tre battaglioni e una compagnia mortai da 81mm

o       66° Reggimento fanteria su due battaglioni, uno controcarro e una compagnia mortai 81mm

o       LII Battaglione misto genio

o       21° Reggimento artiglieria su un gruppo da 100/17 e due da 75/27

o       Servizi: 90ª  Sez. Sanità e 176° Sez. Sussistenza

·        Divisione corazzata Giovani Fascisti composta da:

o       Reggimento Giovani Fascisti su tre battaglioni fanteria e uno controcarro

o       8° Reggimento Bersaglieri su tre battaglioni

o       136° Reggimento artiglieria su un gruppo da 100/17 e tre da 65/17

o       XXV Battaglione misto genio

o       Servizi: 53° Sez. Sanità

o       In rinforzo: IX Battaglione autonomo, due compagnie guardia alla frontiera e tre batterie di vario calibro

 

Le intere forze dell’asse ammontavano a 83.000 combattenti, di cui 33.000 italiani e 50.000 tedeschi. Esse disponevano inoltre di 42 carri medi italiani e 54 tedeschi; 21 carri leggeri o autoblindo italiani e 25 tedeschi; 179 pezzi da 47mm e 225 artiglierie campali di vario calibro italiane e 162 pezzi controcarri (di cui 48 da 88mm provenienti dalla 19° Divisione contraerea tedesca) e 69 campali di vario calibro tedeschi[77].

Difficile restava inoltre la situazione dei rifornimenti calcolando che Rommel poteva disporre ogni giorno di 400 tonnellate di nafta se le proprie truppe risultavano in movimento e di 200 se stazionarie, mentre il 30° copro britannico ne riceveva giornalmente 1.000 tonnellate. Le armate italo tedesche disponevano quindi solo del carburante necessario per un ulteriore ripiegamento.

Queste invece la valutazione approssimativa delle perdite globali subite dal regio esercito dall’inizio della battaglia di El Alamein sino allo schieramento sulla linea difensiva di El Algheila:

 

·        Personale: 30.000 tra morti, feriti e dispersi

·        Armi di accompagnamento: 110 mortai da 81mm

·        Armi controcarro e contraerei: 1.700 cannoni e mitragliere

·        Pezzi di artiglieria: 380

·        Carri medi: 470

·        Carri leggeri: 50

·        Autoblindo: 40

·        Automezzi: 5.300

·        Sanità: 430 tonn.

·        Viveri: 1.700 tonn.

·        Vestiario ed equipaggiamenti: 1.600 tonn.

·        Munizioni: 11.000 tonn.

·        Genio: 5.000 tonn.

·        Chimico: 250 tonn.

·        Carburante: 700 tonn.

·        Automezzi d’intendenza: 2.700, di cui più della età inefficienti[78] 

 

Dal canto suo Montgomery aveva imposto una sosta alla propria armata, infatti egli conosceva bene il significato strategico della stretta di El Agheila e non voleva fornire a Rommel l’ennesima occasione per poter sferrare un contrattacco e riconquistare la Cirenaica.

Ovviamente anche le truppe del Commonwealth dovevano fare i conti con la delicata situazione logistica, visto che l’avanzata da El Alamein aveva allungato di molto la linea dei rifornimenti. Fu così che la pausa decisa dall’8ª Armata britannica permise di riattivare i porti di Bengasi e Tobruk in modo da poter approvvigionare adeguatamente gli uomini al fronte.

Stabilizzata la situazione logistica gli inglesi ripresero la loro avanzata e all’alba del 14 dicembre fu sferrato l’attacco contro la linea di El Agheila. Le probabilità di reggere l’urto di due divisioni corazzate britanniche risultava praticamente nullo e fu così che dopo un accanita resistenza Rommel decise di far ripiegare i propri soldati verso Buerat.

La situazione diventava di giorno in giorno sempre più difficile e si prospettava la perdita dell’intera Libia. Categoriche erano quindi le istruzioni provenienti da Roma:

 

Su linea Buerat truppe A.C.IT. (armata corazzata italo tedesca) si fermino con compito resistenza oltranza. Fate conoscere at Maresciallo Rommel che questo est ordine categorico del Duce[79]

 

Ma anche questa volta Rommel, che probabilmente aveva un quadro più ampio della situazione, ribattè:

 

Se perdiamo anche questa battaglia il nemico andrà indisturbato fino a Tunisi. E non cè nessuno che potrebbe sbarrargli la strada[80].

 

Inoltre in Tunisia il terreno montuoso avrebbe potuto offrire condizioni assai migliori contro la preponderanza dell’8ª Armata inglese.

Lo stesso Generale Bastico, che si dichiarava d’accordo con gli ordini di Mussolini affermava che la difesa ad oltranza su Buerat era possibile solamente se:

 

At patto che madrepatria compia subito uno sforzo eccezionale per far giungere quanto est all’uopo indispensabile in rifornimenti e mezzi[81]

 

Bisognava disporre di ingenti rifornimenti che l’Italia purtroppo non era in grado di schierare. Inoltre gli alleati avevano iniziato pesanti bombardamenti sia su Tunisi che su Biserta in modo da rendere difficile se non impossibile lo sbarco di rinforzi.

Considerati tutti questi fattori si decise che sarebbe stato inutile sacrificare immediatamente i resti delle armate corazzate italo tedesche e si decise di resistere a Buerat il più a lungo possibile evitando così l’intero annientamento.

Il 29 dicembre ebbe inizio lo scontro a Buerat. Pur difendendosi con ogni mezzo disponibile le truppe italo tedesche iniziarono il ripiegamento verso ovest. La situazione si faceva sempre più critica e la possibilità che le truppe superstiti da El Alamein venissero accerchiate da nemici provenienti da sud (Sahara libico) erano sempre maggiori. Fu così che il comando supremo prese la dolorosa decisione di rinunciare alla difesa ad oltranza della Tripolitania per ripiegare in Tunisia.

Questa la motivazione che fornisce il Maresciallo d’Italia Cavallero:

 

noi stiamo mandando in Tunisia uomini e materiali e viveri, ma la rotta diretta per Tripoli non è più possibile e non possiamo alimentare dalla sola Tunisia due scacchieri. Le conseguenze sono chiare. Si è già orientati sull’abbandono della Tripolitania. Tutto il personale civile dovrà rimanere sul posto in modo da dare uno spettacolo di ordine e di organizzazione. Mete lontane per noi sono Algeri e Marocco. L’abbandono della Tripolitania non è una ritirata ma una manovra per il potenziamento della Tunisia.[82]

 

Inoltre la zona intorno a Tripoli risultava tatticamente svantaggiosa per una difesa ad oltranza. Infatti il campo trincerato di Tripoli, approntato già in tempo di pace, poteva sorreggere attacchi di fanteria, al massimo appoggiata da esigue aliquote di carri e non era quindi idoneo a sopportare l’urto dell’8ª Armata Britannica. Per di più bisognava calcolare anche un eventuale offensiva nemica proveniente dalla Tunisia che avrebbe posto sotto assedio le truppe asserragliate in città.

Così mentre le forze di Rommel ripiegavano verso la linea del Mareth,  fu dato ordine di evacuare la capitale della Libia.

Questa decisione, che come abbiamo visto fu obbligata per i comandi Italiani, destò profonda impressione sia nell’opinione pubblica italiana che nei soldati al fronte.

Questa la testimonianza del Sottotenente Andreolli mentre le ultime colone di militari italiani abbandonavano Tripoli:

 

la città era immersa in un sinistro silenzio, rassegnata alla resa; quegli uomini che col pianto nel cuore percorrevano per ultimi le sue buie contrade accusavano nel loro intimo una sensazione mai conosciuta: la ripugnanza. Ciascuno la scorgeva nel volto dell’amico che gli era accanto; ripugnanza non per la cara città libica bensì per coloro che a prescindere da ogni e qualsiasi considerazione di carattere strategico, avevano deciso tale abbandono. Tripoli non valeva nemmeno una fucilata!

“ Porca Vacca,” – si udì esclamare nel buio della cabina di guida dell’automezzo –“ Facciamo schifo. Noi e chi ci comanda. Macché arditi del cielo e della terra[83]… Sputiamoci in faccia a vicenda. “[84]

 

Le autorità italiane ebbero però cura di lasciare nella maggiore possibile efficienza ogni servizio pubblico,impianti idrici ed elettrici, rinunciando a distruzioni che avrebbero danneggiato l’avversario ma messo in profonda crisi i civili.  Anche questa volta come accadde a Bengasi, dopo l’abbandono delle truppe italiane e l’arrivo di quelle inglesi,  la popolazione civile subì violenze e saccheggi da parte degli arabi.

Il 23 gennaio 1943 il tricolore innalzato dai marinai di Cagni[85] nel 1911 venne ammainato e al suo posto salì l’Union Jack. Nella città provata dai bombardamenti e dalle distruzioni entrarono le colonne corazzate britanniche che si diressero immediatamente verso il fronte tunisino.

 

 

IL RIPIEGAMENTO SULLA LINEA DEL MARETH

 

 

Dal 19 gennaio in poi iniziò il deflusso dell’armata italo tedesca verso la Tunisia. Queste sono le cifre che il comando supremo italiano forniva riguardo le perdite subite durante il ripiegamento dalla Tripolitania:

 

·        Uomini: 2.019

·        Fucili mitragliatori: 20

·        Mitragliatrici: 53

·        Fuciloni controcarro: 6

·        Mortai da 81mm: 3

·        Pezzi da 20mm: 2

·        Pezzi da 47mm: 10

·        Pezzi d’artiglieria: 13

·        Semoventi 75/18: 3

·        Carri “M”: 31

·        Automezzi vari: 903

·        Motocicli: 51[86]

 

Già il giorno 7 gennaio il Maresciallo d’Italia Cavallero assieme al suo pari tedesco, generale Kesserling, si recò a Medeine per visitare le fortificazioni francesi di Mareth. Questa linea difensiva era stata definita la “ Maginot del deserto” , ma nulla giustificava tale appellativo, né la robustezza naturale della posizione, né, l’entità dei lavori di fortificazione eseguiti.

Parte della linea inoltre era stata smantellata  dalla Commissione Italiana di armistizio con la Francia che aveva ordinato la demolizione degli ostacoli passivi, delle piastre e di tante altri sistemi difensivi.  Per renderla efficiente bisognava ripristinare le vecchie strutture abbandonate e ammodernare quelle già esistenti.   Il comando supremo aveva previsto un periodo non inferiore a due mesi per il ripristino di tutte le difese del Mareth L’opinione di Rommel però era assai critica a  proposito , infatti la volpe del deserto affermava:

 

Ritengo incerto il tener lontana dalla posizione di Mareth per due mesi ancora l’8ª Armata, ora di molto superiore alle mie attuali forze disponibili.[87]

 

Per accelerare i lavori vennero predisposti all’incirca 10.000 lavoratori, tratti dalle unità dei servizi  a mano a mano che queste si rendevano meno indispensabili alle esigenze dello scacchiere operativo.

Però proprio in quel periodo per fortificare la testa di ponte n Tunisia gli alti comandi decisero di far ripiegare a Sfax la 15° Panzer, lasciando così ancora più in difficoltà l’armata italo tedesca in ripiegamento.

In conseguenza  dell’ingresso in Tunisia delle forze della Libia, si rendeva necessario ed urgente un complesso e totale riordinamento delle forze dell’Asse operanti in Africa Settentrionale.

Il Comando Superiore della Libia assolto il difficile e grave compito di portare a termine lo sgombero della Tripolitania, si rendeva disponibile; la permanenza del Generalfeldmarschall Rommel, ammalato e depresso, al comando dell’Armata non era considerata più opportuna né era d’altronde desiderata dal comando Supremo. Queste le affermazioni a riguardo del Maresciallo d’Italia Cavallero:

 

[…] Rommel da quando ha lasciato El Alamein non ha più combattuto. Sono contrario a dargli libertà di azione perché abbiamo visto come si è comportato quando l’aveva[88].

 

Riferendosi al ripiegamento dalle posizioni di El Agheila, poi continuava affermando:

 

[…] mentre è senza dubbio il migliore dei generale dell’Asse come uomo di prima linea, non è un abile stratega.[89]

 

Sorgeva la necessità inoltre di costituire un comando superiore unico che riunisse le proprie dipendenze la 5ª Armata già operante in Tunisia e le forze ripieganti dalla Libia; occorreva riordinare su nuove basi i servizi di intendenza, l’Aeronautica, la Marina, ecc.

Fu cosi che le forze armate dell’Asse in Tunisia vennero riordinate in due Armate: 5ª Corazzata a nord, al comando del Generaloberst Jűrgen von Arnim, già in sito; Armata corazzata italo tedesca ( successivamente prima armata) a sud, al comando sino a nuovo ordine del maresciallo Rommel (quindi del Generale d’Armata italiano Messe, il cui arrivo dall’Italia era previsto per il giorno 31 gennaio)[90].

Quando Messe giunse in Africa, portò con se direttive precise da Roma. Esse imponevano:

 

1.      Vostro compito  è difendere a qualunque costo fronte sud Tunisia nella zona di Mareth.

2.      Linea difesa ad oltranza è posizione Mareth. La protezione del fianco destro tra Gebel Ksour e Chott Gerid deve essere assicurata. Provvedimenti a questo fine sono già in corso da parte del generale De Stefanis il quale ha ordine di attenersi alle vostre istruzioni.[91]

 

Per far ciò la prima Armata disponeva di quattro divisioni di fanteria italiane (Trieste, Pistoia, Spezia e Giovani Fascisti) e di due divisioni di fanteria tedesche (90ª  e 164ª ). Vi erano inoltre il D.A.K.[92] cui in quel momento era rimasta la sola 15° Divisione corazzata, la 19° Divisione contraerei tedesca, il Gruppo Sahariano, le cui truppe equivalevano ad una debole divisione, un reparto esplorante, reparti vari di artiglieria e genio di armata, italiani e tedeschi. In tutto una forza di poco più di 100.000 uomini[93].

Difficile però resta la situazione dell’aereonautica che con i mezzi a disposizione difficilmente poteva competere con quella nemica. Questa la situazione delineata da Messe riguardante la disastrosa situazione della 5ª squadra aerea:

 

Macchi 200 – in carico 14, senza piloti

Macchi 202 – in carico 49, efficienti 18[94]

 

Dall’Italia comunque iniziarono ad arrivare rinforzi. In febbraio giunse in Tunisia il X°Btg. CC. NN. “M”, che fu assegnato alla div. “GG. FF.”; quello stesso mese arrivò anche il Btg. Complementi 364° e 367°, che vennero assegnati ai due corpi d’armata, il 365° Btg. venne assegnato al Raggruppamento Sahariano, e due gruppi del 131° Rgt. Artiglieria della Div. Centauro[95]

Per quanto riguardava le forze tedesche sotto il comando della prima armata esse risultavano al 50% della forza organica e presentavano gravissime deficienze di materiali e mezzi. Fu per questo motivo che a fine febbraio e nella prima quindicina di marzo giunsero in Africa dalla Germania due compagnie di fanteria per la 164ª  Divisione e due compagnie per la 90ª , mentre la 15° Divisione corazzata ricevette un battaglione.

La posizione di Mareth, dopo la prima decade di Febbraio si era rapidamente rafforzata, specialmente nella parte frontale, ove campi minati, reticolato , fosso anticarro, capisaldi di primo scaglione erano diventati in marzo assai robusti[96].

Questa la situazione totale della linea:

 

·        Fosso anticarro: su m. 47.800 preventivati costruiti m. 40.500, in corso m. 5.000;

·        Allargamento, approfondimento fosso anticarro: su m. 17.500 preventivati eseguiti m. 14.500, in corso m. 3.000;

·        Reticolato: su km. 180 preventivati costruiti km. 154, in corso km.14;

·        Mine anticarro: impiegate 99.500;

·        Mine antiuomo: impiegate 70.000;[97]

 

Verso il 15 febbraio, con il rientro delle ultime nostre retroguardie dietro al linea di Mareth, l’inseguimento britannico iniziato ad Alamein il 4 Novembre e protrattosi per oltre 2.500 km., era finito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO IV

OPERAZIONI MILITARI

IN TUNISIA

 

 

OPERAZIONI “FRŰHLINGWIND” E ”MORGENLUFT”

 

 

Dopo che le truppe erano ripiegate dietro la linea del Mareth, il Generalfeldmarschall  Kesserling assieme Rommel, il Generale d’Armata Messe e il Generaloberst Von Arnim decisero di prendere l’iniziativa nel settore centrale della Tunisia allo scopo di guadagnare posizioni difensive strategiche e di allentare la pressione delle forze americane provenienti dall’Algeria.

Fu così che vennero pianificate le operazioni Frűhlingswind (vento di primavera) e Morgenluft (brezza mattutino). Questi gli obbiettivi delle operazioni descritti da Kesserling:

 

L’Armata corazzata italo tedesca, immediatamente di seguito alla suddetta azione, dovrà attaccare a tenaglia su Gafsa annientandovi le forze nemiche colà dislocate.

Garantita la conca di Gasfa, l’attacco dovrà essere continuato contro Tozeur per raggiungere condizioni di sicurezza verso Ovest[98].

 

La conquista della conca di Gafsa avrebbe permesso di allontanare il pericolo di  un eventuale offensiva nemica su Gabès, punto questo di ripiegamento nel caso in cui fosse caduta la linea del Mareth.

Per mettere in atto questa manovra  Von Arnim disponeva di circa 150 carri armati, mentre Rommel solo di 50; entrambi avevano a disposizione una ventina di cannoni da 88mm. Il 14 febbraio le unità corazzate di Rommel (10ª e 21ª Panzer Division) si lanciarono all'attacco nei pressi di Sidi Bou Zid travolgendo le avanzanti formazioni americane e distruggendo in poche ore una cinquantina di carri statunitensi. Intanto nel settore di Gafsa le truppe americane del General Robinett, che avevano ripiegato su Feriana, lanciarono un contrattacco per poter interdire l’azione tedesca. Il tentativo fu vano e le forze americane furono dapprima bloccate da un potente fuoco di sbarramento dei cannoni da 88mm. e poi definitivamente arrestate dai reparti corazzati. Visto che la situazione si stava complicando le forze statunitensi decisero di attestarsi sul passo di Kasserine.

L’azione di Rommel aveva avuto successo, nelle mani dell’asse erano cadute sia Gafsa che Sbeitla, mentre queste erano le cifre che forniva la 21° Panzer riguardanti le perdite nemiche:

 

·        Prigionieri: 2546

 

Mezzi e materiali catturati o distrutti:

·        Carri armati : 183

·        Veicoli : 280

·        Pezzi da campagna: 18

·        Cannoni controcarri: 3

·        Cannoni contraerei:1[99]

 

Forti del successo i comandi italo tedeschi decisero di proseguire l’azione offensiva verso ovest al fine di:

 

[…] intesa a colpire sul fianco lo schieramento nemico […] ed a minacciare alle spalle il 5° Corpo britannico[100].

 

Venne deciso così di continuare le operazioni puntando sull’abitato di Le Kef, situato più a nord.  La volpe del deserto decise di attuare una manovra a tenaglia passando sia per Kasserine – Thala che per Sbiba Ksour, fu così che il 20 febbraio i reparti della 10ª e 15ª Panzer Division iniziarono il loro attacco.

Le truppe alleate posizionate sul passo di Kasserine furono letteralmente travolte dal’avanzata italo - tedesca e dovettero darsi alla fuga per non essere annientate. Queste le parole del Generale the Hon sir Harold Alexander:

 

mi accorsi che la situazione era ancor più critica di quanto non avessi immaginato ed un ispezione nel settore di Kasserine mi mostrò chiaramente che, nell’inevitabile disordine della ritirata, le truppe americane francesi e britanniche erano state mescolate in modo inestricabile, che non esisteva alcun piano difensivo organico e che l’incertezza più completa regnava nei comandi delle grandi unità.[101]

 

Nella disperata battaglia si distinsero per valore e combattività i bersaglieri del 7° Reggimento, inquadrato nella divisione italiana Centauro, impegnati in durissimi scontri corpo a corpo contro le truppe alleate: il Colonnello Bonfatti, comandante del reggimento, cadde in combattimento mentre guidava i suoi bersaglieri all'assalto delle posizioni nemiche.

Nonostante la schiacciante vittoria Rommel risultava molto preoccupato affermava:

 

[…] la loro dovizia di armi controcarri e di mezzi corazzati era così enorme che potevamo guardare con poche speranze di successo alle future battaglie manovrate.[102]

 

Inoltre era sempre più grande il timore che Montgomery, riorganizzate le proprie forze, scagliasse un massiccio attacco contro la linea del Mareth. Fu per queste ragioni che Rommel inviò questo telegramma al comando supremo:

 

i continui rinforzi fatti affluire alle forze nemiche durante la giornata del 22/2, le sfavorevoli condizioni atmosferiche che impediscono di manovrare fuori delle strade carrozzabili e le crescenti difficoltà che presenta il terreno montuoso per l’impiego delle truppe celeri, lasciano prevedere che la continuazione dell’attacco con le limitate forze a disposizione non ha probabilità di successo. L’armata ha ordinato per tanto, d’intesa con l’OBS, la cessazione dell’attacco ed il ritiro delle truppe attaccanti nelle ore pomeridiane, dopo aver inflitto però gravi perdite al nemico ed averne infranto lo schieramento.

Questa decisione è stata provocata anche dal fatto che la situazione sul fronte di Mareth esige un veloce spostamento, in quella zona, delle truppe mobili delle due armate, per poter colpire fulmineamente il nemico non ancora pronto per l’attacco sulle posizioni di raccolta per ottenere in tal modo un differimento dell’attacco[103].


Il 25 febbraio le forze alleate, grazie al ripiegamento italo tedesco, rioccuparono il passo di Kasserine. Le loro perdite durante la battaglia erano state gravi: 10.000 morti (di cui solo 6.500 del 2° Corpo d'Armata americano) contro i 2.000 delle forze dell'Asse.

 

 

L’AZIONE CAPRI

 

 

Dopo aver allentato la morsa nemica ad ovest, occorreva concentrarsi sul fronte sud dove si trovava dislocata la Iª Armata comandata da Messe.

Queste le forze dell’armata al 20 febbraio:

 

·        XX° Corpo d’Armata composto da:

o       Truppe di Corpo d’Armata: 2.700 uomini

o       Div. Giovani Fascisti : 4.200 uomini

o       Div. Trieste: 5.650 uomini

o       90ª  Div. Leggera: 4.300 uomini

 

·        XXI Corpo d’Armata composto da:

o       Truppe di Corpo d’Armata: 2.800 uomini

o       Div. Spezia: 9.000 uomini

o       Div. Pistoia: 7.450 uomini

o       164ª  Div. Leggera: 5.600 uomini

 

·        Truppe di Armata composte da:

o       Div. Centauro: 5.000 uomini

o       Raggr. Mannerini: 5.000 uomini

o       Raggr. Roncaglia: 2.000 uomini

o       Altre truppe: 4.000 uomini

o       Gr. Carr. Nizza: 300 uomini

o       Gr. Carr. Monferrato: 300 uomini

 

·        Altre truppe tedesche:

o       15° Panzer: 5.200 uomini

o       1° Brigata Luftwaffe: 1.550 uomini

o       Rgt. Gren. Afrika: 1.200 uomini

o       Gruppi esploranti : 1.050 uomini

o       19° Div. Flak : 6.850 uomini

o       Altre truppe: 1.200 uomini

 

Si disponeva così di 76.350 uomini, 80 carri armati efficienti, 87 autoblindo, 536 pezzi controcarro e poco più di 200 pezzi d’artiglieria di vario calibro[104].

Così che il 28 di quello stesso mese il Generalfeldmarschall  Rommel emanò le direttive per la progettata offensiva che venne denominata azione Capri. Essa aveva come compito l’annientamento con manovra avvolgente delle forze nemiche in corso di schieramento tra Medeine e le posizioni di Mareth.

Questi i punti della suddetta operazione illustrata dal Generale Messe:

 

[…] l’attacco sarà svolto dai seguenti gruppi di forze:

a) Colonna “Adler” – tenente generale Ziegler ( D.A.K. con 10°, 15° e 21° Divisione cr.)

sboccherà con 15° e 21° Divisione dai passi del Gebel Tabaga e colla 10° dalla strada di Ksar Hallouf puntando decisamente sulla linea delle alture da Zemlet Lebene e Metameur.

Raggiunta tale linea, sulla quale occorre affermarsi di slancio, la colonna convergerà con la massa verso nord per annientare le forze nemiche, principalmente le artiglierie, schierate avanti alla nostra posizione avanzata.

La 10° Div. cr. Provvederà in particolare, una volta raggiuntala zona di Metameur, alla protezione verso sud ed est. […]

b) Colonna “Bari” – generale Von Sponeck ( gruppi d’attacco delle divisioni fanteria Spezia, 90ª  leggera, Trieste ciascuna di 2 Btg. e 2 gruppi).

Attacco frontale con obbiettivo la linea di q. 214 di Zamlet Lebene Mussa – Uadi Hachichana – Uadi El Mertoum.

La divisione “GG.FF.” svolgerà analoga azione regolando il movimento della propria destra su quello della Trieste[105].   

 

Era evidente che per la riuscita dell’operazione erano necessarie tempestività e sorpresa assoluta. La tempestività soprattutto era necessaria perché, essendo l’affluenza delle forze avversarie in corso, occorreva attaccare non troppo presto, per non fare una puntata nel vuoto, e non troppo tardi, per non trovarsi di fronte a uno schieramento eccessivamente consistente rispetto le forze attaccanti.[106] A tal fine tutti i movimenti avvennero di notte mantenendo un rigoroso silenzio radio. Purtroppo Ultra già dal 28 forniva ai britannici informazioni riguardanti gli ordini e gli spostamenti di truppe organizzati da Rommel. All’operazione partecipavano 141 carri, 50 apparecchi italiani Mc. 202, 60 caccia ME. 109, 30 Jacobs, 20 Stukas, oltre alla fanteria delle divisioni corazzate e aliquote di quattro divisioni di fanteria[107]

Il giorno  6 alle 6:00 l’azione Capri ebbe regolare inizio senza preparazione d’artiglieria e con uomini del genio che si prodigarono all’apertura dei varchi nei campi minati e agli adattamenti necessari a permettere lo sbocco delle colonne dalle posizioni di partenza.

Il contributo di Ultra anche questa però volta fu determinante e le truppe dell’asse trovarono i britannici pronti a respingere l’attacco. Nonostante ripetuti assalti le unità comandate da Rommel non riuscirono a sfondare le linee nemiche.

All’operazione partecipò anche il Sottotenente Andreolli  assieme agli altri uomini della Folgore inquadrati nella divisione Trieste. Questo il suo racconto:

 

A notte inoltrata, lasciate le sue posizioni arretrate, dov’esso era dislocato quale unità di preziosa riserva, scavalcava le prime linee dei fanti, superava i campi minati attraverso i varchi segnati dai minatori e si attestava nella terra di nessuno in attesa della prima salva della nostra artiglieria ch significava l’inizio dell’attacco. in quel buoi più profondo ogni uomo, trovatosi così pericolosamente allo scoperto, era appostato in vigile attesa, immobile col dito sul grilletto; era solo, con un combinato di ansia, nervosismo, eccitazione ed impazienza. Il tempo trascorreva lento fino a quando, all’alba, partivano le prime bordate delle artiglierie italo tedesche.

[…] riecheggiava nello stesso istante dai ranghi l’urlo lacerante Folgore! Che dava l via ad una corsa pazza verso il nemico; gli uomini avanzavano più celermente possibile col fine ultimo di agganciarlo, aggredirlo e travolgerlo.

Le granate comunque fischiavano e scoppiavano sul loro groppone, ma essi passavano imperturbabili sotto i rosoni delle schegge, urlavano come forsennati, imprecavano contro il nemico, lo insultavano sprezzanti con motti blasfemi, oscenità e bestemmie.

[…] qualcuno invero cadeva, ma le fila si ricomponevano per non rompere lo schieramento.

[…] il sole era ormai all’orizzonte, ma di fanteria non si vedeva nemmeno l’ombra; evidentemente la sorpresa era mancata ed esse si erano ritirate passando la patata bollente all’artiglieria.

[…] nell’animo di quegli uomini si faceva largo la delusione; si chiedevano dov’era finito il nemico, come mai, malgrado la loro pazza corsa sotto il fuoco essi non fossero riusciti ad agganciarlo[108].

 

Il resoconto di Andreolli continua poi con la drammatica descrizione dello scontro tra uomini della Folgore e una colonna di carri armati  inglesi che si era avvicinata alle loro posizioni, sorte questa che era già toccata ad El Alamein e che aveva segnato in maniera indelebile le gesta dei paracadutisti italiani. Queste le parole del sottotenente:

 

dall’ansa sbucava d’improvviso il primo carro armato, un Matilda, per cui senza indugio il comandante urlava secco :

“Fuoco, fuoco; dategli addosso; se non lo fermiamo siamo fottuti; se lo fermiamo blocchiamo quelli che lo seguono; dai Folgore!”

I paracadutisti sparavano allora contro il carro con tutte le loro armi, bombe a mano compre, mentre l’equipaggio del carro rispondeva con raffiche di mitraglia.

[…] ad un tratto il carro si fermava sebbene gli altri cingolati lo pungolassero alle spalle. Forse l’equipaggio aveva intuito di essersi buttato in un vespaio; quei colpi sparati dai paracadutisti servivano solo a togliergli il fango di dosso, ma temeva di essere raggiunto dopo tante “carezze” dal colpo di un grosso calibro o di saltare su una mina postagli sotto i cingoli da qualche ardimentoso. Per cui il carro arretrava fino all’ansa defilandosi alla vista degli assalitori.[109]

 

Visto l’andamento degli scontri dovuti alla mancata sorpresa i comandi italo tedeschi decisero di porre termine all’azione Capri il giorno successivo al suo inizio. La distruzione delle forze nemiche in fase di schieramento di fronte alla linea del Mareth non era avvenuta e dunque adesso  non restava altro che prepararsi all’offensiva che Motgomery stava preparando.

 

 

LA BATTAGLIA DEL MARETH

 

 

Come abbiamo visto sin dall’ingresso in Tunisia i comandi italo tedeschi impegnarono i loro sforzi per rendere efficiente la linea del Mareth.

Tale linea difensiva però risultava ben poca cosa contro l’impressionante mole di forze che i britannici stavano facendo affluire in Tripolitania. Lo stesso Rommel non fidandosi a pieno delle difese approntate auspicava un ripiegamento verso nord sulle posizioni di Gabès. Ma le direttive provenienti da Roma erano categoriche, e come era successo già durante il ripiegamento da El Alamein esse recitavano:

 

La posizione di Mareth deve essere difesa in maniera decisiva con tutte le forze e mezzi. È particolarmente importante che anche la posizione avanzata sia difesa se necessario fino all’ultimo, anche se le forze parzialmente impiegate su predette alture venissero distrutte e questo perché esse sono per il complesso della difesa di decisiva importanza. È necessario che ogni uomo comprenda bene la necessità  di  una difesa sino all’estremo.[110]

 

Queste comunque erano le forze schierate lungo la linea del Mareth, da nord a sud, alla data del 15 marzo:

 

·        XX° Corpo d’Armata, comandato dal Generale di corpo d’armata Taddeo Orlando e composto da:

o       Div. Fanteria Giovani Fascisti, comandata dal Generale di divisione Nino Sozzani, formata da:

§        8° RGt. Bersaglieri articolato su tre battaglioni

§        Rgt. Giovani Fascisti articolato su quattro battaglioni

§        136° artiglieria articolato su cinque gruppi

§        XXV battaglione misto genio

§        IX battaglione autonomo

§        Due battaglioni mitraglieri

§        Tre gruppi 75/27

§        XLVIII gruppo c.a. da 75/46

 

o       Div. Fanteria Trieste, comandata dal Generale di divisone Francesco La Ferla, formata da:

§        65° Rgt. Fanteria articolato su tre battaglioni

§        66° Rgt Fanteria articolato su tre battaglioni

§        21° Artiglieria articolato su cinque gruppi

§        LII battaglione misto genio

§        CII gruppo da 77/28

 

o       90ª Divisione di fanteria leggera, comandata dal Generalleutnant Theodor Von Sponeck,  formata da:

§        155° Grenadiere articolato su due battaglioni

§        200° Panzergrenadiere articolato su due battaglioni

§        361° Panzergrenadiere articolato su due battaglioni

§        190ª  Artiglieria articolato su tre gruppi

§        Un battaglione pionieri

§        Un battaglione collegamenti

§        III/47 Panzergrenadiere.

 

o       Truppe di copro da’armata:

§        16° Raggr. Artiglieria di corpo da’armata

§        XXIV battaglione misto genio

§        IV Autogruppo

 

·        XXIª Corpo d’Armata, comandato dal Generale di corpo d’Armata Paolo Berardi e composta da:

o       Div. fanteria Spezia, comandata dal Generale di divisione Gavino Pizzolato, formata da:

§        125° fanteria articolato su tre battaglioni

§        126° fanteria articolato su tre battaglioni

§        80° artiglieria articolato su cinque gruppi

§        XXXIX battaglione esplorante

§        LXXX battaglione controcarro

§        LXXX battaglione misto genio

§        battaglione Tobruk

§        VI battaglione camicie nere

§        due gruppi da 77/28

§        un gruppo contraerea

 

o       Divisone fanteria Pistoia, comandata dal Generale di divisione Giuseppe Falugi, formata da:

§        35° fanteria articolato su tre battaglioni

§        36° fanteria articolato su tre battaglioni

§        3° artiglieria articolato su quattro gruppi

§        LI battaglione misto genio

§        CCCL battaglione mitraglieri

§        XXXI battaglione guastatori

§        CCCXXXII gruppo da 75/27

§        CCCXXXV gruppo da 149/12

 

o       164ª Div. fanteria leggera, comandata dal Generalleutnant Kurt von Liebenstain, formata da:

§        220° Grenadiere articolato su due battaglioni

§        382° Grenadiere articolato su due battaglioni

§        433° Panzergrenadiere articolata su due battaglioni

 

o       Truppe di corpo d’Armata:

§        24° Raggr. Art. di copro d’Armata

§        XXVII battaglione misto genio

§        LXV battaglione collegamenti

§        III Autogruppo

§        CCLXXXV gruppo da 149/12[111]

 

Dietro la prima linea,  si trovavano:

 

o       Raggruppamento Sahariano, comandato dal Generale di divisione Alberto Mannerini, formato da:

§        350° fanteria articolato su due battaglioni

§        290ª  artiglieria su sei gruppi

§        LV battaglione Savona

§        XVI e CXVI battaglioni Pistoia

§        Un battaglione della guardia alla frontiera

§        Un battaglione misto genio

§        Gruppo squadroni Novara

§        Sette compagnie sahariane

 

o       15° Panzergrenadiere, comandato dal Generalleutnant Willibald Borowietz, formata da:

§        115° Panzergrenadiere articolato su tre battaglioni

§        8° Panzer articolato su due battaglioni

§        33° artiglieria articolato su tre gruppi

§        288° Panzergrenadiere Afrika

§        Battaglione Luftwaffenjäger[112]

 

Inoltre per evitare un accerchiamento proveniente da sud elementi leggeri della Iª Divisione furono messi a presidio dei passi di Kreddache e di Ksar el Hallouf.

Questa volta gli inglesi erano convinti di porre fine alla presenza italo tedesca in Africa settentrionale. La conferma la si ha in queste parole pronunciate da Montgomery prima dell’attacco:

 

Nella battaglia che sta per cominciare l’8ª Armata:

o       Distruggerà il nemico che le sta di fronte sulle posizioni di Mareth;

o       Irromperà attraverso la soglia di Gèbes

o       Proseguirà poi verso Nord su Sfax, Sousse e finalmente Tunisi

Non ci fermeremo né rallenteremo la marcia finché Tunisi non sarà stata presa ed il nemico non abbandonerà la lotta o sarà respinto in mare[113]

 

A giustificare questi entusiasmi cerano le certezze di conoscere le posizioni difensive, grazie alle informazioni fornite loro da ufficiali francesi scappati dalla Tunisia, e la consapevolezza di dover combattere contro uomini logorati da una ritirata di ben  2.500 km.

Infatti l’8ª Armata britannica intendeva ripetere l’operazione messa in atto mesi prima ad El Alamein, svolgendo due attacchi, uno principale nella zona costiera e uno concomitante nel settore meridionale desertico.

Il 16 Marzo alle ore 20:30 l’artiglieria britannica iniziò ad aprire il fuoco contro le difese italo tedesche di Mareth, mentre alle ore 23:00 partì l’attacco del’intera Brigata Guards inglese assieme ad alcune aliquote della 50ª divisione che si cagliò contro le posizioni tenute dalla 90ª Div. leggera e dalla divisone Giovani fascisti situate rispettivamente al centro e al nord dello schieramento. Nello stesso momento altri reparti dell’8°Armata attaccarono lungo tutta la linea. Inizialmente le linee italo tedesche sembrarono cedere all’urto inglese, ma con il passare delle ore gli uomini della Iª Armata riuscirono a mantenere le loro posizioni. Particolar prova di coraggio diede il Iª Battaglione 66° Rgt. inquadrato nella Divisione Trieste comandato dal capitano Politi. Queste le parole di elogio spese da Messe nella sua relazione sulla battaglia inviata a Mussolini:

 

Dislocato in posizione avanzata, senza la protezione del fosso anticarro, senza reticolato, esposto agli attacchi nemici da ogni direzione , con un fronte enorme in confronto alle esigue sue forze , si battè eroicamente per nove giorni consecutivi, senza cedere un palmo di terreno sotto la pressione nemica, riconquistando entro due ore l’unica posizione strappatagli dal nemico in un violento attacco, catturando prigionieri, armi, materiali: non contò mai i  propri sacrifici di sangue.[114]

 

Non di meno fecero anche i superstiti della Divisione Folgore inquadrati nel 285° Battaglione, che non solo respinsero gli attacchi nemici ma riuscirono a portare con successo persino un contrattacco contro posizioni conquistate dal nemico.

Questi sono i fatti descritti dal Sottotenente Andreolli presente in quei terribili giorni:

 

Posto fine ai preliminari, i paracadutisti iniziavano ad avanzare strisciando cauti sul terreno pullulante di mine attestandosi, da ultimo, a breve distanza dalle posizioni occupate dal nemico. […] Approntato lo schieramento, attendeva quanto basta per prendere coraggio e, per quanto possibile, studiare l’avversario. Quando ritenne giunto il momento ideale, balzava in piedi, lanciava il grido Folgore! E si buttava sul nemico per primo, disarmato  ma munito della sua inseparabile bacchetta bianca. Come forsennati i paracadutisti lo seguivano, scaraventavano sui nemici una pioggia di bombe a mano che li lasciava storditi, forse con morti e feriti; […] a prescindere dai fanti , uccisi o feriti dalla carica avversaria, che era riuscita a fare breccia nella nostra prima linea, purtroppo l’azzeccato contrassalto presentò amari risvolti; esso aveva richiesto un sensibile contributo di sangue anche tra i nostri paracadutisti.

Tra i feriti più gravi v’era lo stesso comandante di compagnia che, colpito alla testa e perduta pure immediatamente la vista , ebbe la forza, col volto irrorato di sangue, di rimanere al comando fino alla fine del combattimento portando con l’esempio i suoi uomini al successo[115].  

 

Il comandante a cui Andreolli fa riferimento era il Tenente paracadutista Ludovico Artusi, che prima dell’assalto aveva esclamato “vinco o non torno” e le cui azioni appena descritte gli valsero la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione:

 

Comandante di una compagnia, inviata in rinforzo ad un Battaglione per rioccupare una posizione raggiunta dall’avversario, impavido, alla testa dei suoi uomini, sotto intenso fuoco li trascinava in un travolgente vittorioso contrassalto che permetteva di rioccupare di slancio la posizione perduta. Rimasto gravemente ferito alla testa, rifiutava ogni soccorso ed additando ai suoi uomini le posizioni avversarie, gridava con le forze residue: Folgore, abbiamo vinto.

Viva l’Italia

 

El Mareth 23 Marzo 1943.

 

D’altronde le direttive del comando d’armata erano ben precise:

 

[…] reazione massima ed immediata; schiantare ad ogni costo ogni tendenza ad accettare la situazione che il nemico tenta di imporci. La notizia della perdita di una quota deve giungere al Comando insieme a quella del contrattacco in corso; questa mentalità dev’essere in tutti, specialmente nei comandi di battaglione e compagnia; tutti i mezzi devono essere posti in atto per esaltare la volontà di esistenza di ciascuno: dalla medaglia sul campo alla immediata traduzione davanti al tribunale di guerra.[116]

 

Ciò nonostante la disparità delle forze in campo era troppo grande per essere equilibrata dal coraggio dei singoli. Agli uomini dell’Asse mancavano sia mezzi che rifornimenti per poter condurre la battaglia. La deficienza di carburante impedì persino  all’aviazione di colpire con efficacia le colonne nemiche avvistate che si muovevano verso Mareth. Intanto il giorno 17 anche le truppe americane iniziarono a premere ad ovest nei pressi Gafsa dove era schierata la Divisione Centauro. Lo scopo degli alleati era sfondare dai due lati lo schieramento italo tedesco per poterlo circondare ed annientarlo.

 

Quando le forze di Montgomery, dopo sei giorni di lotta spaventosa, che ha ammucchiato i cadaveri inglesi di fronte ai nostri capisaldi, che ha annientato unità di primissimo ordine come la brigata “Guardie”, come battaglioni “Black Watch” e “Durham Light” delle divisioni 50° e 51°, che ha ridotto in briciole i 150 carri della 23° brigata corazzata d’appoggio, che ha reso vano il dispendio di oltre un centinaio di migliaia di colpi  d’artiglieria, che ha ingoiato mezzo milione di bombe della R.A.F. disperse su tutte le linee nelle immediate retrovie, si sono guardate intorno cercando deluse i mirabolanti successi promessi ma non conseguiti, hanno rinunziato alla lotta su questa “infernale” linea di Mareth per correre dietro al miraggio d’una soluzione migliore verso l’ala occidentale del nostro schieramento.[117]  

 

Gli scontri sulla linea del Mareth si stavano dimostrando molto più dispendiosi, in termini di uomini e mezzi, di quello che avevano preventivato i comandi britannici. Fu per questo motivo che il giorno 23 marzo, il General Montgomery decise di cambiare strategia e di aggirare le posizioni difensive passando da Sud e puntando su El Hamma.

Quando iniziarono ad essere avvistate le prime colonne nemiche che passando da sud si dirigevano direttamente verso El Hamma i comandi dell’asse corsero ai ripari. In quel settore c’era solamente il Raggruppamento Sahariano, che da solo in campo aperto non sarebbe stato mai in grado di reggere l’urto dell’offensiva britannica, inoltre la Centauro necessitava di immediati rinforzi se non si voleva che gli americani avanzassero da ovest. Fu per questo motivo si decise di iniziare un ripiegamento dalle linee del Mareth verso la stretta di Gabès, inviando la 21° Panzer verso Gafsa. Per evitare una rotta però occorreva nascondere al nemico l’intenzione di ritirarsi, garantendo il più possibile le posizioni di El Hamma in modo da rendere possibile il recupero del XX° e del XXIª Corpo d’Armata schierato sulla linea difensiva. Per questo motivo il  movimento retrogrado fu organizzato a scaglioni, sfruttando al meglio gli scarsi automezzi disponibili.

La notte del 26 marzo visto il susseguirsi degli eventi fu deciso di dare inizio al ripiegamento verso Gabès sulla linea degli Chotts.

 

 

 

 

IL RIPIEGAMENTO SULLA LINEA DEGLI CHOTTS

 

 

Il giorno 26 quindi, come stabilito, iniziò lo sganciamento della linea difensiva di Mareth che stava per essere aggirata. Il movimento di ripiegamento fu organizzato in tre scaglioni diversi, con un intervallo minimo di 24 ore l’uno dall’altro, causa l’insufficienza di mezzi a disposizione della Iª Armata. Infatti a differenza degli altri eserciti quello italiano, oltre a risultare il più scarsamente munito di automezzi, soffriva anche di un organizzazione poco adatta ad una guerra di movimento.  Più precisamente i mezzi non erano assegnati ai singoli reparti situati sulla linea del fronte, ma bensì essi venivano gestiti dall’intendenza e dai comandi superiori i quali decidevano volta per volta l’invio di colonne presso le unità che ne facevano richiesta. Tale situazione rese quindi ancora più difficile il ripiegamento di intere divisioni visto che le colonne di automezzi dovevano affrontare lunghi tragitti sotto il fuoco nemico prima di poter giungere ai reparti schierati in linea. La preoccupazione maggiore però dei comandi italo tedeschi era quella di resistere il più possibile nel settore di El Hamma in modo da permettere al XX° e al XXI° Corpo d’armata di ritirarsi dalla linea del Mareth. Proprio in quei giorni le ricognizioni avevano rilevato una colonna di oltre 3.000 mezzi britannici diretti proprio in quella direzione, per questo motivo Messe ordino di far affluire a rinforzo del Raggruppamento Sahariano la 164ª Divisone leggera,  e il battaglione Luftwaffe del 125° reggimento. Alle ore 17:00 del giorno 26 Marzo forze corazzate e di fanteria appartenenti all’8° Armata britannica iniziarono ad attaccare da sud la 164ª  Divisone nei pressi di  Kebili – El Hamma in modo da tagliare fuori definitivamente le truppe italo tedesche in ritirata da Mareth. Lo scontro si dimostrò durissimo sin dalle prime battute quando le truppe del Commonwealth riuscirono a penetrare nelle difese per ben 5 Chilometri e solo l’arrivo di due battaglioni della 90ª Divisione leggera e due della divisione Pistoia riuscì nuovamente a ristabilire la situazione. Se gli inglesi fossero riusciti a passare in quel punto non ci sarebbe stato scampo per gli uomini del XX° e del XXIª Corpo d’armata  che si sarebbero trovati circondai dagli uomini di Montgomery. D’altronde gli ordini difesa di El Hamma parlavano chiaro:

 

Difesa del nodo di El Hamma onde impedire qualsiasi ulteriore progresso nemico a cavallo della rotabile Kebili – El Hamma. Se necessario occorrerà sacrificare sino all’ultimo uomo;

[…] contrastare in ogni modo qualsiasi penetrazione verso est e nord – est, onde coprire il ripiegamento delle truppe di Mareth, assicurando comunque la libera disponibilità della rotabile Matmata – Gabès[118]

 

Anche in questo caso il valore e la dedizione degli uomini impegnati in questa difficile situazione riuscì a costo di enormi sacrifici di sangue a respingere l’assalto nemico. Tra i caduti da registrare anche il Generale di divisione Pizzolato, comandante della Divisione Spezia e incaricato del comando delle truppe sulle posizioni di Hamma – Gabès.

Nel frattempo il ripiegamento verso la linea degli Chotts continuava in maniera ordinata. Questa la situazione descritta da Messe in data 28 Marzo:

 

·        La Divisione “Pistoia” al completo ripiega sulla linea Akarit.

·        2 Btg. della 90ª  divisione ripiegano analogamente su linea Akarit schierandosi in linea, a cavallo della litoranea

·        La divisone “Spezia” ritira sulla linea Akarit tutte le proprie forze, eccetto i Rgt. su due Btg. ed un gruppo d’artiglieria.[119]

 

Sempre più critica però risultava la situazione nel settore di El Hamma. Il ripiegamento dalla linea del Mareth non era ancora completato e bisognava quindi resistere ai sempre più violenti attacchi britannici.

Il giorno 28 però la difesa ad oltranza sulla linea Gabès – Hamma  non era più necessaria ai fini del ripiegamento dell’armata dalla linea del Mareth, così alle truppe dell’asse schierate in quella zona non restava altro che ripiegare verso gli Chotts, mantenendo sempre il contatto con il nemico cercando di rallentarlo il più possibile.

Ad Hamma però, visti l’incrementarsi degli attacchi inglesi, si venne a creare una pericolosa sacca in cui rimasero intrappolati il gruppo squadroni Novara, il 350° Rgt. e il 125° Spezia. In questa situazione drammatica pesarono nuovamente come ad El Alamein la mancanza di automezzi, infatti mentre il 350° Rgt. fu capace di ripiegare a bordo di una colonna di automezzi il raggruppamento Novara riuscì solamente a caricare sui pochi autocarri le armi e alcune dotazioni per impedire che cadessero in mano nemiche, lasciando così gran parte degli uomini a piedi nel deserto. Stessa sorte costò anche al 125° Rgt che continuò la difesa ad oltranza. Il giorno 30 finalmente il ripiegamento sia dal Mareth che da el Hamma si concluse con il consolidamento lungo la linea degli Chotts.

Il movimento retrogrado avvenne con successo evitando che le preponderanti forze nemiche riuscissero a circondare e ad annientare la Iª Armata. D'altronde la riuscita dell’operazione fu data anche dalla resistenza che la divisone Centauro, rinforzata dalla 10ª Divisone Panzer, diede ad ovest contro le truppe americane.

Le perdite italo tedesche però furono gravi, considerata la già scarsità di uomini e di mezzi di cui l’Asse disponeva. Queste le cifre fornite da Messe:

 

·        Reparti italiani:

o       Div. fanteria Giovani Fascisti persi: il X/8° bersaglieri e il V/7° bersaglieri

o       Div. fanteria Trieste persi: complessivamente una compagnia

o       Div. fanteria Spezia persi: compagnia comando, I e II/125° fanteria

o       Div. fanteria Pistoia persi: complessivamente cinque compagnie e cinque batterie

o       Raggruppamento Sahariano persi: Btg. Savona, Btg. guardia alla frontiera, VI Btg. CC.NN., gruppo Squadroni Novara, una compagnia controcarri, una compagnia mortai da 81mm, due compagnie sahariane e sedici batterie in gran parte da posizione

·        Reparti tedeschi:

o       164ª Divisione fanteria leggera persi: due battaglioni,  un battaglione de reggimento Panzergrenadiere Afrika, altre forze pari a due battaglioni e dieci batterie.

 

In totale 16 battaglioni, 31 batterie, 91 carri armati e 7.000 prigionieri[120].

Ferme però restavano le intenzioni del comando della Iª Armata:

 

L’armata si è notevolmente assottigliata e mancano il tempo e, forse, anche la disposizione per reintegrarla delle gravi perdite subite. Comunque la ferma decisione di lottare sino all’estremo è in tutti[121].

 

Dal canto loro anche le forze britanniche subirono notevoli perdite. La 23ª Brigata corazzata inglese venne cancellata dallo scacchiere tunisino, mentre davanti alle posizioni italo tedesche vennero contati almeno 150 – 200 carri armati nemici immobilizzati o distrutti. Anche i reparti di fanteria sopportarono gravi colpi, l’intera 50ª Brigata” Guards” venne ritirata dalla campagna mentre la 51ª Divisione subì perdite tali da impedirle di continuare i combattimenti lungo la linea degli Chotts.

La valorosa difesa degli italo tedeschi suscitò preoccupazioni anche nei comandi inglesi per quel che concerneva il proseguire delle operazioni. Queste le parole di Lord Strabolgi:

 

Come abbiamo visto i soldati italiani agli ordini del generale Messe si erano tenuti saldamente insieme ed avevano combattuto con accanimento nelle ultime fasi della campagna tunisina. Si poteva ragionevolmente prevedere che se chiamati a combattere gli invasori sul  suolo della loro Patria essi avrebbero risposto in pieno.[122]

 

LA BATTAGLIA DEGLI CHOTTS

 

 

Le truppe italiane si attestarono quindi nei pressi di Gabès e più precisamente nella strozzatura esistente tra l’estremità orientale dello Chotts el Fedjdadj ed il mare. La linea, lunga all’incirca venticinque chilometri, correva ad est lungo la riva nord del fiume Uadi Akarit, le cui ripide pendenze costituivano un sufficiente ostacolo contro l’avanzata nemica. Ciò nonostante le garanzie di solidità fornite dalle posizioni erano limitatissime, soprattutto nei tratti pianeggianti ai lati delle alture di Djebel el Roumana.

Lo schieramento sulla linea Akarit – Chotts presentava, rispetto a quello sulla linea di Mareth una diminuzione di ben 22 battaglioni e 39 batterie[123], inoltre cera da considerare che la Divisione Spezia, la 164ª e il raggruppamento Sahariano, che avevano sopportato gli scontri dei El Hamma, risultavano fortemente indeboliti. Non migliori erano le condizioni delle altre grandi unità. Questa la situazione complessiva: la Divisine Giovani Fascisti riuscì a mettere insieme sei piccoli battaglioni: i suoi Iª e IIª. L’XIª ed il LVII/8° bersaglieri(con il quale si era fuso il V/7° bersaglieri), il IX° battaglione autonomo ed il battaglione M ( con il quale si era fuso il VIª battaglione camicie nere). La 90ª Divisione leggera aveva due battaglioni del 155° e due del 200° Panzergrenadiere, questi ultimi in riserva d’armata. la Trieste conservava i suoi sei battaglioni tra cui il 285° Folgore. La Spezia aveva il 126° fanteria su tre battaglioni ed il 125° fanteria sul suo IIIª battaglione originario, più il battaglione Tobruk del reggimento S. Marco ed il 39 battaglione esplorante. La Pistoia disponeva dei suoi sei battaglioni ed inoltre del XXXI guastatori e del gruppo Muller( III/115° Panzergrenadiere). Seguiva la 164ª leggera con due battaglioni del 361° Panzergrenadiere, il II/125° fanteria, il I/382° fanteria ed il II/433° Panzergrenadiere.

Il raggruppamento Mannerini aveva sopportato le maggiori perdite. Adesso aveva il Iª e II/350° fanteria, il I/36° bis, un battaglione mitraglieri ed i resti del Iª gruppo Novara, nonché, all’estrema sua destra, il IIIª gruppo Monferrato ed un gruppo compagnie sahariane. Anche l’artiglieria era mal messa: pur se potenziata al massimo, i risultati furono molto limitati, mancando il tempo per ricostruire e schierare i nuovi reparti in via di formazione[124].

Ad indebolire ulteriormente lo schieramento ci fu l’invio ad ovest, nel settore della Centauro, del battaglione Panzergrenadiere Afrika, del battaglione Luftwaffe, il Iª battaglione della 90ª Divisione leggera e della 21° divisione corazzata.

Anche i questo caso come per le situazioni precedenti il Comando Supremo confermò il concetto di resistenza ad oltranza

 

[…] Sia ben chiaro che è preciso intendimento di questo Comando Supremo che si resista tenacemente sulla linea degli Chotts. Dev’essere evitato che si ingeneri nei Comandi, e soprattutto nelle truppe, la sensazione che le attuali posizioni abbiano solo funzione di ritardo.[125]

 

Le posizioni quindi dovevano essere abbandonate solamente su esplicito comando del Gruppo Armate.

Gli inglesi, dopo aver saggiato con puntate offensive le difese situate sull’uadi Akarit, decisero di sferrare un massiccio attacco per respingere ulteriormente le forze della Iª Armata. Alle prime ore del giorno 6 ebbe inizio l’assalto alle posizioni italo tedesche preceduto da un martellante fuoco d’artiglieria. Gli sforzi britannici si concentrarono quasi subito nel settore di Djebel el Roumana, dove era più facile sfondare le difese visto che il tratto piano di quella zona permetteva il passaggio dei mezzi cingolati. Dopo sole poche ore di combattimenti la situazione si dimostrò subito critica e le truppe del Commonwealth, eliminati il 39° battaglione esplorante, il battaglione Tobruk ed il III/125° si accingevano a penetrare nello schieramento dell’asse per rinchiuderlo in un sacca. Questa l’ennesima testimonianza fornita da Andreolli:

 

Fin dal primo istante ogni uomo era stato bloccato nella sua buca dalle granate eruttate all’orizzonte da un serpente di fuoco. I tiri parossistici dell’artiglieria si abbattevano sulle postazioni seppellendo uomini ed armi od avvolgendo tutto in una nube di fumo dall’acre odore di cordite.

La situazione si faceva sempre più drammatica e con le prime luci del giorno si rivelava in tutta la sua gravità. La linea era stata letteralmente sconvolta, trasfigurata, segnata da enormi crateri su cui si accaniva senza sosta un assordante tambureggiamento di artiglieria che copriva ordini, urla, imprecazioni e lamenti. In molte postazioni individuali erano stati posti fuori uso i difensori; in altre uomini accovacciati con le armi in pugno tradivano un espressione che rasentava la follia; ognuno era solo con se stesso, privo di qualsiasi collegamento a filo, a voce od a vista che fosse. […] ogni uomo, affossato, attendeva invano un attimo di tregua mentre con le unghie scavava infaticabilmente nella sabbia alla ricerca di una maggiore protezione. Le ore passavano lente, ma l’artiglieria nemica non dava segni di stanchezza. […][126].     

 

Ma la situazione se pur compromessa non era ancor irrimediabilmente perduta e come scrisse lo stesso sottotenente:

 

Diversamente procedevano le cose nel settore della compagnia autonoma, un po’ defilata, comandata da un anziano esperto abruzzese. Lì la fanteria nemica, che procedeva baldanzosa, veniva affrontata dai paracadutisti usciti d’impeto dalle loro buche. Dallo scontro scaturivano tante azioni spietate, ma dalla scenografia episodica: vedi il caso del paracadutista più anziano della compagnia, padre di cinque figli, che veniva raggiunto da una scheggia di granata che gli spappolava il braccio. Il suo comandante gli si buttava al fianco, gli sussurrava qualche parola di conforto e nel contempo  gli recideva col pugnale i pochi filamenti di stoffa e di carne, che ancora trattenevano il braccio al corpo gettandolo lontano[127]

 

Quell’abruzzese  protagonista di questo drammatico episodio era il tenente Rolando Giampaolo, comandante della compagnia autonoma formata da altri superstiti della divisione Folgore e inquadrata nella divisione di fanteria Trieste. Assieme ai suoi uomini il tenente Giampaolo si stava prodigando per cercare di arginare l’avanzata nemica, questo il suo racconto:

 

Con la mia compagnia venni assegnato alla difesa della quota 102, l’osservatorio di corpo d’armata: io mi trovavo alla destra del battaglione Granatieri ( che alla sua sinistra aveva il battaglione Folgore)  mi saldavo con la divisione La Spezia. Furono giorni di combattimento durissimi e di dolorose perdite. Si distinsero tra gli altri, il già paracadutista libico G. Battista Corlassoli che ebbe il braccio destro amputato da una scarica di Thompson ( fu decorato di M.A.V.M.[128] e M.B.V.M[129]), il Caporal Magg. Mondin, il parac. Ghedin, il parac. Vidoni portaferiti, studente universitario nato a Istanbul, colpito a morte mentre soccorreva un ferito. Io riuscì a salvare parte della mia compagnia grazie ad una efficace serie di contrassalti ed anche al terreno in quel punto a noi favorevole[130].      

 

A prezzo di un enorme tributo di sangue e successivamente con l’aiuto dei mezzi corazzati tedeschi, giunti in rinforzo, i soldati italiani riuscirono a respingere l’assalto nemico rompendo la sacca in cui erano caduti. Per il valore dimostrato al tenete Giampaolo venne concessa la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione:

 

comandante di compagnia paracadutisti contrassaltava truppe avversarie che con l’appoggio di mezzi corazzati erano riuscite ad occupare in forze una nostra importante posizione e dalla quale minacciavano di aggirare tutto lo schieramento della Divisione. Con azione decisa e violenta guidava i suoi uomini e, dopo rapido combattimento all’arma bianca, annientava il nemico, catturando numerosi prigionieri e distruggendo alcuni mezzi corazzati.

 

Uadi Akarit 6 Aprile 1943.

 

Il valore dimostrato e lo spirito di sacrificio però non avrebbero permesso un ulteriore difesa contro le preponderanti forze inglesi che premevano sempre di  più contro gli uomini della I ° armata, fu cosi che il giorno 7 venne dato l’ordine di iniziare a ripiegare verso nord lungo la linea di Enfidaville.

La Iª Armata fornì un ordine di grandezza circa le perdite subite: la fanteria della Spezia era ridotta ad una compagnia e mezza (tatticamente irrilevante), quella della Trieste a tre battaglioni incompleti. Non definibili ma forti le perdite della Pistoia e della 90ª leggera; ancor più pesanti quelle delle artiglierie, specie in materiali, a causa della deficienza di mezzi di traino. L’8° Armata lamentò 1289 perdite e 32 carri distrutti o danneggiati[131].

Alexander nel suo rapporto osservò che, per quanto la battaglia non fosse durata che un giorno, i combattimenti furono:

 

i più accaniti e selvaggi che avessimo sostenuti dopo El Alamein […] gli attacchi ed i contrattacchi si susseguirono sulle colline ed i tedeschi come gli italiani dettero prova di un intrepida determinazione e di un morale senza uguali[132].

 

 

IL RIPIEGAMENTO SULLA LINEA DI ENFIDAVILLE

 

 

La manovra iniziata il giorno 7 aveva l’obbiettivo di far arretrare lo schieramento italo tedesco dalla linea degli Chotts sino ad Enfidaville. Il comando Gruppo Armate si proponeva di far ripiegare la prima armata gradualmente lungo una successione di tappe durante le quali gli uomini di Messe avrebbero dovuto mantenere sempre il contatto con le forze di Montgomery  in modo da rallentargli la strada. Tale manovra, che in gergo militare viene definita “manovra elastica”, appunto perché al movimento retrogrado viene associato una leggera spinta in avanti, veniva così concepita dagli alti comandi per dare la possibilità al D.A.K e ai resti della divisione Centauro, in ripiegamento ad occidente, di raccordarsi con la Iª Armata impedendo al nemico di rinchiuderli in una pericolosa sacca. Questa decisione però fu duramente contestata da Messe il quale riteneva che lo svolgersi del ripiegamento articolato in più tempi e su più linee difensive, avesse potuto mettere in serio pericolo l’esistenza stessa dell’armata da lui comandata. Le motivazioni che lo spingevano a criticare in qualche maniera gli ordini del comando gruppo armate riguardavano essenzialmente la forza d’urto che possedeva l’8° Armata britannica, infatti nella sua relazione egli scrive:

 

Di fronte ad una Armata ultra motorizzata, potentemente corazzata, estremamente mobile come è quella inglese, accettare combattimenti a fondo su linee successive, che distano in media l’una dall’altra dai 40 ai 60 Km., sembra a mio giudizio esporre le nostre truppe a successivi sfaldamenti fino all’esaurimento totale.[133] 

 

Però anche la situazione tattico strategica e la morfologia del territorio tunisino erano fonti di preoccupazioni nei pensieri di Messe. Ecco cosa scrive a riguardo:

 

Dalla linea degli Chotts a quella di Enfidaville corrono, in linea d’aria, circa 250 Km. di terreno assolutamente piatto, dove invano si cercherebbe un serio ostacolo naturale, utilizzabile ai fini anche di un semplice tempo di arresto alle colonne nemiche; anzi la vasta pianura affatto compartimentata neppure dalla vegetazione e dalle colture costituiva un ambiente ideale per l’impiego della massa corazzata nemica, forte di circa 400 carri, non appena fosse riuscita a sboccare dalle nostre posizioni sugli Chotts: massa corazzata che poteva trovare limiti al proprio raggio d’azione solo in contingenti difficoltà logistiche, in funzione dell’aumentare della distanza dai depositi campali, affrettatamente portati in avanti, ma che appunto perciò anelava alla battaglia quanto prima possibile.  […] è noto infatti che i carri nemici hanno un’autonomia di movimento teorica  in terreno vario, che oscilla tra gli 80 Km. per i tipi meno recenti come il carro “ Matilda” da 28 tonnellate, ed i 160 Km. per i tipi più moderni come il carro” generale Shermann” da 31 tonnellate […] Da ciò, e da altri fattori che non vale qui la pena elencare, era lecito dedurre che per sottrarre le nostre truppe non motorizzate al contatto dei carri nemici, occorreva arretrarle di un balzo, autotrasportandole ad una distanza non inferiore ai 100 Km. dalla linea degli Chotts e proteggerle durante la marcia con retroguardie motocorazzate che rallentassero ed impacciassero per quanto possibile i movimenti nemici[134].     

 

Ciò nonostante da buon militare il comandante della Iª Armata si impegnava a:

 

[…] per mia parte profondamente e disciplinarmente ligio alla lettera e allo spirito degli ordini impartiti da detto comando[135].

 

Malgrado tutto la manovra ordinata dal gruppo armate ebbe inizio regolarmente il giorno 7 e i dubbi paventati dal comando della Iª Armata furono subordinati dall’esigenza di non abbandonare i resti della Centauro e del D.A.K. provenienti dalla zona di Maknassy e incalzati dalle truppe statunitensi.

Solo un ritardo nelle comunicazioni permise ai resti della Divisone Trieste, Spezia e alla divisione Giovani Fascisti di ripiegare direttamente su Enfidaville, sottraendosi così alla manovra elastica impartita dal comando gruppo Armate. Questo il telegramma che Messe inviò a Von Arnim illustrandogli appunto l’impossibilità di seguire totalmente gli ordini a lui impartiti:

 

N° 3.046 /Op. Risponde 4.126 odierno. Ordini ripiegamento sono stati da me impartiti ieri sera ore 20:30 in base preavviso ricevuto tramite Capo S.M. tedesco et non potendo supporre che ordine Gruppo Armate avrebbe contenuto  prescrizioni dettagliate circa dislocazione dipendenti divisioni.

Schieramento previsto da Gruppo Armate importava d’altronde incroci di notte non eseguibili. Comunque 879/43segreto giunto ore 23:45 quando non era più possibile dare contrordini. Soluzione adottata per “GG.FF.”” era necessaria per poter ricuperare automezzi per autotrasporto truppe lasciate indietro. Resti “Trieste” et “Spezia” ripiegati su linea definitiva perché eccessivamente logori et in condizioni di non essere reimpiegabili se non dopo riordinamento. Messe[136]

 

Il movimento retrogrado perciò fu organizzato a tappe, impedendo infiltrazioni nemiche all’interno dello schieramento italo tedesco. La prima linea difensiva venne approntata nei pressi di Skirra, all’incirca 25 chilometri più a nord degli Chotts. Qui giunsero il giorno 7 aprile, incalzati dalle truppe britanniche la 90ª Divisione leggera, la Divisone Pistoia, la 15ª Divisone corazzata, la 164ª Divisone leggera e ciò che restava del raggruppamento Sahariano.  La difesa della nuova linea, vista l’enorme disparità delle forze dei due schieramenti, si protrasse solamente per poche ore. Alle 00:35 del 8 aprile venne dato l’ordine di ritirarsi 20 chilometri più a nord verso Achichina. Purtroppo nessun ordine in tale senso pervenne al raggruppamento Sahariano che arrivato sulla prima linea difensiva in ritardo, si rese conto di essere ormai accerchiato completamente dal nemico. Gli uomini comandati dal generale Mannerini pur opponendo una valorosa resistenza furono costretti a cedere all’assalto di un intera Divisione Neo Zelandese.  Da segnalare il cavalleresco comportamento del General  Freyberg, che riconoscendo il valore con cui si erano battuti gli uomini del Raggruppamento Sahariano, riconsegnò al Generale Mannerini la pistola che gli era stata sottratta all’atto della cattura.

Nel frattempo gli uomini della Iª Armata, che si erano raccordati con il D.A.K., continuarono a difendere le nuove posizioni sino al pomeriggio del 9, quando dopo ripetuti attacchi nemici ripiegarono ancora verso nord nei pressi di Nakta. La pressione nemica si faceva sempre più forte e visto che il compito di  impedire alle forze anglo americane di tagliare la Iª Armata dal D.A.K. era stato assolto, i comandi del gruppo armate scelsero di far ripiegare il grosso delle forze direttamente verso Enfidaville, lasciando in retroguardia solamente reparti corazzati e motorizzati. Il giorno 13 sotto continui bombardamenti nemici gli uomini della  Iª armata, del D.A.K e i resti della Centauro si assestarono lungo la linea difensiva di Enfidaville.  Questo il resoconto fornitoci da Messe riguardo lo stato delle proprie unità in ripiegamento dagli Chotts:

 

·        Divisione Giovani Fascisti: perso un battaglione passato alla divisione Trieste durante la battaglia degli Chotts, rimaneva con 5 battaglioni e 27 pezzi;

·        Divisone Trieste: perso tre battaglioni e acquistato  uno dalla Giovani Fascisti, rimaneva con 4 battaglioni e 29 pezzi;

·        Divisione Pistoia: rimasta solamente con due battaglioni in riordinamento e 28 pezzi:

·        Divisone Spezia: pressoché distrutta;

·        Divisone Centauro: pressoché distrutta;

·        90ª Divisione  leggera: rimasta con 4 battaglioni e poca artiglieria;

·        164ª Divisione: rimasta con scarsi 2 battaglioni pressoché senza artiglieria;

·        15ª corazzata: rimasta con una quindicina di carri, 3 battaglioni di fanteria molto provati e tre gruppi d’artiglieria;

·        Artiglieria di corpo d’Armata e d’Armata italiana: rimasta con 7 pezzi da 105 e 10 pezzi d 149;

·        Artiglieria contraerea tedesca: rimasta con 7 batterie;

·        Artiglieria d’Armata tedesca: rimasta con un paio di batterie pesanti[137];

 

Ovviamente tali forze risultavano alquanto inadatte a sostenere altri scontri decisivi contro gli anglo americani, fu così che gli alti comandi impartirono i seguenti ordini:

 

N° 3.086/Op. E’ necessario che tutti i reparti o frazioni di essi che giungono nella zona di Enfidaville siano al più presto riordinati e messi in grado di immettersi nelle unità di provenienza.

E’ pertanto opportuno che voi stabiliate dei centri di raccolta per ciascuna divisione (basi, per elementi isolati o poco consistenti, zone più vicine alla nuova posizione per reparti ancora omogenei ed efficienti) e dei posti di blocco per l’avviamento a detti centri. […]

Criterio fondamentale è quello di formare nel più breve tempo possibile reparti in condizione di poter rientrare in azione[138].

 

 

CAPITOLO V

TAKROUNA 

 

 

LA LINEA DI ENFIDAVILLE

 

 

La linea difensiva istituita dagli alti comandi italo tedeschi a nord di Enfidaville poteva contare su alcuni rilievi ed asperità del terreno che in parte avrebbero compensato la disparità di mezzi presenti tra i due schieramenti.  Infatti le parti scoscese di questi modesti rilievi e i letti profondi dei numerosi Uadi[139], che caratterizzano la zona, costituivano una serie di efficaci ostacoli naturali capaci di metter in difficoltà le manovre dei cingolati Alleati. Inoltre dalle alture era possibile intercettare gli spostamenti nemici e controllare le varie vie di comunicazione della zona, oltre che a guidare il tiro delle artiglierie.

Come ci descrive il generale Messe la linea difensiva fu suddivisa in vari settori entro i quali le zone pianeggianti, che si offrivano maggiormente a infiltrazioni nemiche, venivano coperte dai massicci che fungevano da veri e propri bastioni difensivi e da punti di raccordo tra i vari settori.

Questi i settori della linea partendo da est:

 

·        Un primo settore di circa 7Km., perfettamente in piano, includente l’ampio abitato di Enfidaville, appoggiato sulla sinistra alla sebka[140], sulla destra dall’importante pilastro del Takrouna;

·        Ad ovest di questo, altro settore di circa 6 Km., pure completamente piano ( se si esclude la modestissima altura del Dj. El Katiss al centro) tra i pilastri laterali del Takrouna e di Dj. Garci, anche questo assai importante;

·        Più ad ovest ancora un settore di 3 – 4 Km. in parte pianeggiante ed in parte sviluppato sui bassi ondeggiamenti del terreno tra Abd el Rahmane e Dj. Es Srasiff;

·        Un ultimo settore di 6 – 7 Km. leggermente mosso, antistante all’ampia conca di Saouaf, facilmente percorribile, come gli altri, ad ogni mezzo, eccetto in corrispondenza dello sperone dello Srasiff e di quello di Dj. El Dib[141].  

 

Un efficace difesa però non poteva fare affidamento solamente sugli ostacoli che offriva il territorio tunisino, era quindi necessario sviluppare alcune opere difensive capaci di consolidare l’intera linea.  Per far ciò il comando italo tedesco predispose una forza lavoro di 5.000 uomini, a cui vennero però sottratti dalle 500 alle 1.000 unità per essere impiegati come combattenti. I lavori che nei primi giorni si svolsero in relativa tranquillità,  subirono un forte rallentamento nei giorni successivi causato dalle sempre più frequenti incursioni aeree. Ciò nonostante l’avanzamento dei lavori fu possibile grazie ala scelta di operare con il favore delle tenebre evitando così il più possibile i bombardamenti alleati. Grazie al lavoro incessante di questi uomini la linea difensiva  poté contare alla data del 20 aprile su una posa di 5.000 metri di reticolato, 1.700 mine anti carro, 5.000 mine anti uomo e 9.000 metri di fosso anticarro[142]

I comandi lavorarono anche sulla riorganizzazione dei reparti che in ripiegamento dagli Chotts stavano affluendo verso le nuove posizioni difensive. Gli elementi di fanteria, artiglieria, genio e servizi della disciolta Divisione Centauro passarono a rimpinguare i ranghi della Pistoia, mentre ciò che rimaneva dei mezzi corazzati venne assegnato in parte al Rgt. Lodi e in parte al gruppo corazzato comandato dal Generale Piscicelli. Alla divisione Spezia giunse in rinforzo  l’84° battaglione complementi, mentre l’82° battaglione, anch’esso complementi, andò a rinforzare la pianta organica della Trieste che ricevette anche il 281° battaglione mortai. Per diretto ordine del Comando Supremo invece fu costituito dall’Aeronautica il reggimento Duca d’Aosta, articolato su 2 battaglioni di circa 400 uomini, ciascuno su 2 compagnie fucilieri e 2 compagnie mitraglieri. Il reggimento che era comandato dal Colonnello pilota Gabrielli raccoglieva tra le sue fila paracadutisti della regia aeronautica, parte del battaglione Loreto e avieri provenienti dai vicini campi d’aviazione.

Inoltre per sfruttare al meglio le caratteristiche di armamento dei vari reparti, il comando Gruppo Armate studiò anche una fusione tra reparti italiani e tedeschi. Fu così che alla 90ª  Divisione leggera venne assegnato il LXII battaglione bersaglieri e il II battaglione Giovani Fascisti, alla divisione Trieste il II/361° ed il battaglione Luftwaffe, alla 164ª  il 350° e il II/115° della 15° Divisione corazzata, alla Spezia il comando e il II/47°, alla divisione Giovani Fascisti il battaglione I/361° della 90ª  ed il III/47°.

Per quel che riguardava l’artiglieria invece fu completato un gruppo da 75/27/11, un gruppo da 75/27/906, un gruppo da 75/46, un gruppo da 77/28, una batteria da 65/17, due batterie Milmart. Dalla 5° squadra aerea vennero recuperati invece 8 batterie contraeree da 20mm.,e 3 batterie contraeree da 12,7mm[143].

A metà aprile gli uomini della Iª Armata potevano esser stimati intorno alle 11.3000 unità, 70.000 italiani e 43.000 tedeschi[144]. Questo invece lo schieramento delle unità lungo la linea di Enfidaville partendo da oriente:

 

·        XX Corpo d’Armata comandato dal Generale di corpo’armata Taddeo Orlando, formato da:

o       90ª  Divisione leggera comandata dal Generalleutnant Theodor von Sponeck, formata da:

§        I e II/200° Panzergrenadiere

§        I e II/155° Grenadiere

§        LVII/8° bersaglieri

§        II/1° Giovani Fascisti

§        900° battaglione pionieri

§        Due batterie da campagna ( 9 pezzi)

 

o       Divisione Fanteria Giovani Fascisti comandata dal Generale di divisione Guido Boselli, formata da:

§        I/1° Giovani Fascisti

§        XI//8° bersaglieri

§        IX battaglione autonomo

§        III/47° Panzergrenadiere

§        I e II/361° Panzergrenadiere

§        Cinque gruppi di artiglieria (41 pezzi)

 

o       Divisione Fanteria Trieste, comandata dal Generale di divisione Francesco La Ferla, formata da:

§        III/ 65° fanteria

§        I/66° fanteria

§        II/66° fanteria (resti del IV battaglione granatieri)

§        III/66° fanteria( resti della Divisione Folgore)

§        X battaglione Camicie nere “M”

§        Battaglione paracadutisti (Luftwaffenjäger)

§        82° battaglione complementi

§        Cinque gruppi di artiglieria ( 30 pezzi)

 

·        XXI Corpo d’Armata comandato dal Generale di corpo d’armata Paolo Berardi, formato da:

o       Divisione Fanteria Pistoia comandata dal Generale di Divisione Giuseppe Falugi, formata da:

§        II/35° fanteria

§        II e III/36° fanteria

§        340° battaglione mitraglieri

§        Iª gruppo corazzato Novara

§        Due gruppi di artiglieria (15 pezzi )

 

o       164ª  Divisione leggera comandata dal Generalleutnant Kurt von Liebenstain, formata da:

§        II/115° Panzergrenadiere

§        II/115° fanteria Spezia

§        I/382° Grenadiere

§        I e II/433° Panzergrenadiere

§        220° gruppo esplorante

§        Due gruppi da campagna ( 14 pezzi)

 

o       Divisione Spezia, comandata dal Generale di Divisone Arturo Scattini, formata da:

§        III/125° fanteria

§        I/126° fanteria ( già 84° battaglione complementi)

§        II/126° fanteria (già 350° guardia alla frontiera)

§        III/126° fanteria

§        106° battaglione contro carri

§        252° battaglione mortai da 81 mm.

§        281° battaglione mitraglieri guardia frontiera

§        I/47° Grenadiere

§        Cinque gruppi di artiglieria (20 pezzi)

 

Nelle immediate retrovie era schierata la riserva d’Armata composta da:

 

§        5° bersaglieri su XIV e XXII battaglione

§        Reggimento Duca d’Aosta su due battaglioni

§        I/35° fanteria Pistoia

§        15° Panzer Division comandata dal Generalleutnant Willibald Borowietz , formata da:

§        I/115° Panzergrenadiere

§        8° Panzerregiment

§        Gruppo corazzato al comando del Generale Piscicelli[145]

 

 

LA SITUAZIONE POLITICO – STRATEGICA

 

 

Come già avvenne per le precedenti linee difensive anche in questo caso da Roma pervennero ordini di resistenza ad oltranza contro gli attacchi nemici. Questa volta però si era consci che la difesa ad oltranza era l’unica maniera per permettere alle truppe dell’asse di restare ancora in Africa settentrionale. Queste le parole di Mussolini a riguardo:

 

Ho parlato a lungo con il Fűhrer, BISOGNA resistere fino a quando è possibile. Il Fűhrer ha fatto un esempio: Stalingrado. Ventidue quartieri della città erano nelle nostre mani, solamente due erano rimasti per l’occupazione definitiva. I russi non hanno mollato, abbiamo avuto un rovescio della situazione. BISOGNA resistere non solo fino a mezzogiorno, ma anche fino ad un quarto dopo mezzogiorno.

Se resistiamo possono crearsi situazioni strategiche nuove. Se cediamo gli americani e gli inglesi libereranno tre armate più le divisioni francesi. BISOGNA resistere. Questo deve essere l’unico pensiero della gente sul posto; nessuna speranza, solo quella di resistere fino alla fine. In questo senso ho dato già gli ordini all’eccellenza Messe[146].  

 

Già a metà marzo, quando si era ancora sulla linea del Mareth, il comandante del comando supremo, generale Ambrosio, aveva espresso le sue considerazioni sulla campagna africana. Egli aveva affermato infatti che :

 

1.      Il possesso della Tunisia è subordinato ad un deciso predominio aereo e ad un continuo ed adeguato afflusso dei rifornimenti. Queste due condizioni ora non sussistono […]

2.      La prospettiva di cui sopra, cioè l’eventualità che la Tunisia non possa essere mantenuta, comporta di considerare subito due questioni:

a.      Se convenga gettare mezzi e uomini nella fornace Tunisia, facendo il gioco del nemico, oppure riservare gli uni e gli altri per i gravi compiti avvenire. […][147]  

 

aggiungendo  che:

 

 La Tunisia è ormai perduta è solo questione di tempo[148].

 

A Roma però non si voleva cedere di fronte all’avanzata nemica neanche di un metro e si decise di utilizzare sino all’ultimo mezzo nella “fornace Tunisia”.

Mussolini consapevole della grave situazione e con il sospetto di un disimpegno tedesco sul fronte tunisino, ormai quasi irrimediabilmente compromesso, si recò a colloquio da Hitler per essere rassicurato sul da farsi, ma soprattutto per proporre al Fűrher un pace di compromesso con l’Unione Sovietica. In quello stesso periodo anche Romania e Ungheria, membri del patto tripartito e impegnate sul fronte russo, manifestarono le loro difficoltà nel continuare a combattere contro un nemico che sembrava disporre di risorse inesauribili.

A riguardo l’intento del Duce era:

 

[…] se fosse possibile arrivare ad una seconda pace di Brest – Litovsk (e questo si può fare dando alla Russia dei compensi nell’Asia centrale), essa deve essere stipulata in modo tale che sia realizzata una linea difensiva che distrugga qualsiasi iniziativa nemica con il minimo impegno per le forze dell’Asse.[149]

 

Ovviamente tutto ciò avrebbe permesso di utilizzare le forze impegnate sul fronte Russo in Tunisia al fine di poter controbattere la superiorità dimostrata sino a quel momento dalle forze anglo americane.

L’idea di Mussolini trovò l’approvazione anche dei più fedeli collaboratori di Hitler quali Goering e Von Ribbentrop, che vedevano nell’idea del Duce un efficace metodo per chiudere  il fronte orientale che si stava rivelando molto più problematico di quanto stimato.

Un tentativo  in tal senso fu fatto dallo stesso Ribbentrop che affermò:

 

Sono del parere che il Fűhrer abbisogni di un deciso alleggerimento per la condotta della guerra, e prego perciò che mi si diano immediatamente pieni poteri per mettermi in comunicazione con Stalin, attraverso la signora Kollontay, ambasciatrice sovietica  a Stoccolma, al fine di concludere la pace, e ciò, se necessario, contro la rinuncia alla maggior parte dei territori conquistati ad Oriente.

Al mio accenno a una rinuncia ai territori orientali, il Fűrher reagì subito in forma violenta. Balzò in piedi, rosso in volto, m’interruppe e mi disse con inaudita violenza che desiderava parlare con me esclusivamente dell’Africa e di null’atro. La forma della sua intemperanza mi rese per il momento impossibile una ripetizione della mia proposta.[150]    

 

Anche il tentativo di Mussolini, che ormai non godeva più del carisma che lo aveva caratterizzato durante la conferenza di Monaco del 1939, andò a vuoto. La guerra che aveva voluto Hitler contro le armate di Stalin era sostanzialmente di natura ideologica e difficilmente avrebbe potuto trovare soluzione in un compromesso politico. 

Per rassicurare l’Italia il Fűrher disse a Mussolini:

 

Duce, le garantisco che l’Africa sarà difesa. La situazione è grave ma non disperata. Di recente ho letto la storia dell’assedio di Verdun nella prima guerra mondiale; Verdun resistette con successo agli attacchi dei migliori reggimenti tedeschi. Non vedo perché questo non dovrebbe accadere anche in Africa. Col vostro appoggio, Duce, le mie truppe faranno di Tunisi la Verdun del Mediterraneo.[151]  

 

La Germania assicurò inoltre di impegnarsi sino in fondo con l’Italia nella difesa della Tunisia, soprattutto perché lo scacchiere africano assumeva una valenza molto più importante nel panorama strategico europeo. Infatti esso serviva soprattutto a :

 

1.      Legare le forze anglo – americane dell’esercito, della marina e dell’aviazione ed il tonnellaggio in Nord Africa che sarebbero altrimenti disponibili per altre operazioni.

2.      Mantenere lo sbarramento della strada per la Sicilia per costringere così ulteriormente il nemico ad un impiego di tonnellaggio che in relazione con i successi della nostra guerra dei sottomarini potrebbe notevolmente influire sulla condotta generale della guerra.

3.     Rendere difficile un immediato attacco al Sud Europa per il quale Tunisi sarebbe il migliore trampolino. Ogni giorno di resistenza a Tunisi è un grande guadagno che potrebbe portare ad una situazione completamente nuova per risultati attualmente non ancora prevedibili.[152] 

 

Ma la situazione si faceva di giorno in giorno sempre più critica e gli sviluppi sul fronte orientale non prospettavano nessun miglioramento in favore delle truppe dell’Asse. 

Buone notizie inoltre non giungevano neanche dalla Marina e l’Ammiraglio Girosi in una lettera del 27 marzo affermava:

 

Non è più possibile adoperare i pochi cacciatorpediniere rimasti in altre missioni di trasporto truppe, che inevitabilmente provocherebbero nuove perdite. Occorre anche ridurre l’attività per la posa delle mine. Ogni sforzo sarà fatto per ripristinare l’efficienza dei cacciatorpediniere danneggiati, attualmente in riparazione,al fine di poter al più presto possibile disporre anche di nove unità per l’accompagnamento, minimo indispensabile, delle tre corazzate tipo Vittorio Veneto.

Il trasporto truppe sarà ripreso coi cacciatorpediniere ex francesi: i primi due potranno essere in linea entro tre settimane, gli altri due  seguirono a breve intervallo di tempo.[153]   

 

Per poi puntualizzare il giorno 28:

 

E’ assolutamente sconsigliabile, da ogni punto di vista, insistere nel voler trasportare truppe in Tunisia per via di mare […]. La probabilità di passare si fa ogni giorno sempre più scarsa. Il rischio è ancora accettabile per il materiale, ma non lo è per gli uomini. Ogni trasporto truppe affondato corrisponde negli effetti materiali ad una battaglia perduta ed ha riflessi ancor più gravi nel campo morale. Nell’attuale situazione marittima tutti i trasporti di truppe per la Tunisia debbono esser affidati alla via aerea […][154]

 

Fu deciso così di organizzare, in collaborazione con la Luftwaffe, trasporti aerei per la Tunisia, ma la situazione rimaneva alquanto grave. Mediante rotta aerea potevano essere trasportati in Africa solamente 1.500 uomini al giorno, numero troppo esiguo per poter contrastare in modo efficace le forze nemiche. Lo stesso von Arnim, frustrato dalla situazione che si stava creando rispose a chi lo accusava di guardarsi troppo alle spalle, dicendo:

 

E’ esatto, mi guardo sempre alle spalle, ma è per vedere se arrivano navi  e non  ne vedo arrivare. Non è con l’ottimismo che carico i miei cannoni […] Se non ricevo niente sulla nuova linea (Akarit) entro due giorni sarò morto.[155]

 

Queste invece le cifre del materiale giunto alla Iª Armata in aprile:

 

·        Per l’Esercito:

L battaglione bersaglieri (quasi completo)

LI battaglione bersaglieri (Iª compagnia circa)

58 autocarri

13 autoblindo del “Reco Lodi”

196 fucili mitragliatori e mitragliatrici

10 mortai da 81 mm.

35 mitragliere da 20 mm.

23 pezzi controcarro da 47 mm.

13 pezzi piccolo calibro

6 pezzi medio calibro

5.606.700 cartucce armi portatili

103.100 bombe a mano

73.000 bombe da mortaio

297.300 colpi da 20 mm.

102.200 colpi da 47 mm.

175.860 colpi piccolo calibro

41.000 colpi medio calibro

47.500 colpi contra aerea

4.241 tonnellate di carburanti

100 tonnellate di lubrificanti

1.005 tonnellate di materiale genio (mine, esplosivo, attrezzi, sacchi a terra, reticolato, ecc..)

·        Per l’Aereonautica:

186 tonnellate di carburante

153 tonnellate di materiale vario

·        Per la Marina:

284 tonnellate di materiale vario

·        Per tutte le forze tedesche in Tunisia:

13 pezzi d’artiglieria

38 pezzi corazzati

165 automezzi

8.360 tonnellate di carburante

9.938 tonnellate di materiale vario[156]

 

Rifornimenti che costrinsero gli uomini  ad economizzare qualsiasi risorsa, dalla benzina per i pochi automezzi rimasti, alle munizioni da utilizzare contro il nemico.

Pur riscontrando difficoltà sempre crescenti, in ogni combattente impegnato in terra d’Africa vi era orami la convinzione che la difesa del suolo Tunisino equivaleva alla difesa della propria patria. Questo il discorso pronunciato da Messe alla vigilia dell’attacco anglo americano alla linea di Enfidaville:

 

Il nemico sta per attaccarci ancora una volta per tentare di ributtaci dalle nuove posizioni occupate.

Voi lo conoscete il nemico; è lo stesso al quale avete resistito vittoriosamente sulle posizioni di Mareth, rimaste inviolate in virtù del vostro valore, è lo stesso al quale avete opposto nuova, accanita resistenza agli Chotts, lo stesso infine che invano ha cercato, durante il ripiegamento, di accerchiare e distruggere questa Iª Armata che egli apprezza e teme.

Noi lo attendiamo sulle posizioni raggiunte, che vengono migliorate e rinforzate col lavoro incessante di ogni ora, con l’animo determinato a  non lasciarlo passare.

E’ qui che i soldati d’Italia e di Germania difendono la Patria lontana, il loro focolare dalla minaccia d’invasione straniera.

Non dobbiamo arretrare di un passo; è questo un imperativo categorico che proviene dalla nostra coscienza di soldati.

Nella esaltazione del supremo dovere che tutti ci avvince, noi sapremo moltiplicare le nostre forze ed il nemico non passerà. Le linee sulle quali ci siamo fermati diverranno un bastione insuperabile contro cui ogni slancio sarà inesorabilmente spezzato.

Soldati italiani e tedeschi della Iª Armata

In un’ora decisiva per i destini dei nostri paesi alleati, affido a voi questa precisa consegna: resistere sul posto fino all’estremo.

La vittoria e la riconoscenza della Patria saranno il giusto premio al vostro valore.[157] 

 

 

IL CAPOSALDO DI TAKROUNA

 

 

Il punto centrale e più avanzato della linea difensiva di Enfidaville era costituito dall’altura di Takrouna. Questo colle roccioso, che sulla propria cima vedeva sorgere un paesino costituito da casette di fango, rappresentava un importante punto strategico visto che da li era possibile controllare la via che conduceva a Tunisi.  L’importanza del caposaldo di Takrouna è evidenziata anche in questo stralcio del XX Corpo d’Armata:

 

1.      quale elemento di fiancheggiamento delle due cortine costituite dal fronte della Divisione Trieste e dal fronte delle divisioni GG. FF. e 90ª ;

2.      quale pilastro per la manovra difensiva sul fronte del Corpo d’Armata, data al sua possibilità di resistenza ad oltranza;

3.     con gli effetti morali e materiali della sua azione alle spalle di un nemico che tentasse di penetrare lungo le soglie più importanti  dello schieramento difensivo[158].

 

La difesa del baluardo del Takrouna venne affidato al I/66° fanteria, già distintosi sulla linee di Mareth e di Akarit. Per rimarcare l’importanza del presidio, al capitano Politi, comandante del battaglione, venne dato il nome in codice di Galliano, mentre al Takrouna venne assegnato il nome di Macallè. In questa maniera si volle rievocare, esaltando il morale degli uomini che si apprestavano alla difesa estrema, un importante fatto d’arme avvenuto nella guerra coloniale etiopica del 1895 – 1896. In quell’occasione  il forte di Macallè, presidiato da 1.200 uomini agli ordini del maggiore Galliano, cedette all’assedio in cui era posto solamente dopo duri e sanguinosi scontri, meritandosi ala fine l’onore delle armi.

Fu con questo spirito che il Iª/66 fanteria approntò tre capisaldi difensivi lungo le pendici del Takrouna:

 

·        sulle pendici più basse , fronte  a est, per sorvegliare le provenienze dal Dj. Bir che si presentavano come le più agevoli per la scalata del colle, era schierata la 2° compagnia, suddivisa in quattro centri di fuoco, al comando del capitano Renato Ricci.

·        Più in alto all’incirca a mezza costa, e con fronte a Nord era dislocata la 1° compagnia anch’essa suddivisa in quattro centri di fuoco, agli ordini del capitano Gastone Giacomini.

·        Più in alto ancora, sulle pendici che guardavano ad ovest e a sud, si trovava la 4° compagnia comandata dal capitano Francesco Sardo e suddivisa pur essa in quattro centri di fuoco[159].

 

A presidiare la vetta venne destinato un plotone del 47° fanteria tedesco, che però giunse sul posto solo la sera del 19, vigilia della battaglia, e non fu in grado di approntare alcuna opera difensiva adeguata..

A rendere un po’ più agevole la difesa c’era infine anche l’aspra natura del terreno, descritta pure dal comandante della Divisone Trieste  generale La Ferla: 

 

Takrouna si difende con le bombe a mano e con armi automatiche appostate in caverne a sbarramento dei pochi impervi accessi che potrebbero farne tentare al nemico la scalata.

Le ampie numerose caverne naturali rendono possibili la protezione dei depositi e dei rincalzi anche sotto il fuoco tambureggiante dell’artiglieria nemica.

La configurazione del terreno e la scarsa profondità diminuiscono sensibilmente l’efficacia del tiro dell’artiglieria nemica.

La configurazione del terreno rende inoltre possibile la postazione di “pezzi traditori” e la protezione contro il tiro nemico degli altri pezzi[160].

 

Per rimarcare la difesa ad oltranza del Takrouna al Capitano Politi e al comandante del 47° tedesco vennero affidate le bandiere di guerra italiane e tedesca, che come esige l’etica militare devono essere difese sino all’ultimo uomo. Questo l’ordine di servizio a riguardo:

 

Z.O., 18 Aprile 1943 – XXI E.F.

 

All’eccellenza Generale d’Armata Giovanni Messe

Comandante Iª Armata

 

Questa mattina in nome della Patria e Vostro, alla presenza di una rappresentanza in armi del presidio di Takrouna, ho consegnato le bandiere italiana e tedesca al comandante del caposaldo che ha preso impegno che esse verranno difese fino all’ultimo uomo, come Vostra consegna[161].

 

Il generale comandante

F. la Ferla.  

 

A completare lo schieramento difensivo contribuiva inoltre l’altura del Dj Bir, situata sulla sinistra del Takrona e presidiata da una compagnia del 47° reggimento tedesco. Il compito dei questa postazione era quello di proteggere il versante est del Takrouna.

Per impedire l’avanzata nemica il I/66° disponeva di una sezione di artiglieria da 65/17, comandata dal tenente Sapuppo e dislocata sulle pendici nord e una batteria da 87, 6 p.b., preda bellica, dislocata al disopra del primo centro di fuoco tenuto dalla Iª compagnia.

Diretti sulle posizioni del Takrouna c’erano gli uomini del 28° battaglione maori, appartenenti alla 5° Brigata inquadrata nella 2° divisone neozelandese, che disponevano di:

 

 each having under command one six-pounder anti-tank troop, one platoon of machine guns, a detachment of engineers, and two or three Crusader tanks to crush gaps in cactus hedges. The inter-battalion boundary ran north and south practically through the peak of Takrouna, which nevertheless was the responsibility of 28 Battalion, although 21 Battalion was to be prepared to assist if required[162]

 

Alle ore 22:30 del 19 Aprile le artiglierie nemiche aprirono il fuoco contro le la linea di Enfindavile, concentrandosi soprattutto sul settore del Takrouna. Quando alle 06:00 del 20 il fuoco dell’artiglieria cessò, ebbe inizio il temuto assalto della fanteria.

Ad essere investito per primo dal violento urto della fanteria Neo zelandese fu il caposaldo di Djebel Bir, che dopo una strenua resistenza dovette cedere alle preponderanti forze nemiche. Così facendo i britannici gettarono le basi per poter sferrare il loro attacco nel settore sud- est del Takrouna. Nel frattempo una minaccia agli uomini del I/66° veniva portata anche dal settore sud – ovest dove altre compagnie neo zelandesi sferrarono un pesante attacco contro gli uomini comandati dal capitano Ricci. Proprio in questo settore lo scontro si rivelò da subito molto violento. Ecco cosa scrive nella propria relazione il generale Taddeo Orlando:

 

La configurazione del terreno (del Takrouna) pieno di anfratti e di roccioni, permette al nemico, che si trova fermato dalla pronta reazione dei pezzi da 88 e dei centri di fuoco della 2ª compagnia, di infiltrarsi nei ridossi meridionali del massiccio e di tentarne la salita da sud – ovest. Ma qui cade sotto il fuoco preciso della 4° compagnia che ne fa strage (il cappellano conterà più tardi oltre 150 morti) e cattura alcuni prigionieri, tutti ubriachi[163].

 

 

L’attacco fu respinto, come conferma il Major-General  W.G. Stevens:

 

So on the west side of Takrouna, although the scene of much courageous fighting, the brigade attack had failed[164]

 

Ciò nonostante le preponderanti forze nemiche  continuarono la loro pressione mettendo in grave difficoltà i  difensori.  Sempre il generale Taddeo scrive:

 

L’azione nemica si fa sempre più violenta. Si vedono affluire su autocarri ingenti rinforzi che, sebbene decimati dal tiro preciso della nostra artiglieria diretto efficacemente dall’osservatorio di Takrouna, riescono tuttavia ad alimentare l’attacco

La situazione della 2° compagnia si fa di momento in momento più grave. Sebbene ferito il tenente Fortunato  (comandante della batteria da 87,6) non vuole abbandonare i suoi pezzi che provocano vuoti paurosi nelle fanterie nemiche[165].

 

Gli uomini della 2° compagnia si prodigarono con tutte le loro forze impegnandosi persino in combattimento copro a copro per non cedere metri all’avanzata nemica, ma alla fine furono sopraffatti.

Anche negli altri settori del Takrouna le cose non andavano per il meglio. Il Capitano Politi, messosi alla testa del plotone comando, respinse un assalto diretto contro le proprie posizioni, mentre feroci risultarono anche gli scontri sostenuti dalla 1° e 4° compagnia. Queste alcune testimonianze:

 

Più volte il portaordini Aurelio Sbottoni, compromessi gli altri collegamenti, si deve aprire la strada a colpi di bombe a mano pere recare comunicazioni e ordini da e per il comando di battaglione e alle compagnie dipendenti.

Presso l’infermeria del battaglione il tenente medico dottor Moretti viene assalito con i portaferiti e sta per soccombere, ma è liberato dal cappellano don Maccariello che a colpi di bombe a mano tiene in rispetto il nemico.

Il sergente Bressanini, della 4ª compagnia, dopo aver compiuto atti di straordinario valore, è colpito da una raffica di Thompson all’addome. Mentre, a terra, è soccorso dal cappellano che gli impartisce gli ultimi conforti della religione, viene nuovamente colpito. Sentendo prossima la fine dice: “Ho fatto tutto il mio dovere. Per me è finita. Salvate l’Italia”.

Con mano non più sicura estrae a fatica una penna, ma poiché non scrive la intinge nel proprio sangue e verga su un pezzo di carta che un portaferiti gli porge le parole “ W l’Italia. W il Re”[166].

 

Fra i caduti si aggiunse anche il Capitano Giacomini, comandante della 1ª compagnia, che nel respingere con successo un attacco contro i suoi uomini veniva mortalmente ferito alla gola[167].

La difesa si faceva di ora in ora sempre più drammatica, il nemico lentamente, ma inesorabilmente, avanzava lungo le pendici del Takrouna conquistando importanti posizioni e penetrando nel villaggio situato sulla cresta.

Era ormai chiaro che da soli gli uomini del I/66° non avrebbero potuto arginare a lungo l’ondata di soldati appartenenti alla divisione neo zelandese, fu per questo che il comando della divisione Trieste decise di far affluire rinforzi in sostegno del Capitano Politi. Tra loro anche gli uomini del 285° battaglione Folgore.

 

 

 

 

 

LA RICONQUISTA DI TAKROUNA

 

 

Alle ore 9:00 del 20 aprile iniziarono le operazioni per la ripresa del Takrouna. Dopo un intenso fuoco di artiglieria venne fatta avanzare verso il nemico una compagnia di granatieri di Sardegna, anche’essi inquadrati nella divisione Trieste dopo gli sfortunati eventi di El Alamein. Raggiunte le pendici del Takrouna i granatieri, bersagliati dai fanti neo zelandesi ben posizionati, vennero decimati e alle ore 11:00 la loro azione di contrassalto veniva bloccata irrimediabilmente.

Alle ore 11:30 il comandate del 66° diede ordine agli uomini del 285° battaglione di avanzare. Il battaglione Folgore, posto sotto il comando del Capitano Lombardini, poteva contare su circa 180 “folgorini” inquadrati in due compagnie, quella del tenente Giampaolo e quella del tenente Orciuolo. Questi uomini erano i supersiti della Divisione Folgore, formata da paracadutisti e immolatasi nella battaglia di El Alamein. 

Con  semplici parole il Capitano Lombardini comunicava ai suoi uomini l’inizio del contrassalto:

 

Rivolgiamo il pensiero alle nostre famiglie lontane ed andiamo a riprenderci Takrouna[168].

 

Inquadrati e pronti per il combattimento gli uomini di Lombardini si incamminarono verso Takrouna cantando l’inno dei paracadutisti. Tutti erano consapevoli che il compito a loro assegnato avrebbe causato morti e feriti, ma coerenti con il loro appellativo di arditi del cielo, e con la spavalderia che da sempre li contraddistingueva, si apprestarono a compiere il loro dovere in difesa dell’Italia. Infatti la totale perdita del Takrouna avrebbe messo in serio rischio tutta la linea difensiva di Enfinadaville dando agli anglo americani la facoltà di raggiungere Tunisi da cui sarebbe stato poi possibile guidare un invasione verso le coste della Sicilia. Purtroppo la difficile situazione in cui versava al Iª armata si rifletté anche sui “folgorini”.  Come ci racconta il sotto tenente Eligio Marini, egli si diresse all’attacco armato solo di pistola e riuscì  a recuperare quattro bombe a mano da un altro reparto non impegnato nell’azione.

Giunti alle pendici del Takrouna lo spettacolo che si presentò alle due compagnie paracadutiste fu desolante. dice Nino Arena:

 

Si supera con circospezione un uadi asciutto che defila gli uomini alla vista del nemico, poi appaiono i segni dello scontro precedente con corpi di caduti italiani e tedeschi, inframmezzati fra i resti dello scontro, numerosi morti neozelandesi. Più avanti si scopre con sorpresa, un esiguo gruppo di granatieri con una Breda 37 comandati da un giovane ufficiale a nome Tolazzi. Sono li dal mattino, unici superstiti dello scontro e attendono ansiosi il da farsi, felici di trovare ancora altri italiani[169].

 

Per scardinare le tenaci difese neo zelandesi i paracadutisti decisero di attuare una manovra a tenaglia, attaccando da due lati. La compagnia comandata dal Tenete Giampaolo si lanciò all’attacco dal versante orientale, mentre quella del Tenente Orciuolo procedette su quello occidentale. il Sottotenente Andreolli descrive così l’azione:

 

Abbozzata velocemente una tattica a tenaglia, un gruppo aggrediva la rocca sulla destra, l’atro sulla sinistra dandosi appuntamento in cima al villaggio presso quella che avrebbe dovuto essere stata una piccola moschea[170].

 

I paracadutisti impegnati sul lato occidentale riuscirono senza grossi problemi a raggiungere la meta, mentre più difficoltosa fu la marcia di coloro che procedettero da oriente. Proprio su questo lato che durante l’assalto rimasero uccisi il Sottotenente Righetti, Cubelli, Dini, Vigna, Maioli e tanti altri. Il tentativo italiano è descritto anche nelle fonti neozelandesi che affermano:

 

Italians had divided into two parties and were attacking from the north-west corner of the ledge. The Italians made a really determined effort to climb the track[171]

 

Gli scontri diventarono di ora in ora sempre più violenti, dividendosi in una miriade di azioni solitarie, ecco cosa scrive a proposito Nino Arena:

 

Negli scontri ravvicinati , rimane ferito il sergente Gado che continua a battersi fra le case e soltanto l’energico intervento di Andreolli lo costringe a farsi medicare pur assolvendo l’incarico di scortare in basso i prigionieri[172].

 

Ma la situazione non fu affatto facile. Da un piazzola raggiunta dopo furiosi scontri ecco cosa si presentava agli occhi dei paracadutisti: 

 

 […] all’orizzonte, nella piana, si poteva scorgere una marea di carri armati in attesa di mettersi in movimento e che proprio alla base della rocca, in terra nemica , vi parcheggiava un Matilda[173].

 

L’attacco però continuava inesorabilmente. Per snidare un gruppo di nemici asserragliato su una cima ben difesa, il capitano Lombardini decise di radunare tutti quei paracadutisti provenienti dagli alpini per impegnarli in una ardita scalata di circa 40 metri. scrive ancora  Arena:

 

Corde di fortuna, armamento leggero, pugnale, bombe a mano e tanta voglia di fortuna. Anche un tedesco di Baviera, fa capire a gesti e con poche parole il suo desiderio di partecipare all’impresa, usando più volte la parola “gebirge” (monti). La missione va esplicata nel massimo silenzio, aiutandosi l’un l’atro per superare i punti più difficili fino al punto fissato per radunarsi, riprendere fiato e pi di slancio all’attacco urlando a più non posso “Folgore” lanciando bombe a mano e superando raffiche di mitra.

Scalata silenziosa col carico delle armi e il cuore che batte forte con l’ansimare soffocato del respiro, con fraterna collaborazione come si usa fra alpinisti, con i muscoli che tendono allo sforzo, attendono i ritardatari per scattare assieme[174].

 

Contemporaneamente a questa ardita azione il Sottotenente Andreolli assieme ai suoi uomini fu impegnato in una azione diversiva atta però anche ad eliminare alcuni cecchini nascosti in un gruppo di casette isolate. Questo il suo racconto:

 

I contendenti venivano brutalmente alle mani: paracadutisti e maori, questi ultimi sbucati dalle casupole e dai vicoli, si affrontavano a viso aperto; i paracadutisti, mossi da una rabbia tremenda, attaccavano con pioggia di bombe a mano, sicchè il risultato non poteva essere che uno: gli avversari terrorizzati, si davano alla fuga lanciandosi giù lungo i dirupi in cerca di salvezza, mentre altri si buttavano tremanti in ginocchio, alzando piangenti il crocifisso od il rosario, per indurre i paracadutisti a pietà per cui, a questo punto, nessuno ovviamente intese toccare un capello[175].

 

Ma immediatamente scattava il contrassalto nemico e lo stesso Andreolli, ferito da una pallottola  fu costretto a ripararsi in una vicina stalla. Qui  i pochi paracadutisti superstiti tentarono un ultima sortita prima di essere catturati, ecco la testimonianza di quei drammatici eventi:

 

[…] dopo essere stato colpito da una pallottola, a ripararsi con i suoi all’interno di una stalla; fu tosto loro addosso un gruppo di maori accorsi dopo aver assistito, di lontano, alla sconfitta degli infelici commilitoni. Il loro odio era incontenibile sicchè iniziavano, pur non avendo il coraggio di penetrare nella stalla, a lanciare al suo interno, dalla porta e dal tetto le “ananas”, il cui tremendo fragore stordiva i difensori mentre il piccolo locale veniva invaso da mille schegge impazzite. Ma gli assediati intendevano resistere ad ogni costo […]

Ad un certo punto una scheggia di bomba a mano raggiungeva l’ufficiale[176], già ferito, e gli trapassava una mano mettendo fuori uso nel contempo pure il mitra da lui impugnato. Altri soldati erano stati raggiunti da schegge in varie parti del corpo, perdevano sangue, accusavano conati di vomito. Oltre a tutto in quella maledetta stalla, satura di fumo provocato dallo scoppio delle potenti “ananas”, si rischiava di rimanere soffocati. Comprese allora come fosse inevitabile una sortita seguita da un balzo giù per i dirupi con il rischio, nell’impatto, di spezzare gli arti, ma di finire in compenso felicemente nelle braccia dei commilitoni. […] quei pochi uomini si proiettavano verso l’esterno, ma i maori erano li ad attenderli, s’avventavano su di loro con le baionette accingendosi ad infilzarli; uno dei nemici pistola in pugno, scorgeva i gradi sui polsini della giacca dell’ufficiale e, ritenendo nella sua ignoranza di aver beccato chissà quale ricca preda, lo scaraventava con orgoglio, dopo averlo pestato duramente, ai piedi del suo ufficiale[177].  

 

Nonostante le innumerevoli difficoltà e il pesante tributo di sangue il contrattacco guidato dalla Folgore e supportato dagli uomini di Politi riuscì a riprendere il quasi totale controllo del Takrouna.  A riguardo Messe scrisse:

 

Sul Takrouna la lotta è veramente epica; i centri di fuoco sulle falde dell’altura continuano a fulminare i reparti nemici che vengono letteralmente decimati; anche i nostri elementi sono assoggettati al fuoco concentrico nemico e al tiro di cecchinaggio da parte di elementi annidatisi nelle case sulla vetta del cocuzzolo, vero torrione quasi inaccessibile. Contro questi partono all’attacco, col classico slancio dei paracadutisti, le compagnie del battaglione di formazione Folgore. Per tutto il pomeriggio fino a sera e nella notte è una vera caccia di casa in casa, di sasso in sasso; le perdite sono micidiali per entrambi i contendenti[178]

 

Ma gli inglesi, capita l’importanza del Takrouna, decisero di far affluire nuove forze per sferrare un ennesimo attacco.  Il giorno 21 aprile altre truppe Neo Zelandesi si gettarono all’assalto per conquistare le posizioni italiane. Gli scontri furono feroci:

 

The Italians lobbed a grenade into a building where the wounded were gathered; it is not suggested that they knew the men were wounded, but the grenade killed most of them. The Maori reaction was ferocious and Italians, whether they wanted to surrender or not, were shot, bayoneted, or thrown over the cliff[179]

 

I capisaldi riconquistati il giorno 20 dagli uomini del 285° battaglione man mano dovettero cedere alla sempre più violenta reazione nemica. Alle 12:45 di quello stesso giorno il Capitano Politi telegrafò al comando:

 

Situazione criticissima, disperata stop. Abbiamo sparato le ultime cartucce stop. Le perdite sono ingenti stop. Il nemico ha occupato quasi totalmente le nostre posizioni stop. Moltissima la fanteria nemica che aumenta sempre stop. In basso hanno moltissimi carri armati  stop. Situazione disperata stop. Fare presto fare presto Politi[180].

 

Immediatamente i vertici della Iª Armata decisero di mandare in rinforzo dei coraggiosi difensori la 103° compagnia arditi, forte di 80 uomini. Purtroppo lo sbarramento di artiglieria nemico vanificò ogni tentativo da parte di questi arditi di raggiungere il Takrouna. Politi, i suoi uomini  e i paracadutisti accorsi in loro aiuto, risultarono così totalmente isolati dal resto dell’armata, ciò nonostante essi continuarono a combattere. Alle ore 17:05 il comando della Divisone Trieste captò l’ultimo messaggio proveniente da Takrouna che comunicava l’inizio dell’assalto alla postazione radio da parte del nemico.  Nel piccolo villaggio situato sulla cresta dell’altura si consumò così l’ultimo sacrifico di uomini che dettero tutte le loro forze per portare a termine gli ordini ricevuti. I combattimenti proseguirono ancora molte ore come ci testimonia il messaggio rinvenuto sul corpo de sottotenente paracadutista Silvestri, caduto mentre cercava di raggiungere il comando della Trieste:

 

21.4.43 – Ore 19,30. siamo da tempo rimasti  senza munizioni. Tutte le armi di Sardo sono fuori uso. Davanti a lui carri armati hanno inchiodato i centri di fuoco con raffiche di mitragliatrice e tiri controcarro. Il nemico dall’alto della moschea ci ha intimato la resa. Abbiamo atteso invano gli aiuti, quando arriveranno sarà troppo tardi. Il I/66°, la Folgore, i Granatieri hanno sparato fino all’ultima cartuccia e si battono con le ultime energie rimaste. Se ci faranno prigionieri potremo dire di esserci battuti da veri soldati e di aver compiuto fino all’ultimo il nostro dovere. W l’Italia – W il Re.[181]

 

Decimati dal fuoco nemico, senza munizioni, ai difensori del Takrouna non restò altro che arrendersi. In mano nemica cadde anche il comandante del presidio:

 

Dalla grotta del comando di battaglione della Trieste, alla base del colle, vedo uscire, a mano alzate, il Capitano Politi, con a fianco il nostro tenente Pellini, questi con un telo da tenda ripiegato che gli pende da un braccio. E poi dietro quattro o cinque soldati[182].

 

Stessa sorte tocco poi allo stesso Marini che racconta:

 

Anche noi ci alziamo, e siamo costretti ad alzare le mani. Questa volta è veramente finita niente rimpatrio per ferita o malattia, niente barca per raggiungere la Sicilia né camionetta a Kairuan per fuggire nel Marocco spagnolo. Scendiamo al piano verso gli inglesi, ci contiamo, siamo, in tutto, rimasti in piedi trentacinque paracadutisti[183].

 

Molti però scelsero di non consegnarsi al nemico riuscendo a fuggire.

 

Per sfuggire alla cattura o alla morte, ai pochi superstiti non rimaneva altra possibilità di scampo se non quella di sfondare il muro e calarsi con una fune di fortuna lungo la parete rocciosa[184].

 

Si chiudeva così l’epica difesa del Takrouna che aveva sbarrato per ben due giorni la strada alla 2ª Divisione Neo Zelandese.

Ecco il testo del bollettino di guerra N°1.062 datato  22 aprile:

 

[…] nella tenacissima difesa di un elemento avanzato della nostra linea si è particolarmente distinto il Iª battaglione del 66° reggimento fanteria Trieste che, al comando del cap. Mario Politi da Sulmona, ha inflitto ingenti perdite alle unità neozelandesi attaccanti[185].

 

Per rendersi veramente conto delle forze che assediarono Takrouna, basti pensare a ciò che vide il paracadutista Marini, catturato dagli inglesi:

 

Ci fanno salire su una Jeep e via sulla litoranea per andare al loro comando per interrogarci. Percorriamo circa quindici chilometri. Sulla strada una colonna senza soluzione di continuità di cannoni, carri armati, blindati, in tale numero che sono fermi perché forse non hanno spazio sufficiente per schierarsi in combattimento[186].

 

Questo invece le cifre snocciolate dal colonnello Ettore Pettinau:

 

[…] L’eloquenza delle cifre dà l’idea della violenza della lotta:

dal presidio costituito inizialmente da circa 560 uomini rinforzato appresso da circa 300 uomini, i superstiti illesi sono risultati una cinquantina. La gran parte si è immolata alla Patria.

Innumerevoli ed epici gli eroismi individuali[187].

 

Specchio delle perdite  sui combattimenti di Takrouna

(19 – 21 Aprile 1943)

 

Ufficiali                                 Sottufficiali                   Truppa

Morti: 2                                  Morti:1                          Morti:9

Feriti: 6                                  Feriti:7                          Feriti :41

Dispersi: 27                            Dispersi:71                             Dispersi:621

 

Anche i neozelandesi subirono gravi perdite, come scrive il Major-General  W.G. Stevens:

 

Casualties were heavy. From 19 to 21 April 3 officers and 43 other ranks were killed, 29 officers and 375 other ranks wounded, and 2 officers and 84 other ranks missing—a total of 536. The proportion of killed to wounded was luckily much lower than usual. The three battalions of 5 Brigade incurred the major number of casualties. The total for 21 Battalion was 169, for 28 Battalion 124, and for 23 Battalion 115, a total of 408. The 28th Battalion lost 12 officers out of 17[188].

 

Perdite che impedirono al 28° Battaglione di riprendere la campagna fino a quando non fossero sati rimpiazzati i caduti degli scontri di Takrouna.

 

The men were made as comfortable as possible; hot showers were available, and organised swimming parties went daily to the beach at Hergla where 5 Brigade's band played morning and afternoon; the ‘left out of battle’ group returned to the unit with fifty-six reinforcements from Base under command of Captain Henare, thereby largely replacing the causalties of Takrouna.[…] The rest of April was spent in rest and reorganisation[189].

 

 

Significativo infine il commento di Rick Atkinson:

 

Seppur in una campagna dalla conclusione ormai scontata, Takrouna fu comunque per i neozelandesi una vittoria di Pirro: alla fine dello scontro avevano infatti perduto ben 459 uomini, tra i quali 34 ufficiali[190].

 

 

Per il valore dimostrato sulle pendici del Takrouna al Sottotenente Andreolli venne conferita la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione:

 

Comandante di plotone paracadutisti, impegnato in un accanito contrattacco per la rioccupazione di importante posizione, si distingueva per coraggio.

Alla testa del suo reparto, duramente provato dal fuoco avversario, penetrava arditamente in un abitato presidiato dal nemico impegnandolo in combattimento all’arma bianca.

Caduti uccisi quasi tutti i suoi paracadutisti, si asserragliava con i pochissimi superstiti fra i ruderi di una casa e, sebbene ferito, resisteva ai ritorni offensivi di truppe fresche nemiche finchè, esaurite le munizioni e sfinito dal sangue perduto, veniva catturato dopo che tutti i suoi uomini erano caduti uccisi.

 

Takrouna( Tunisia) 20 – 21 Aprile 1943. 

 

Il Capitano Politi venne promosso sul campo a maggiore e al 66° reggimento di fanteria venne offerta la medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione:

 

Reggimento fortemente provato nella campagna in A.S., deciso a difendere fino all’estremo l’onore della Bandiera, opponeva all’avversario indomita resistenza, scrivendo nuove pagine di gloria nelle battaglie di Tunisia. il Iª Battaglione, ridotto nei suoi effettivi, incaricato di tenere a oltranza un caposaldo che rappresentava il cardine e il posto d’onore di tutta la posizione difensiva, attaccato da schiaccianti e sempre rinnovatisi forze, isolato e privo di rifornimenti, sosteneva per tre giorni l’impari lotta con accaniti corpo a corpo, tenendo in iscacco il soverchiante avversario e destandone l’ammirazione. Caduto il caposaldo, pochi superstiti, con le ultime bombe a mano, continuavano la disperata resistenza, fedeli all’impegno di non cedere le armi. Mareth – Akarit – Enfidaville – Takrouna (A.S.), 5 marzo – 12 maggio 1943.      

 

L’eroismo dei difensori del Takrouna fu riconosciuto anche dai Maori del 28° battaglione. Come si può leggere nel Official History of New Zeland in the second world war 1939-45 , 28° (Maori Battalion) di J. F. Cody :

 

Even the BBC commentators noted for their blindness to Italian heroism had to recognise the indomitable valour of our soldiers. The Germans of the anti-tank detachment fought in this battle for life and death, firing until the last cartridge and performing deeds of great valour[…]The behaviour of all these valorous men was sublime. This is evident from the story of the priest who ran from spot to spot administering the last rites to the dying and from the statements of the soldiers. Takrouna will constitute an indelible page of the exceptional valour of our soldiers in the immense battle of Africa and the heroes of this epic resistance will forever remain engraved in the hearts of the Italians, from Capt. Politi, the commander of the battalion who with his senior assistant, Capt. Lirer, personally led the remaining soldiers in the counter-attack, to Capt. Giacomini, to Diletti […]This is the temper of which the defenders of Takrouna were made. It is the temper shown by the soldiers of Italy every day in the violence of the battle of Tunisia[191]

.

 

 

 

 

 

LA FINE DELLA GUERRA D’AFRICA

 

 

La caduta del caposaldo di Takrouna segnò un duro colpo per la Iª Armata che vide vacillare pericolosamente tutto lo schieramento difensivo approntato.  Ciò nonostante gli italo tedeschi resistettero alla pressione nemica almeno sino al giorno 30, data in cui si esaurì l’attacco britannico. La situazione per gli uomini di Messe risultava alquanto tragica e come scrisse lo stesso generale:

 

La Iª Armata avrebbe oggi possibilità di nuove affermazioni per il suo contenuto tecnico e spirituale. Nelle lotte dure e sanguinose, nella vita tormentata di ogni giorno, la sua anima si è affinata acquisendo una sensibilità sublime, che si riscontra viva nelle nostre truppe in prima linea ed in modo particolare nello sguardo febbrile dei nostri feriti, dove non si coglie l’ombra di una rassegnazione supina di chi sente la fine senza speranza, ma invece la determinazione cosciente di chi ha capito che qua noi difendiamo la Patria,le nostre città , la casa, la famiglia.

Ma l’Armata marcia verso l’esaurimento.

Già da tempo le nostre grandi unità si sono di volta in volta ricostituite alla meglio, attingendo ai resti di altre grandi unità disciolte; dopo Mareth si sono sciolti ed inseriti nei ranghi reggimentali grandi unità anche tutti i piccoli reparti autonomi, ma ora si è esaurita anche questa sorgente, alla quale si è attinto senza reticenza, pur sapendo che il rinnovarsi attraverso questi resti di unità provatissime mina l’efficienza qualitativa dei nostri reparti, perché è indubbio che la battaglia elimina di volta in volta i migliori.

Ma se a ciò non si potrà porre rimedio, noi continueremo a batterci come per il passato, senza domandarci quanti siamo di fronte al nemico[192].  

 

Si operò così un ennesimo riordinamento delle forze rimaste disponibili:

 

·        Divisione fanteria Giovani Fascisti composta da:

o       Reggimento Giovai fascisti articolato su Iª e IIª Battaglione

o       8° Bersaglieri articolato su X°, XIª e LVIIª battaglione

 

·        Divisione fanteria Trieste composta da:

o       65° fanteria articolato su Iª e IIIª battaglione e compagnia mortai da 81mm.

o       66° fanteria articolato su Iª, IIª e IIIª battaglione e compagnia mortai da 81mm.

 

·        Divisione fanteria Spezia composta da:

o       125° fanteria articolato su Iª e IIª battaglione e compagnia mortai da 81mm.

o       126° fanteria articolato su Iª, IIª e IIIª battaglione e compagnia mortai da 81mm.

 

·        Divisione fanteria Pistoia composta da:

o       35° ° fanteria articolato su Iª e IIª battaglione e compagnia mortai da 81mm.

o       36° fanteria articolato su Iª e IIIª battaglione e compagnia mortai da 81mm[193].

 

Inoltre altri reparti furono ceduti alle dipendenze della 5° armata di Von Arnim per fronteggiare la difficilissima situazione che si era venuta a creare nel settore occidentale dello schieramento. Lasciarono così le posizioni della Iª Armata:

 

·        Il battaglione pionieri 900° della 90ª  Divisione

·        Un gruppo da 149/40  con 300 colpi

·        Una batteria da 210 tedesca

·        due battaglioni bersaglieri

·        un battaglione pionieri tedeschi

·        tutti i reparti corazzati della 15° Divisione, ammontanti a 14 carri tedeschi, 12 carri e 12 semoventi da 75/18 italiani

·        due gruppi da 100/17 e uno da 149/40 italiani

·        due batterie da 100, una da 170 e una da 210 tedesche[194]

 

Le forze italo tedesche rimaste in Tunisia erano stimate in 60.000 combattenti, 100 carri armati e 115 aerei efficienti. Contro c’erano ben 300.000 uomini supportati da 1.400 carri e 3.240 aerei. Esaustivo il commento del capo ufficio informazioni del 18° gruppo armate alleato:

 

Con le limitate risorse attualmente disponibili è improbabile che l’avversario sia in grado di offrire prolungata resistenza alla nostra continua e crescente pressione[195].

 

A tutto ciò andava sommata la scarsità di rifornimenti provenienti dall’Italia, dovuto all’intensificarsi degli attacchi a convogli italiani, e che avrebbe dovuto alimentare la difesa in terra d’Africa. Come segnalava il giorno 2 il comando gruppo Armate:

 

Aumenta tensione della situazione rifornimenti in tutti i campi. Carburanti, calcolate le esistenze presso i reparti ed i depositi, si sono ridotti a mezza giornata[196]; i rifornimenti munizioni, viveri, acqua per le truppe possono essere effettuati solo con grandissima difficoltà. Le trasmissioni radio cesseranno probabilmente il giorno 4. l’arma aerea e le truppe italiane[197] non potranno più dare che un aiuto limitato. Tutte le munizioni correnti per artiglierie e cannoni c.c. dei depositi sono esaurite[198].

 

In questa disperata condizione gli uomini dell’Asse si trovarono a fronteggiare l’ennesimo attacco anglo americano.

Il giorno 6 maggio il 2° corpo di spedizione statunitense, composto da 95.000 uomini, la 3° brigata inglese, forte di 600 bocche da fuoco, e la Western Desert Air Force, con 67 bombardieri Boston, sferrarono un poderoso attacco  a nord contro le posizioni della 5ª Armata. Le forze a disposizione di Von Arnim si sgretolarono sotto l’urto alleato. Questo l’ultimo messaggio

 

I nostri carri e le nostre artiglierie sono state distrutte. Siamo senza munizioni e carburante. Combatteremo sino alla fine[199].

 

Poche ore dopo le forze dislocate a nord capitolarono arrendendosi incondizionatamente.

Il giorno 11, visto che il grosso delle truppe tedesche si era ormai consegnato al nemico, alla 90ª  Divisione venne offerta la possibilità di arrendersi. Ecco il testo della lettera inviata dal General Frayberg:

 

Ho conosciuto e combattuto contro la vostra divisone dal momento in cui essa è stata costituita. Oggi le chiedo per la prima volta di arrendersi. Combattere ulteriormente è inutile. Voi sapete come siano piccole le possibilità di un ripiegamento per la via di Hammamet ed ancora minori quelle di sfuggire per via mare o per via aerea.

Continuare a combattere ha il solo scopo di ostacolare i nostri piani futuri, ma per ciò è troppo tardi. In 3 giorni possiamo annientare la vostra divisione. Non fate morire le vostre truppe inutilmente.

Se continuate la lotta, la Germania vi loderà subito come eroe,ma più tardi giudicherà più giustamente che voi avete sacrificato i vostri soldati. Le divisioni 334°, Manteufel e 15°, nonché la divisione del’arma aerea “Hermann Goering” hanno deposto le armi. Secondo dichiarazioni di prigionieri si arrenderà prossimamente anche la 10° divisione corazzata. Voi avete resistito fino all’ultimo e vi arrenderete ora con tutti gli onori. Attendo una sollecita risposta.

Ten. Gen. Freyberg[200].

 

Pur costatando che la difesa non sarebbe ancora durata molto, l’offerta del generale neo zelandese fu rifiutata. Anche altri reparti, consapevoli dell’impossibilità di resistere a lungo, si rifiutarono di deporre le armi continuando a combattere.  Il comandante del raggruppamento reco Lodi a Messe:

 

Ufficiali, sottufficiali, cavalleggeri di Lodi fieri per altissimo riconoscimento et ambito elogio esaltante loro dedizione, orgogliosi aver compiuto et compiere dovere fino all’ultimo, assicurano Vostra Eccellenza espressione fede immutabile, fedeli alla tradizione ed al motto “Lodi s’immola”[201].

 

La pressione Alleata aumentava di ora in ora, a coprire il fronte  nord - ovest era rimasto solamente il D.A.K., che dopo aver tentato in tutti i modi di arginare l’inarrestabile avanzata alleata, fu costretto a capitolare.

Questo l’ultimo messaggio del reparto tedesco:

 

Consumate munizioni, distrutte le armi e gli attrezzi. Come da ordini ricevuti il D.A.K. ha lottato fino all’esaurimento completo. Il D.A.K. deve rinascere. Il Generale Comandante il D.AK.: Cramer[202].

 

Con loro uscirono di scena anche gli uomini della Superga che annunciarono:

 

Truppa esaurite le munizioni, distrutte armi ed artiglieria est stata sopraffatta. Gelich[203].

 

Nel frattempo la Iª armata, resasi conto del pericolo proveniente anche da Nord, e  per evitare un accerchiamento, decise di organizzare un ultima manovra rifugiandosi nella penisola di Capo Bon.

Qui venne organizzato un ridotto d’armata che in poco tempo si trovò circondato da tutte le forze Alleate presenti in Tunisia.

Il messaggio del comandante della Iª Armata inviato a Roma il 12 maggio comunicava:

 

La Iª Armata cui la sorte ha riserbato il privilegio di restare ultima e sola a difendere il tricolore in terra d’Africa continuerà a resistere fino all’estremo. Il nemico preme ormai da tutte le direzioni. La situazione generale, l’enorme sproporzione delle forze ed il progressivo esaurimento delle munizioni di artiglieria lasciano prevedere che la resistenza non potrà protrarsi a lungo[204].

 

Alle 11:15 giunse la risposta di Mussolini:

 

Poiché gli scopi della resistenza possono considerarsi raggiunti, lascio V.E. libero accettare onorevole resa. A Voi e agli eroici superstiti della Iª Armata rinnovo il mio ammirato vivissimo elogio. Mussolini[205].

 

Col passare delle ore capitolarono i settori tenuti dalla Trieste, dal battaglione Luftwaffe e dalla 90ª .

Le artiglierie d’armata, di fronte a  reparti schierati sul “presentat arm”, esplosero le ultime salve rimaste contro il nemico prima di essere distrutte, impedendo così  che venissero catturate.

Alle ore 17:00 venne captato un messaggio proveniente dal X° Corpo d’armata Britannico che offriva una resa incondizionata agli uomini della Iª Armata. La risposta del Generale Messe, che invece pretendeva l’onore delle armi, fu negativa e gli scontri continuarono ancora lungo tutta la linea.

Alle ore 19:35 giunse un telegramma dal Comando Supremo  che riportava:

 

Cessate combattimento. Siete nominato Maresciallo d’Italia. Onore a Voi e ai vostri prodi. Mussolini[206].

 

A questo punto fu stabilita con gli alleati una tregua per negoziare le condizioni definitive della resa. A trattare con gli inglesi vennero inviati il generale Macinelli, capo di Stato Maggiore dell’armata, il Maggiore di stato maggiore Boscardi e il colonnello Market.
Alle ore 8:30 del 13 maggio, violando la tregua stabilita truppe marocchine attaccarono il settore tenuto dalla 164ª , sparando persino su coloro che tentarono di mettersi in contatto con i comandi alleati per far rispettare la tregua. Finalmente alle ore 12:20 il generale Macinelli rientrò dalla missione a lui affidata riferendo i termini della resa:

 

1.      ordinare alle truppe di abbandonare le armi e di arrendersi immediatamente alle truppe alleate più vicine;

2.      non distruggere armamento ed equipaggiamento[207];

3.      fornire tutti i piani dei campi minati che si trovano nella zona, consegnandoli alle truppe alleate più vicine;

Le ostilità cesseranno quando saranno state eseguite queste misure la cui attuazione deve essere immediata. Il comandante della Iª armata comunicherà a che ora le sue forze si arrenderanno[208].

 

Le condizioni vennero accettate e come scrisse lo stesso Messe:

 

I nostri reparti hanno mantenuto fino all’ultimo compostezza esemplare e perfetta forma disciplinare, che conservano anche dopo la cattura. La fine della resistenza della Iª Armata è illuminata dalla stessa luce che ha brillato sulle battaglie di Mareth, dell’Akarit e di Enfidaville[209].

 

Il bollettino di guerra N°1.083 del 13 maggio recitava:

 

La Iª Armata italiana, cui è toccato l’onore dell’ultima resistenza dell’Asse in terra d’Africa, ha cessato stamane per ordine del Duce, il combattimento.

Sottoposta all’azione concentrica ed ininterrotta di tutte le forze anglo americane terrestri ed aeree, esaurite le munizioni, priva ormai di ogni rifornimento, essa aveva ancora ieri validamente sostenuto con il solo valore delle sue fanterie, l’urto nemico. E’ così finita la battaglia africana, durata, con tante alterne vicende, trentacinque mesi.

Nelle ultime lotte, durante le quali tutti i nostri reparti e quelli germanici a loro fianco schierati si sono battuti in sublime spirito di cameratesca emulazione, e artiglierie di ogni specialità e il raggruppamento “Lodi” davano, come sempre, splendida prova.

L’eroico comportamento dei nostri soldati, che, sotto la guida del Maresciallo d’Italia Giovanni Messe, hanno nella lunga battaglia assolto tutti i compiti loro commessi e conquistato nuova gloria alle proprie bandiere, riconsacra nel sangue e nel sacrificio la certezza dell’avvenire africano della nazione[210].  

 

 

 

Stime ufficiali britanniche riguardanti le perdite totali dell’Asse

 

 

Italiani                                             Tedeschi

Morti e feriti: 34.100                          Morti e feriti: 57.200

Prigionieri: 113.500                            Prigionieri: 168.000

Totale: 147.600                                 Totale: 226.000

 

 

CONCLUSIONI

 

 

Le operazioni in Africa Settentrionale furono contrassegnate e determinate da un moltitudine di fattori che esulano dalle sole questioni militari. Un intera nazione intraprese la “via delle armi” per poter affermare con la forza le proprie aspettative.

La “guerra parallela” intrapresa dal Regno d’Italia, che nelle intenzioni dei comandi italiani doveva essere breve e quasi indolore, andò a cozzare con una molteplicità di problematiche interne ed esterne. Tra i fattori interni spicca senza ombra di dubbio la scarsa preparazione militare. Una preparazione militare in armamenti, dotazioni e logistica: i corazzati, strumento bellico essenziale per la guerra moderna, non furono affatto capaci di competere con quelli britannici prima e americani poi.  Corazzature rivettate e non saldate, armi incapaci di perforare gli scafi dei carri nemici determinarono inevitabilmente le sorti delle battaglie in terra d’Africa. Ma questo solo elemento non può giustificare le immense perdite in uomini e materiali subite in due anni di guerra africana. La mancanza di un numero adeguato, oltre che una cattiva gestione, degli automezzi atti al trasporto di truppe e rifornimenti segnarono in modo decisivo la condotta del Regio Esercito.

Si può quindi affermare con certezza che le forze armate italiane risultarono sguarnite proprio in quei settori che i nuovi approcci strategico tattici esaltavano. Elementi che avevano favorito all’inizio della guerra le truppe germaniche e che avrebbero contribuito in futuro alla vittoria anglo americana.

Certamente la classe dirigente italiana era al corrente della situazione in cui versavano le forze armate ma l’entrata in guerra era incoraggiata da numerosi fattori: La caduta della Francia, i continui bombardamenti su Londra e la neutralità degli Stati Uniti fecero credere in una repentina fine delle operazioni militari a favore di una soluzione politica delle controversie internazionali. Soluzione politica a cui l’Italia avrebbe dovuto partecipare come paese vincitore per poter soddisfare tutte le sue ambizioni.

Tale approccio si dimostrò errato e nello svolgersi del conflitto l’apparato bellico italiano non riuscì ad adeguarsi ad una nuova, seppur prevedibile, condotta bellica.

A tutto ciò si sommarono anche importanti errori strategici che incisero non poco sull’esito del conflitto. Primo fra tutti la questione di Malta. Dall’isola partirono per tutta la durata del conflitto migliaia di attacchi contro tutti i convogli in transito diretti in Africa. La cosiddetta “guerra dei convogli” va analizzata in maniera storiografica non solo come una serie di eventi bellici a se stanti bensì come il perno su cui si fondarono i successi degli alleati in Africa . La capacità di fondere in modo organico le truppe impegnate al fronte ai rifornimenti provenienti dalla Madre Patria fu un elemento basilare di tutta la seconda guerra mondiale e il teatro dell’Africa Settentrionale ne fu l’esempio più eclatante.

A confermare ciò è lo stesso Mussolini che nel luglio del 1941 afferma senza troppi giri di parole:

 

Disponendo oggi di 600000 tonnellate di naviglio mercantile, con una perdita di 100000 tonnellate al mese fra sei mesi rimarremmo con le sole barche da pesca[211].

 

Quando finalmente vennero terminati i preparativi per la presa di Malta, i comandi militari italo tedeschi decisero di impegnare le forze destinate a tale operazione in Africa, al fine di sfondare definitivamente le linee inglesi e arrivare ad Alessandria. La storia tuttavia dimostro l’infelicità strategica di tale scelta che oltre a precludere definitivamente la strada verso l’Egitto, lasciò aperto il problema degli attacchi ai convogli e soprattutto il problema dei rifornimenti per le truppe combattenti..

 Bisogna sottolineare però che la scelta di dirottare in Africa i reparti destinati all’impresa di Malta fu dettata soprattutto dalla situazione strategica che si venne a creare in quel periodo e che vedeva soldati italo tedeschi impegnati su più fronti. Proprio la dispersione delle forze obbligò i governi di Roma e Berlino a concentrare gli sforzi verso il fronte Africano che in quel determinato periodo sembrava poter esser chiuso in favore dell’Asse.

Le conseguenze della battaglia di El Alamein e l’inizio dello sbarco Americano sulle coste del Marocco e dell’Algeria costrinsero l’Italia e la Germania ad una resistenza ad oltranza per ritardare il più possibile uno sbarco alleato in quello che Churchill aveva definito il “ventre molle” dell’Europa.

È quindi nell’ottica di evitare l’invasione anglo Americana del suolo europeo e soprattutto dell’Italia, che vanno inquadrate le operazioni militari che caratterizzarono la campagna d’Africa dopo il 1943.

Come disse lo stesso Von Arnim, comandante del gruppo armate africa:

 

ogni giorno che resistiamo in più è un giorno guadagnato per la difesa dell’Europa. Ogni bomba gettata in Africa è una di meno che cade in Europa[212]

 

La sconfitta di El Alamein, obbligò le forze italo tedesche ad un rapido sganciamento per sottrarsi all’inevitabile avanzata britannica, ma con l’ingresso in Tunisia il compito primario divenne quello di difendere le coste europee.

Queste manovre si svolsero in un quadro strategico poco rassicurante per l’Asse che aveva ormai perso l’iniziativa su tutti i fronti, dall’Africa alla Russia. Per questi motivi la riorganizzazione delle forze a disposizione e l’invio di rifornimenti a truppe dislocate su uno scacchiere ampissimo si dimostrò il problema fondamentale che dovettero fronteggiare gli strateghi italo tedeschi. Un esempio ci può essere dato dall’operazione C2, che aveva come obbiettivo l’invasione della Corsica. Vista la posizione dell’isola, che si trova a ridosso dell’Italia, Mussolini e Hitler decisero di occuparla per evitare che si concretizzasse un possibile sbarco americano appoggiato da degollisti francesi. Strategicamente l’approccio al problema fu coretto, ma l’operazione fu eseguita in concomitanza con l’afflusso di uomini in Tunisia e ciò privò il fronte Africano, che aveva necessità maggiori di quello corso, di uomini e mezzi atti a contrastare direttamente sul campo gli anglo americani.

Questo evento mi permette d’introdurre un ulteriore problematica che incise profondamente sul comportamento delle forze armate italiane, ovvero quella che potremmo definire come eccessiva dispersione di uomini e mezzi. Africa, Francia, Jugoslavia, Grecia e Russia. In questi paesi il Regno d’Italia s’impegnò militarmente sacrificando una gran numero di risorse che se applicate in contesti più limitati si sarebbero probabilmente dimostrate sufficienti a condurre una guerra su scala ridotta.

La perdita dell’Africa però non fu data esclusivamente dall’incapacità di portare un adeguato numero di rifornimenti, ma sopratutto dalle ingenti forze che gli anglo americani poterono schierare. A tal proposito bisogna ricordare che se i convogli dell’asse nel Mediterraneo furono duramente colpiti, quelli inglesi e Americani provenienti dall’Oceano Pacifico e Indiano non subirono perdite rilevanti, permettendo un coretto rifornimento delle forze combattenti.

Tutto ciò ovviamente è da considerarsi in un quadro molto più ampio dove le industrie belliche italiane e tedesche continuarono la loro opera ostacolate da ripetuti bombardamenti alleati che causarono ingenti danni agli impianti e numerosi morti tra gli operai con conseguente rallentamento della produzione.

 La difficile situazione bellica si riflesse ovviamente anche sulla popolazione, che colpita da lutti e privazioni iniziava a  essere stanca della situazione venutasi a creare. Situazione favorita essenzialmente dal cosiddetto “terror bombing”, che consisteva nel bombardamento soprattutto di abitazioni civili, chiese e punti di aggregazione al fine di fiaccare il morale delle popolazioni. Tale strategia, messa in atto in modo sistematico e cinico dagli anglo americani su tutti i paesi dell’asse non tardò a dare i propri frutti.

Sono infatti di marzo 1943 i primi scioperi in Italia, e di quello stesso periodo queste frasi scritte da Farinacci e rivolte a Mussolini:

 

[…] Il Partito è assente e impotente. Ora avviene l’inverosimile. Dovunque, nei tram, nei caffè, nei cinematografi, nei treni si critica, si inveisce contro il regime e di denigra non più questo o quel gerarca ma il Duce. E la cosa gravissima è che nessuno più insorge. Anche le questure rimangono assenti, come se l’opera loro fosse quasi inutile[213].

 

La totale sconfitta in Africa Settentrionale concretizzò inoltre il pericolo di un invasione anglo americana facendo precipitare l’opinione pubblica italiana in un ancor più pesante clima di  sfiducia e sconforto.

Era il preludio dei tragici eventi che avrebbero portato prima al 25 luglio e poi all’8 settembre, data che ancora oggi risveglia odi e rancori.

 

La ricerca da me intrapresa oltre agli aspetti strategici, tattici e politici ha voluto però enfatizzare le testimonianze dei militari che combatterono sul campo. Questo tipo di fonte ha permesso di sottolineare l’approccio dell’individuo alla guerra. Visioni particolaristiche che concatenate le une alle altre ci premettono di cogliere l’universalità dell’esperienza bellica nel singolo individuo.

Le memorie e i diari utilizzati per questa ricerca hanno favorito una visione che tiene conto dell’unicità dell’individuo. Hanno evidenziato la percezione del conflitto, dell’esercito, dell’amico, del nemico, dell’Africa. Uomini che si identificavano con i propri commilitoni per la difesa di una linea trincerata, di un caposaldo o di una semplice buca. Uomini spinti da un “senso del dovere” che andava di volta in volta rafforzato e alimentato con nuovi stimoli. Difendevano la propria incolumità, quella dei propri amici con cui combattevano spalla a spalla, ma anche per difendere altri italiani o tedeschi dei quali non si sapeva assolutamente nulla, ma che andavano difesi perché “dovevano” essere difesi. Lo spirito di appartenenza trapela continuamente da questo tipo di fonti, mettendo in evidenza l’emotività e l’approccio dell’individuo all’atrocità della guerra.

Nel contesto tunisino si ha però un valore aggiunto: si combatte sapendo di perdere e si combatte per ritardare il più possibile l’avanzata alleata in Italia in Europa. In Africa i soldati sentono più che mai sulle loro spalle la difesa dei confini d’Italia. Sentono sulle loro spalle il fardello dell’integrità nazionale.

Si sono quindi adoperate fonti con un particolare valore storico e in alcuni casi ancora inedite, come le memorie dei paracadutisti Andreolli e Giampaolo. Ricordi della guerra d’Africa e della sconfitta con onore a Takrouna. Sconfitta che negli scritti Neo Zelandesi diventa vittoria, ma vittoria a caro prezzo.

Un prospettiva duplice e comparata che ha permesso di comprendere la profonda differenza con la quale italiani e neo zelandosi affrontassero l’evento bellico. L’attaccante e il difensore. Il neo zelandese  chiamato in Africa dalla più sperduta “provincia” dell’Impero Britannico e l’italiano che in terra d’africa già difende la propria patria. Il neo zelandese che eccede in rifornimenti e l’italiano costretto a centellinare munizioni e razionamento.

Differenze che incoraggiavano o scoraggiavano entrambi gli schieramenti al combattimento, ma la comparazione ha messo in risalto un aspetto comune da non sottovalutare: la vita militare amalgama gli individui rendendoli “un solo corpo”. Italiani e neo zelandosi, ma a questo punto potremmo estendere la considerazione a tutte le nazionalità di entrambi gli schieramenti, sentono di far parte un esercito, organizzato o disorganizzato, potente o debole, grande o piccolo. Questo esercito non assume per i soldati le sembianze di un istituzione, bensì di un insieme di individui che trovatisi assieme in condizioni eccezionali si adoperano di volta in volta per salvaguardare se stessi, i propri commilitoni o la nazione intera.

 

Alla lue di tutto ciò non si può comunque ritenere conclusa la ricerca. Lo studio intrapreso ha evidenziato molti aspetti complementari che andrebbero indagati per poter restituire un’immagine ancor più chiara di quei controversi momenti.

Nella prima parte di questo lavoro si è parlato della impreparazione militare, sicuramente le responsabilità vanno divise tra i vertici politici, economici e militari, ma un studio approfondito su tali mancanze è necessaria e ancor più necessaria sarà lo studio dei provvedimenti e delle problematiche che si dovettero affrontare per cercare di migliorare l’apparato bellico.

Ulteriore materiale di studio e approfondimento proviene dalla particolare situazione logistica dell’Africa Settentrionale. Si è presa in considerazione il problema dei rifornimenti e si è citata la “guerra dei convogli”, ma un studio che tenga conto di questi due aspetti complementari come fossero un tutto uno è necessario anche per comprendere ancor meglio il rendimento degli italo tedeschi. Ancor più interessante sarebbe una comparazione tra l’apparato logistico alleato e quello dell’asse e le relative strategie militari che ne conseguivano.

Uno degli aspetti di maggior valore emersi durante la ricerca, ma che non si è potuto approfondire sono l’influenza degli aspetti politici sulla campagna d’Africa. Lo scontro ideologico del secondo conflitto mondiale impegnò l’Italia su più fronti. La già accennata dispersione di uomini e mezzi pesò non poco sulle truppe stanziate nel deserto. un studio che tenga conto di questo aspetto sarebbe a questo punto necessario per poter anche comprendere se una minor dispersione delle forze in campo avesse avuto la forza di contrastare il nemico o semplicemente di migliorare l’efficienza delle forze armate italiane.

Ultimo elemento, ma non meno importante, è l’elemento umano emerso nelle testimonianze utilizzate per la ricerca. Uno studio che tenga conto di una campione vasto di memorie e diari e testimonianze orali sarebbe sicuramente utile per accrescere la conoscenza di singoli episodi di guerra, ma permetterebbero anche di cogliere le sensazioni e le percezioni che accomunano tanti uomini. Una ricerca quindi che potrebbe anche andare oltre gli scritti italiani per poter analizzare in modo ampio e “globalizzato” il fenomeno guerra attraverso i differenti aspetti culturali.

L’elemento umano è forse l’unico elemento che riesce a protrarsi oltre la conclusione dell’evento storico. Le associazioni combattentistiche, i monumenti, i sacrari sono parte di una memoria collettiva che abbraccia con forza il presente. Ammirevole a tal proposito la stele eretta dall’Associazione Nazionale Paracaduti d’Italia a Takrouna in ricordo dei combattenti e caduti, simbolo ancora oggi di dedizione e sacrifico, ma anche esempio di questa memoria collettiva ovvero della presenza del passato nella società presente  .

                                                                Allegato 01

                                                                                              Relazione sulla battaglia di Mareth

                                                                                                          5 aprile 1943

 

Comando Iª Armata

Ufficio operazioni

 

                       

Relazione sulla battaglia di Mareth e la manovra da Mareth all’Akarit

16 – 31 marzo 1943 - XXI

 

 

1 – La notte sul 17 marzo, dopo una preparazione di artiglieria che per vio­lenza, durata, numero di batterie e munizioni, trova riscontro solo nella batta­glia di Alamein dello scorso ottobre, i due terzi dell'8ª Armata britannica ini­ziano l'attacco alla linea di Mareth. Contemporaneamente un terzo delle forze nemiche, per le poco agevoli vie del deserto, punta minaccioso all'aggiramento della nostra destra, oltre il massiccio gebelico di Matmata, protetto da un sottile velo disteso fra Melab e Tebaga.

Dopo sei giorni di lotta accanita nel settore costiero, il nemico non ha conseguito che successi modesti in proporzione dei mezzi impiegati e del prezzo di sangue pagato: la Iª Armata, che finora ha reagito essenzialmente con continui, pronti, fulminei contrassalti di reparti in posto e con la ma­novra di fuoco delle sue artiglierie, pone ora per la prima volta il quadro della battaglia sul piano di un contrattacco di grande unità. La 15ª divisione corazzata germanica (ridotta peraltro per i precedenti combattimenti in altri settori tunisini alle proporzioni di un terzo dei propri effettivi). in unione ad altre forze italo-tedesche della linea di Mareth nei giorni 22 e 23 marzo recide alla base il saliente nemico incuneatosi fra le nostre linee. Questo contrattacco di stile stronca ogni velleità britannica sulla linea dì Mareth.

L'8ª Armata, che indubbiamente ha sottovalutato le capacità reattive delle nostre truppe (sono i prigionieri che lo affermano) e le possibilità di resistenza della linea stessa, non rinunzia alla lotta: sposta la massa dei propri effettivi a rinforzo delle unità già in marcia contro il nostro settore sud-occidentale trasformando in azione principale quella che nel piano originario doveva essere soltanto concomitante. L'attacco viene sferrato nella notte sul 22 dalle avan­guardie corazzate del primo scaglione britannico; anche qui la lotta si fa estre­mamente dura ma le nostre contromisure, in perfetto sincronismo con il deli­nearsi della manovra inglese, sono già in atto; già è affluita ( “in loco” gran parte della 21ª. divisione corazzata messa a disposizione del Comando Gruppo Armate mentre è in corso il movimento della 164ª divisione di fanteria ritirata dalla linea. Con queste ed altre forze che vengono man mano sottratte alla linea di Mareth la situazione nel settore meridionale viene prontamente fron­teggiata prima, e nettamente dominata poi.

Quando, nel quadro di una situazione strategica che investe tutte le forze dell'Asse nel settore centro-meridionale tunisino, la Iª Armata riceve l'ordine di ripiegare, il Comandante propone di portare anzitutto a termine la battaglia in corso, che ritiene di poter risolvere vantaggiosamente anche in questo set­tore e di procedere soltanto dopo al movimento retrogrado. Ricevuta conferma di iniziare senz'altro il ripiegamento, l'Armata può affrontare ed eseguire feli­cemente la: difficile manovra, con esattezza prodigiosa, in virtù delle predispo­sizioni già attuate, della reazione manovrata che continua ad opporre all'at­tacco nemico che puntando su el Hamma costituisce una prossima minaccia che occorre parare ed è infatti parata lasciando il nemico incerto e perplesso, per effetto infine della precedente vittoria sulla linea di Mareth di fronte alla quale le truppe nemiche rimaste, battute e, depauperate di, mezzi a vantaggio della massa aggirante non sono in grado di contrastare efficacemente lo sganciamento.

Al 31 marzo, con il rientro delle retroguardie oltre la linea dell'Akarit, dopo una breve sosta sulla linea di cl Hamma Gabès, la manovra è conclusa: il nemico registra al proprio attivo un modesto guadagno territoriale e la cat­tura di qualche migliaio di prigionieri presi con l'arma in pugno dopo aver sparato l'ultima cartuccia; prigionieri che una situazione logistica meno tesa nell'’ambito dei trasporti avrebbe indubbiamente ridotti di numero.

2 – L'8ª Armata, che da 34 mesi l'Inghilterra alimenta di uomini, di cannoni, di carri e di mezzi d'ogni genere, ha subito sulla linea di Mareth e nella successiva manovra uno scacco clamoroso, di cui non ha fatto mistero in forma velata il Premier britannico e che in forma più esplicita un corrispon­dente del “Times” ha così riassumo, sia pure attribuendo il merito, per mo­tivi di propaganda, al Maresciallo Rommel: “Rommel non sarà tagliato fuori dato che la maggior parte delle sue truppe ha già passato la stretta di Gabès. La speranza di catturare la massima parte delle forze nemiche si è dovuta abbandonare. Tutto quello che è stato possibile fare è il rastrellamento di posizioni fortificate di piccola importanza. Questa situazione ritengo sia stata provocata dai rovesci subiti dall'8ª Armata nel contrattacco sferrato da Rommel la scorsa settimana. Tutto ciò ci delude molto, ma anche le possibilità delle truppe americane, che avrebbero dovuto compiere il principale attacco sul fianco nemico non sono state molto migliori delle nostre.

Riassunto sinteticamente il bilancio di un'operazione che ritorna ad onore e gloria delle truppe e dei comandi della Iª Armata, sembra utile passare in rassegna gli elementi essenziali che 'hanno originato, sviluppato, concluso que­sto indiscutibile successo delle nostre armi.

3 – Verso il I5 febbraio con il rientro delle ultime nostre retroguardie dietro la linea di Mareth, l'inseguimento britannico iniziato ad Alamein il 4-novembre e protrattosi per oltre 2.500 km., è finito. Le nostre truppe facendo ovunque fronte al nemico e contenendone gli attacchi nei momenti più salienti di questa gigantesca epopea, hanno scritto una pagina di storia che rimarrà memorabile. Ma sarebbe illusorio nascondere che questo immane travaglio du­rato per mesi non abbia agito profondamente, oltre che sui fattori materiali, anche su quelli morali del nostro potenziale bellico. Il comando della Iª Armata nell'iniziare il suo funzionamento ne ha la sensazione netta e precisa: si apre e viene affrontata da tutti con la massima energia tutta una fase di intenso lavoro di ricostruzione materiale e morale.

In questo sguardo panoramico -non trova luogo una minuta disamina dei provvedimenti adottati e rapidamente condotti a termine per potenziare, nel modo migliore le nostre forze; basta accennare che si e dato il massimo im­pulso all'avvicendamento di quegli elementi che superati i 36 mesi di permanenza in Colonia, per i disagi sofferti e lo stato morale depresso, rappresen­tavano più un elemento di debolezza che di forza; si sono completati in uo­mini e mezzi numerosi reparti, altri sono stati disciolti, altri ricostituiti; sono stati sostituiti comandanti anche di grado elevato che pur avendo dato ottime prove in passato, non apparivano più in condizioni di fisico e di spirito tali da affrontare nuove prove, che si approssimavano ancora più dure di quelle trascorse; si è con ogni mezzo ravvicinato, anche materialmente, i co­mandi e le truppe; si è cercato nei limiti dei modesti mezzi concessi di mi­gliorare le condizioni materiali del soldato; sono stati ripresi energicamente alla mano e riordinati i servizi d'intendenza; è stata ridata in pieno ai co­mandi di grande unità la loro integrale funzione tattico-organico-logistica che s'era smarrita attraverso sistemi di comando che, attuabili in eserciti stranieri, sono innegabilmente da scartare presso il nostro.

Soldati, quadri, comandi hanno avvertito da sè che dopo le gloriose ma dolorose vicende trascorse, una fase nuova si andava iniziando e verso la quale si poteva guardare se non con la certezza di una vittoria sicura, certo con tranquilla fiducia. Le posizioni assegnate alla Iª Armata sono conosciute attraverso una fama immeritata di «Maginot del deserto»; questa Maginot era costituita in so­stanza da una trentina di « Bunkers » nella zona costiera pianeggiante, a sbar­ramento delle principali comunicazioni; naturalmente buone le posizioni della zona montana; completamente aperto il terreno ad occidente della montagna dove una vasta soglia di circa 13 km. non offre assolutamente ostacolo alla manovra di forze corazzate. Nel concetto francese la “Maginot del deserto” doveva rappresentare un primo ostacolo alle forze italiane della Libia, notoriamente sprovviste di ,mezzi corazzati, per dar tempo a tutta una serie di contromanovre per lo sviluppo delle quali era stata costruita a tergo delle posizioni una fitta rete stradale; questa, che offre indubbie possibilità controffensive, presenta ai fini della di­fesa un fondamentale difetto: essa confluisce tutta nella zona di Gabès che viene a rappresentare perciò una stretta, la perdita della quale {in conseguenza 'di sfondamento alla linea di Mareth) porrebbe in crisi tutta la difesa di parte della zona costiera, di tutta la zona montana e del settore sud occidentale.

Si aggiunga che l'esistenza di un cordone collinoso degradante verso il mare davanti alla zona fortificata, pone quest'ultima nel settore costiero, in condizioni d'esser dominata da un nemico che riesca ad impadronirsene.

Tutti questi elementi valutati nel loro insieme, in una con lo sviluppo della linea di troppo superiore ai modesti effettivi della Iª Armata, avrebbero fatto preferire la scelta di posizioni più arretrate (Akarit), che, se potenziate con apprestamenti difensivi campali predisposti da tempo, avrebbero indubbia­mente offerto condizioni di maggiore economia e di migliore resistenza.

il Comando di Armata trovò una situazione di fatto e l'accettò in quanto tempo e mezzi non erano più disponibili per rinnovare altrove le difese ac­cessori che eran già state predisposte. Tenne conto dei pregi e dei-difetti della linea cercando di assicurarle profondità, di sottrarla al dominio nemico, dosando le forze nei vari settori in relazione alle intrinseche capacità di resi­stenza ed ai presumibili sviluppi della manovra nemica sulla quale, fin da metà febbraio, si avevano concreti elementi di giudizio.

In relazione a questi criteri fu fatto occupare da truppe consistenti e organizzare a difesa il cordone collinoso, sopra accennato, costituendone una posizione avanzata destinata ad imporre al 'nemico un primo schieramento e a contenere l'impeto del primo attacco. Fu dato incremento in tutto il settore costiero alla fortificazione campale (reticolati e campi minati), furono asse­gnati più vasti settori alle grandi unità della zona montana (da dove fu pre­disposta anche la sottrazione di una divisione non appena la manovra nemica si fosse precisata in ogni dettaglio). Per la difesa del settore sud-occidentale (soglia Tebaga-Melab) fu raccolto e rinforzato con quanto disponibile il rag­gruppamento sahariano, scontando a priori una situazione delicata alla quale si ritenne di poter parare (come infatti avvenne) con la manovra delle riserve mobili di cui l'Armata non disponeva in proprio, ma che erano state assicu­rate dal Gruppo Armate.

Particolarmente curato fu lo schieramento e l'impiego delle artiglierie che favorite da buone posizioni, da ottimi osservatori, dovevano costituire uno dei cardini della nostra resistenza. Data la minor gittata, il minor numero di pezzi, lo scarso munizionamento in raffronto con le artiglierie del nemico, si dovette rinunziare di massima alla controbatteria per concentrare il fuoco sugli obiet­tivi più importanti, dosando il numero dei colpi in relazione alla pericolosità degli obiettivi stessi: la manovra del fuoco predisposta nei minimi dettagli ha pienamente risposto in ogni fase della battaglia con risultati di precisione, di potenza, di tempestività tali da costituire il più manifesto, se non essenziale, ostacolo all'avanzata nemica.

Nel quadro della rinascita di ogni energia materiale e morale v'erano da ritoccare alcuni metodi di combattimento delle nostre fanterie, che affermati da tutti in teoria, s'erano andati smarrendo nella guerra del deserto dove il ritmo della lotta era segnato dall'azione dei carri, dei controcarri, delle arti­glierie, dell’aviazione. La fanteria per lungo tempo anchilosata in compiti di resistenza m posto non contrattaccava più. A colmare questa lacuna, a ridar vita e fede ai nostri fanti il Comando di Armata ha atteso con cura particolare adoperando ogni mezzo, dall'incitamento all'emulazione, dalla repressione al premio immediato: fino dai primi contatti con il nemico si è preteso che il fante, la squadra, il plotone ecc. reagissero con il contrassalto, il contrattacco in misura proporzionale all'offesa nemica; particolare questo di non trascu­rabile entità quando si pensi che l'attacco nemico che ci approntavamo a rigettare doveva essere, nella fase iniziale di rottura, portato essenzialmente con fan serie sia pure potentemente appoggiate, in quanto .è ormai canone indiscusso che grandi unità corazzate non possono (pena la distruzione rapida) affron­tare posizioni sistemate a difesa se prima la fanteria, l'artiglieria, i carri d'appoggio e l'aviazione non hanno aperto una breccia proporzionale al deflusso della massa corazzata.

A metà marzo la nostra 'preparazione, lungi dall'essere quella desiderabile, segnava -tuttavia punti di notevole vantaggio. Restavano invero vaste e paurose lacune: scarsezza di munizioni, povertà di automezzi, assenza di riserve in proprio, modestia d'armi e di mezzi in ogni campo, scarso appoggio d'avia­zione per non enumerare che le principali. Ma in complesso l'Armata, rinata dalle gloriose schiere dei valorosi che s'erano battuti ad Alamein, in Sirtica e sul Gebel, rinsanguata con nuovi elementi che assorbivano lo spirito dei vete­rani, epurata da molte scorie che l'evacuazione della Tripolitania aveva tratto seco, aveva ora un suo stile, una sua anima che accettava la lotta, fieramente decisa a protrarla fino alle estreme conseguenze su quelle posizioni che erano state affidate all'onore dei nostri soldati.

4 – A metà febbraio le avanguardie britanniche che avevano inutilmente e per la verità assai fiaccamente inseguito le nostre truppe da Tripoli a Mareth si arrestavano in vista delle nostre posizioni iniziando piccole azioni di det­taglio intese a sondare l'andamento delle nostre linee.

Da questo momento con progressione metodica costante, man mano che la situazione logistica riprende il normale funzionamento, le forze nemiche affluiscono oltre la frontiera libica e vanno schierandosi a cavallo ed a nord della rotabile Medenine -Mareth proteggendosi fra tale strada ed i monti con lavori difensivi campali e con l'osservazione di unità autoblindo sulla fronte e sul fianco.

Unità di fanteria, di modesta consistenza, sondano la nostra linea avan­zata anche a cavallo del Gebel Ksour, mentre si vanno delineando i primi nuclei nemici incaricati di costituire e proteggere una base avanzata nella zona desertica, a Ksar Rhilane, per l'alimentazione della colonna aggirante che dovrà puntare a suo tempo fra Tebaga e Melab.

E' evidente che il nemico potenzia in primo -tempo il settore costiero, dove sarà destinato il XXX Corpo d'armata sotto il c-ui controllo passano circa i due terzi dell' 8ª Armata :divisioni di fanteria 50ª, 5Iª, 2ª neo-zelandese, divisioni corazzate Iª e, 7ª. truppe di corpo d'armata e di armata costituite essen­zialmente da tre brigate carri d'appoggio (Iª \ 23ª, 24ª assegnate alle divisioni di fanteria, brigata Guardie assegnata per impiego alla divisione corazzata, reggimenti di artiglieria di piccolo e medio calibro, aliquote minori di truppe indiane della 4ª divisione.

Al termine della prima decade di marzo il XXX Corpo d'armata ha pressochè ultimato lo schieramento delle truppe; non ancora a punto appare lo schieramento dei servizi di questa grande unità che però lavorano a pieno rendimento, massimo dopo la riapertura del porto di Tripoli.

Più lento, e certamente volutamente in ritardo è l'afflusso del X Corpo d'armata che dovrà manovrare di sorpresa ad ovest del Gebe1 Ksour contro il nostro schieramento meridionale; finora sono affluite fra Ksar Rhilane e Foum Tatahouine le brigate degaulliste Leclerc e Koenig con rappresentanze greche di modesto rilievo, appoggiate dalla 4a brigata leggera che, tolta alla divi­sione corazzata, agisce ora nell'ambito del X Corpo d'armata.

Ma i tempi serrano anche per il X Corpo d'armata; la ricognizione aerea indirizzata sulle probabili vie d'afflusso di questa grande unità già al 13 marzo rileva intenso traffico sulle rotabili nord e sud gebeliche in Tripolitania e sulle piste Tarahouine -Douirat -Ksar Rhilane; il 16 di marzo alla vigilia dell'at­tacco del XXX Corpo d'armata, non sussiste più dubbio, che una divisione corazzata (la 1Oa) sta attraversando la soglia di Bir Amir a 40 km. sud-ovest di Foum Tatahouine per dirigersi contro il nostro settore meridionale da cui dista all'incirca cinque tappe: è così individuato il X Corpo d'armata forte di una divisione corazzata e di altre forze (degaullisti, greci, indiani) pari ad una robusta divisione di fanteria motorizzata.

n nemico spera che questa improvvisa minaccia in un settore assai delicato del nostro fronte ci induca a distrarre colà almeno parte delle nostre riserve per facilitare alla massa principale di attacco (XXX Corpo) il compito di rot­tura nel settore che esso ancora ritiene risolutivo: quello costiero.

E' noto, e non varrebbe la pena di ripeterlo. se troppo facili valutazioni del nemico non ci fossero già costate care nel corso della presente guerra, che l'8ª Armata rappresenta la più moderna ed attrezzata forza che sia dato riscon­trare oggi nei vari scacchieri di questa guerra veramente mondiale.

Le fanterie con cui l'Inghilterra alimenta il Medio Oriente sono fanteria di qualità per fisico, per addestramento, per spirito combattivo; il loro arma­mento ed il loro equipaggiamento sono all'avanguardia e superano nel con­fronto qualunque fanteria del mondo: nessuno oggi dispone di un armamento controcarri potente, numeroso, mobile come quello della fanteria britannica.

L'artiglieria inglese, che dispone in misura larghissima dell'ottimo pezzo da 87,6 mod. 1939 (superato solamente dall'88 m/m tedesco) ha larga dispo­nibilità di eccellenti medi calibri quali il 114 e il 152; è ricca di mezzi d'osser­vazione corazzati d'ogni genere ed ha possibilità di rapidi collegamenti radio ed a filo.

Le unità corazzate inglesi per qualità di materiali, addestramento, abbon­danza di mezzi sono sul piano delle migliori forze 'corazzate di tutti gli eserciti­ moderni.

Nell'ambito dei collegamenti, che in una armata moderna hanno la stessa

importanza delle armi, l’8ª Armata è in primissimo piano.

Ogni specialità del genio è riccamente dotata, meticolosamente addestrata, tecnicamente preparata ad assolvere qualunque compito tecnico-tattico.

Capi e stati maggiori sono collaudati e selezionati con severità sul campo

di battaglia e non infarciti di macchinose teorie, costruite a fatica nei chiusi ambulacri delle speculazioni astratte, fuori della realtà del combattimento. Ai capi sono concesse libertà pari alla responsabilità e alla dovizia dei mezzi che sono loro affidati.

La situazione logistica dell'8ª Armata che conta gli automezzi a diecine di migliaia, che ha al suo servizio flotta marittima e flotta aerea, non richiede spesa di parole.

La cooperazione fra la R. A. F. e le forze di superficie può essere presa a modello da chiunque: essa si basa sull'abbondanza dei mezzi aerei e di col­legamento, sulla praticità dei metodi, collaudati in 34 mesi di effettiva coope­razione,sullo spirito di sacrificio del personale della R. A. F. che non disdegna le prime linee per collegare queste con gli aerei in volo, sulla unicità di co­mando, sulla ferrea disciplina.

5 – Il disegno di manovra nemico, di cui implicitamente si è detto par­lando del suo schieramento, mirava a ripetere l'operazione vantaggiosamente sperimentata ad Alamein; anche qui come là, l'8ª. Armata doveva svolgere due attacchi: uno principale nella zona costiera, uno concomitante nel settore meridionale desertico. -Il piano appariva logico alla stregua dei seguenti dati di fatto:

- era noto agli Inglesi, attraverso una documentazione minuta e precisa, fornita dagli ufficiali degaullisti della Tunisia, passati nelle loro file, che la linea di Mareth non 'costituiva ostacolo formidabile per i mezzi dell'Ar­mata britannica;

-lo sfondamento a Mareth, per le ragioni precedentemente accennate, avrebbe posto in assai gravi condizioni le nostre truppe schierate su tutta la linea fino alla soglia desertica; la perdita della stretta di Gabès avrebbe dato via libera alle divisioni corazzate inglesi per quelle manovre in profondità che c'erano costate il disastro di Alamein (perdita dei centri logistici costieri, accer­chiamento delle unità non direttamente investite ecc.);

-l'attacco concomitante al nostro settore meridionale, oltre che costituire una seria minaccia per la forza intrinseca delle truppe che vi erano destinate, mirava a dissociare verso gli estremi del fronte le nostre ben magre riserve mobili;

-d'altra parte il nemico dovette ben ritenere che dopo un. ripiegamento di 2500 km., le nostre forze poste a difesa di Marerh, inquadrate in una ardua situazione strategica che non poteva sfuggire a nessuno, avrebbero op­posto una 'resistenza blanda, gravate com'erano di tanti fattori negativi: ma proprio in questo campo il nemico ha dovuto registrare la più amara sorpresa.

Quando le forze di Montgomery, dopo sei giorni dr lotta spaventosa, che “ha ammucchiato i cadaveri inglesi di fronte ai nostri capisaldi”, che ha annientato unità di primissimo ordine come la “brigata Guardie” come i battaglioni :” Black Watch” e “Durham Light” delle divisioni 50ª. e 51ª, che ha ridotto in briciole i 150 carri della 23a brigata corazzata d'appoggio, che ha reso vano il dispendio di oltre un centinaio di migliaia di colpi di arti­glieria, che ha ingoiato molte migliaia di bombe della R. A. F. disperse su tutte le linee e nelle immediate retrovie, si son guardate intorno cercando deluse i mirabolanti successi promessi ma non conseguiti, hanno rinunziato alla lotta su questa  “infernale” linea di Mareth per correre dietro al mi­raggio d'una soluzione migliore verso l'ala occidentale del nostro schiera­mento. Così fino dalla sera del 20 il Comando nemico ha netta la sensazione che la linea di Mareth non s'infrange ed in conseguenza accetta l'idea dì Freyberg, il comandante della 23ª divisione neo-zelandese, di spostare la massa delle forze nel settore sud-occidentale trasformando l'attacco concomitante in attacco principale: è una soluzione di ripiego non priva di straordi­narie conseguenze:

-devono essere messe in movimento la Iª divisione corazzata e la 2ª divisione neo-zelandese con la 24ª o brigata carri d'appoggio; massa imponente di circa 12 battaglioni motorizzati, 6 battaglioni corazzati, 150 pezzi d'artiglieria e relativi servizi; un movimento del genere operato a contatto delle nostre posizioni non poteva (e non potè) sfuggire alla nostra indagine che fu pronta a cogliere all'inizio la basilare variazione dell'atteggiamento britannico;

-le forze suddette, per giungere alla stretta Tebaga -Melab, non avevano a disposizione che malagevoli passi montani, in via di frettoloso riattamento dopo le nostre interruzioni: era indispensabile che la maggior parte di esse dalla zona di Medenine per Foum Tatahouine si spostasseI Tebaga dopo un percorso di altri 15O km. in terreno vario: movimento già difficile se predisposto, difficilissimo se originato da circostanze contingenti; per non essere colto in crisi logistica il Comando dell'gli. Annata dovette de­pauperare di mezzi e di dotazioni le forze che rimanevano a fronteggiare la linea di Mareth togliendo ad esse ogni possibilità di ulteriori, rapidi e decisivi interventi nella battaglia. Fu davvero somma iattura di non poter disporre di una massa aerea ade­guata a diretta dipendenza dell'Armata, per martellare durante il duro e malagevole cammino questa massa di forze che sarebbe giunta altrimenti depauperata ed assai malconcia alla battaglia. In ogni modo il Comando di Armata, anche senza massa aerea, intravide la possibilità di assestare un duro colpo alle forze di Montgomery accettando battaglia a fondo nel settore di cl Hamma verso il quale affluivano tutte le unità corazzate poste alla sua dipendenza (divisioni 18a e 21ª pari ad un centinaio di carri) e le unità che poteva ormai sottrarre alla linea di Mareth (164ª divisione, ed altre aliquote minori). In questo senso il Comando di Armata mosse proposta al Comando Gruppo Armate che fu costretto a non accettarla, ma anzi a rinnovare l'ordine di ripiegamento in relazione all'ag­gravarsi della situazione nel settore ovest tunisino.

Ed ìnvero il piano d'azione britannico non era circoscritto al solo im­piego dell' 8ª Armata: la tenaglia Montgomery (Mareth - el Hamma) s'in­seriva nel più vasto piano strategico affidato alle forze anglo-americane della 5ª Armata dell'Halfaya (fra Gebel Ascker e Gebel bu Serra) alla sella di el Guettar (fra Gebel Berda e Gebel Orbata) e nel settore Sened-Maknassv, concentrando lo sforzo principale alla sella di cl Guettar nell'ambizioso disegno di piombare alle spalle della Iª Armata impegnata da cl Hamma a Mareth.

E' doveroso ricordare qui, che a sventare il vasto disegno strategico di Alexander molto ha contribuito la valorosa divisione italiana “Centauro”, che comandata da un magnifico soldato di grandissimo cuore, il generale conte Calvi di Bergolo, con mezzi limitati di fronte alla strapotenza nemica, ha fatto muro sui capisaldi di e1 Guettar accettando l'impari lotta in 12 giornate cruente che valgono da sole tutta un'epopea.

6. -Lo svolgimento complessivo della battaglia sembra possa trarre suf­ficiente rilievo dalla sintesi introduttiva e dalle note che precedono. Sarà qui sufficiente delineare alcuni momenti più caratteristici, accennare ad alcune si­tuazioni locali ed ai provvedimenti adottati per fronteggiarle, al comporta­mento delle nostre unità che da questa lotta escono con l'onore e la gloria  dei forti. L'inizio dell'offensiva nemica non è questa volta preceduto come in passato da imponente spiegamento di forze aeree: è difficile dire se la R. A. F. si sia astenuta da questo primo inizio della battaglia per accumulare le forze e i mezzi da impiegare nei momenti culminanti (come è avvenuto e come avevano dichiarato alcuni prigionieri) o per non svelare implicitamente l'inizio dell'at­tacco: possono aver concorso l'una e l'altra causa; tuttavia l'attacco non era il meno atteso dalle nostre truppe di Mareth; infatti nel bollettino informazioni del 6 marzo del Comando Iª Armata si legge: « circa l'epoca d'inizio del­l'offensiva nemica vi è da rilevare che mentre il XXX Corpo d'armata ha già serrato sotto in zona avanzala e ha verosimilmente ultimata la propria preparazione, movimenti sono ancora in corso nell'ambito del X Corpo d'armata: un'azione nemica nel settore costiero è fin da ora possibile ad ovest del Gebel Ksour occorrerà ancora qualche giorno. La reazione delle nostre truppe e delle nostre artiglierie è fulminea: la "Brigata Guardie" viene contrattaccata e travolta; solo più a nord la 5ª divisione dì fanteria inglese, favorita da migliori condizioni di terreno e da una occupazione più leggera della nostra posizione avanzata resta, a prezzo di sanguinosi sacrifici, in possesso di qual­che elemento della nostra posizione avanzata; intravedendo in questi fattori (terreno-forze) probabili clementi di miglior successo, il nemico nella notte sul 18 concretava nuovi attacchi nel settore della nostra divisione "Giovani Fasci­sti" (bersaglieri e CC. NN.) che si batte con intrepido ardore: la penetrazione nemica è lenta, le perdite sono sanguinose da entrambe le parti, i prigionieri britannici che pure hanno beneficiato di un appoggio di artiglieria mastodontico, definiscono la reazione delle nostre artiglierie "terribile"; "terribili" sono pure i campi minati da attraversare malgrado l'impiego del nuovo apparecchio per la rimozione delle mine (lo "Scorpione") e .definiscono malinconicamente sbagliata la propaganda inglese che fa loro credere modesta la reazione delle truppe italiane che si battono invece ferocemente malmenando le unità bri­tanniche in modo imprevisto.

Questo dell'imprevisto è un motivo nuovo che può cogliersi di passaggio non solo nelle decisioni di Montgomery ma perfino nei commenti di radio Londra: « Rommel .ha accettato la battaglia come forse non ci aspettavamo) mentre la situazione tanto strombazzata per l'innanzi ridiventa improvvisamente fluida: l'aggettivo che maschera malamente gli insuccessi britannici.

Nei giorni 18 e 19 la lotta si svolge in tono minore: il nemico sta prendendo fiato e porta alla battaglia una nuova divisione, la 50a. appoggiata dalla 23ª brigata corazzata : con questo complesso di forze fresche egli spera in un tentativo supremo di sfondare la linea di Mareth per dare il via alle divisioni corazzate che finora impegna moderatamente e limitatamente alle brigate mo­torizzate ed alle artiglierie.

Nella notte sul 20 un nuovo più potente attacco viene sferrato nel settore

della divisione « Giovani Fascisti», mentre altre forze nemiche premono un po' ovunque su tutto il settore del nostro XX Corpo d'armata; la R.A.F. che finora aveva svolto attività limitata entra in azione di colpo con tutti I suoi apparecchi: dal fronte al parallelo degli Chotts non vi è metro di terreno che non riceva una bomba; la lotta al Mareth si spezzetta in mille episodi: ad ogni attacco nemico corrisponde un nostro contrattacco; le perdite sono gravi da entrambe le parti; morti e feriti ricoprono il terreno. L'attacco prosegue con pari violenza nella notte sul 21; bersaglieri, volontari giovani fa­scisti, tedeschi del reggimento Menton subiscono falcidie pari a quelle inflitte al nemico che dopo sei giorni di lotta in questo settore è riuscito ad intaccare la nostra posizione di resistenza su una fronte di circa 2 km. per una profon­dità di un chilometro e mezzo. Il giorno 21 la 15ª divisione corazzata germa­nica che era già stata avvicinata alla fronte viene posta alle dipendenze del XX Corpo d'armata perché in unione alle truppe della « GG. FF. », che ten­gono magnificamente tutte le rimanenti posizioni, conduca nel quadro del Corpo d'armata un immediato contrattacco cui sarà dato il massimo appoggio di artiglieria.

Questo contrattacco, che decide delle sorti della battaglia sul Mareth, si sviluppa nei giorni 22 e 23 proprio nel momento in cui il nemico sta faticosa­mente organizzando il passaggio dei carri attraverso il tratto di fosso anticarro conquistato dalla 503ª divisione inglese I poderosi concentramenti della nostra artiglieria, lo slancio dei carristi germanici in unione a quello dei nostri fanti, hanno ragione d'un nemico -che è giusto riconoscere -mostra una tenacia cd una ostinazione degna della posta in gioco.

La sera del 22 il nemico è battuto; sulle nostre vecchie posizioni non resta più che qualche sparuto nucleo inglese che si batte con disperata tenacia, mentre i nostri soldati vanno rioccupando oltre la linea dì resistenza, i centri di fuoco della posizione avanzata.

Churchill, più tardi alla Camera dei Comuni, nell'invitare il popolo bri­tannico a desistere dai facili ottimismi darà l'annunzio che « la testa di ponte costituita a prezzo di sangue dall' 8ª Armata nelle posizioni nemiche, è stata eliminata dal contrattacco germanico »,

L'acme della battaglia si sposta alla soglia fra Melab e Tebaga. Le avanguardie corazzate del X Corpo alla sera del 21 hanno attestato alle piste di Chebili a 5 km. di distanza dalle posizioni del Raggruppamento Sahariano.

Dette avanguardie nella notte sul 22 tentano di travolgere di slancio le nostre unità, alcune delle quali, in fondo valle, investite di fronte e quindi da carri infiltratisi a tergo, sono costrette a cedere, mentre il nostro schiera­mento alle ali della stretta tiene tenacemente contro i ripetuti attacchi delle fanterie e dei carri nemici. Ma la situazione può essere guardata serenamente anche in questo settore verso il quale è già stata inviata la 21& divisione coraz­zata -germanica e verso cui sta affluendo la 164ª divisione tedesca, che ha cedute le sue posizioni montane alla divisione «Pistoia» la quale a sua volta ha passato in consegna parte del proprio settore alla contigua « Spezia»: complessi di movimenti che per essere stati studiati e preordinati da tempo non danno luogo al minimo inconveniente.

Nella stessa giornata del 22 il contrattacco della 2ª. corazzata contiene lo slancio avversario che registra un modesto guadagno di terreno. Entra succes­sivamente in linea la 164ª mentre accorrono alla battaglia anche il 125° reggi­mento fanteria «Spezia» e reparti minori italiani; tutte queste forze nel loro complesso costituiscono “il gruppo di combattimento Liebenstein” che ha per compito iniziale, l'arresto dell'attacco nemico e successivamente, rinfor­zato con la Ia divisione corazzata germanica e il battaglione Lufrwaffe, rapi­damente sottratti al settore costiero, potrà passare senz' altro al contrattacco. Altre forze potrebbero essere sottratte alla linea di Mareth dove il nemico, in conseguenza dei predisposti spostamenti di forze da noi esattamente per­cepiti, ha perduto ogni capacità offensiva. Si predispone all'uopo lo sgancia­mento della 90a divisione e di altre aliquote delle divisioni italiane proponendo al Comando Gruppo Armate di accettare battaglia a fondo nel settore di el Hamma come precedentemente accennato.

Si sono chiarite più sopra le ragioni che, all'infuori della situazione nell'ambito della Iª Armata, hanno indotto il Comando Gruppo Armate a rifiutare la proposta italiana e a rinnovare l'ordine per il previsto ripiegamento. Mentre questo veniva iniziato la notte sul 26, forti reparti corazzati nemici ottenevano successo contro il settore della 164ª divisione del gruppo Liebenstein e tenta­vano di sfruttarlo in profondità, ma venivano arrestati prontamente ad el Ham­ma (dove erano state avviate altre aliquote di fanterie e di artiglierie) e quindi costretti a contromanovre per parare un nostro energico contrattacco portato sul loro fianco destro dalle nostre divisioni corazzate, che si appoggiavano al saldo schieramento dei reparti ancora in linea sulle posizioni iniziali dove infrangevano da più giorni tutti gli attacchi nemici.

Sotto la protezione incontrollabile dell'ala destra e dietro lo schermo della posizione avanzata della linea di Marerh, l'intera Iª Armata effettuava lo spostamento a scaglioni in tre successive aliquote schierandosi al mattino del 28 con parte dell'Armata sulla linea dell'Akarit e parte sulla linea Gabès­el Hamma.

Data la enorme deficienza di automezzi, la favorevole circostanza di aver potuto imporre al nemico di ritardare la sua pressione frontale, la necessità di potenziare al massimo e al più rapidamente possibile la linea dell'Akarit e soprattutto per non offrire al nemico l'occasione di un nuovo impari urto sulla debole linea el Hamma - Gabès, . Il Comando di Armata decideva di lasciare su tale linea solo unità mobili cioè il gruppo Liebenstein, la 90ª. divi­sione, la 15ª divisione corazzata, il I25° reggimento “Spezia” sotto il co­mando del XXI Corpo d'armata.

Nella sera del 28 queste forze venivano violentemente attaccate da forti masse corazzate che minacciavano di sopraffarle; di fronte a tale. minaccia e nella considerazione che lo schieramento delle altre unità sulla linea dell'Akarit si svolgeva in ordine perfetto ed era ormai imbastite; il Comando d'Armata

ordinava a queste forze di ripiegare lentamente tenendo il contatto con le

unità nemiche. Anche questa fase della difficile manovra è stata condotta felicemente a termine; il nemico, confessa attraverso il traffico radio intercettato  “di aver perduto ancora una volta, un'ottima occasione”.

A questa constatazione, che data la fonte non ammette né dubbi e né inter­pretazioni, fanno eco le dichiarazioni della stampa e della radio nemiche co­strette ad affermare che la battaglia del Mareth “non sarà forse l ultima disfatta degli Alleati” (Times 25/3) c che Rommel (notoriamente assente dalla  Tunisia) è un ottimo lottatore ed un maestro nel condurre la manovra delle sue truppe”

E' ancora presto per trarre conclusioni da avvenimenti il cui ritmo incalza vertiginosamente.

Ma una cosa è certa però: la Iª armata, rinata  a nuova vita, detentrice di tutte le tradizioni di dolori e di glorie che sono trascorse sui campi di battag1ia dell'Africa Settentrionale, ha dato nella presente battaglia tutta la misura delle sue alte capacità tecniche e morali.

La Iª Armata, per quanto diminuita nel suo potenziale bellico, di uo­mini e di armi, va incontro ai nuovi avvenimenti con incrollabile fede e con la ferma determinazione d'essere pari all'altezza del momento storico che la Patria trascorre.

 

 

Il Generale d'Armata Comandante

GIOVANNI MESSE

 

 

 

                                                                Allegato 02

                                                                                              Relazione sulla battaglia di Enfidaville

                                                                                                          19 - 30 aprile 1943

 

Comando Iª Armata

Stato Maggiore

 

                       

Relazione sulla battaglia di Enfidaville (19 – 30 aprile 1943)

 

 

 

1. -All'inizio del ripiegamento dalla linea degli Chotts, la notte sul 7 aprile, per quanta fede io potessi avere nei combattenti della 1ª Armata ,che ne ero certo, si sarebbero battuti con lo stesso valore già consacrato nelle precedenti battaglie, non potevo nascondermi la gravità della situazione: questi nostri bravi, valorosi, infaticabili soldati costretti ad una guerra manovrata i n terreno libero, per la quale non disponevano nè di mezzi idonei nè di arma­mento atto a trattenere le masse corazzate nemiche, sarebbero inevitabilmente andati incontro ad irreperibili perdite, se nel tradurre in atto gli ordini del Co­mando Gruppo Armate non avessi tenuto conto delle possibilità materiali dello strumento ai miei ordini e della necessità di opporre la massima resistenza là dove questa avrebbe potuto essere affrontata in condizioni decisamente più favorevoli.

In base a tali criteri mentre avviavo fuori del raggio d'azione dei carri ne­mici la divisione Giovani Fascisti ed i resti delle divisioni  Spezia  e Trieste , davo ordine e provvedevo a che venisse spinta al massimo ritmo la riorganizzazione dei reparti ripiegati comunque dalla linea o dalle retrovie, nonché l'approntamento di nuovi reparti costituendoli con qualunque elemento fosse atto a manovrare un'arma. Da ciò io non potevo illudermi di ricavare. forze importanti per la nuova battaglia, in quanto l'Armata, dal ripiegamento dalla Tripolitania in poi, ha quasi sempre attinto, per ricostituire i propri ran­ghi decimati, a questi elementi di retrovia che non potevano costituire un ser­batoio inesauribile; ma con il chiamare alla battaglia anche i meno atti, con il dare loro in un'ora grave la prova d'una incondizionata fiducia, io mi ripro­mettevo sopratutto d'ingigantire in ogni uomo della In Armata quello spirito di eroica resistenza che ci era venuto sempre dalle prime linee.

Questo oscuro lavoro condotto con fede ed energia ha dato frutti veramente positivi: sulle alture di Gebel Garci reparti di retrovia, fino allora impiegati nella difesa costiera, composti di anziani, meno validi, daranno magnifica. prova di saldezza contro la strapotenza nemica e supereranno anche l'aspetta­tiva di chi conosca e sappia valutare a fondo l'inesauribile forza morale della nostra gente.

Per tradurre in cifre 'le forze su cui si poteva contare alla fine del ripiega­mento, compresi i reparti tedeschi ed i ricuperi di retrovia, dirò che esse pote­vano essere valutate a 35 battaglioni, ad una cinquantina di batterie e 1/2 bat­taglione carri; se la fede del comandante voleva e volle contare sullo spirito di sacrificio di queste truppe, all'occhio del tecnico non-potevano sfuggIre tutte le lacune di cui esse soffrivano; il raffronto con le forze nemiche che si appresta­-vano al nuovo urto, forse decisivo, lasciava indubbiamente pensosi. Ma appunto per ciò la lotta doveva essere accettata con decisione estrema chiamando tutti a concorrervi.

2. Ho rappresentato, in altra precedente relazione, le vicende per le quali è passata la definizione della linea di resistenza sulla quale la 1ª Armata ha combattuto questa prima fase della battaglia per Tunisi; ho indicato nel dettaglio la linea da me proposta, nonché le successive rettifiche concesse dal Comando Gruppo Armate rispetto al suo progetto ordinario.

In base a tali rettifiche il fronte dell'Armata veniva ad assumere un anda­mento ad archi successivi tra la costa e l'altura di Takrouna, tra questa e il Oebel Garci, ed infine fra Gebel Garci ed il Gebel Gib attorno alla conca di Saouaf. In sostanza tre rientranti: due estremi di grande ampiezza, uno minore centrale, appoggiati ai salienti di Takrouna e dì Gebel Garci.

Concetto fondamentale della difesa doveva essere quello di impedire al nemico di creare, con la conquista dei due salienti anzidetti, le premesse ne­cessarie per l'impiego delle sue masse corazzate in profondità liberandole dalla nostra azione di fuoco sui fianchi. E' vero che il nemico avrebbe potuto atte­nersi al criterio costoso ed audace d'impegnare uno od entrambi i salienti e tentare lo sfondamento delle nostre. improvvisate difese in uno od in entrambi i rientranti costiero e centrale; ma una tale manovra sarebbe stata per lui gra­vata da molte incognite. D'altra parte, caratteristica essenziale della con­dotta nemica nell'impiego dei carri è sempre stata la prudenza; non è qui l’ago d'analisi per discutere se ciò dipenda da temperamento di capi o da meditata dottrina: sta di fatto che il nemico ha finora ricercato il successo piuttosto fidando nell'assoluta superiorità dei mezzi anziché nello svi1uppo di pericolose manovre. In ogni caso conveniva a noi rafforzare nel modo migliore e dare robusta consistenza alla occupazione dei salienti anzidetti contro i quali l'urto delle fanterie nemiche era inevitabile..

Alla data. del 18 aprile, vigilia della battaglia, le nostre unità risultavano schierate come segue:  XX Corpo d'armata con i resti delle divisioni 90ª  tedesca,  Giovani Fascisti e: Trieste  fra la costa ed il Gebel Garci escluso; XXI Corpo d'armata con i resti delle divisioni  Pistoia , 16411. tede­sca e Spezia fra Gebe1 Gaeci ed il Gebel Gib (ad ovest della conca di Saouaf) su cui l'Armata prendeva contatto con il D. A. K. (5ª  Armata). Nonostante lo sforzo per aumentare le unità dell'Armata in attesa che la febbrile opera di ricostruzione e di riorganizzazione desse ulteriori frutti, fu necessario schierare tutte le unità disponibili sulla linea per garantirne un mi­nimo di consistenza. Poté essere trattenuta in riserva d'Armata la sola 15ª  di­visione corazzata ridotta tuttavia ad una trentina di carri, per metà in ripara­zione, e a due battaglioni, forze che furono dislocate in zona centrale rispetto alle direttrici più pericolose (strada costiera, strada Enfidaville-Zagouan).

Le poche artiglierie d'armata furono schierate con il criterio d'avere la massima possibilità d'intervento in corrispondenza dei due salienti sopra men­zionati ed in modo che almeno un'aliquota potesse intervenire bene nei settori estremi dell'Armata, con particolare riguardo al settore costiero. In base a tali criteri le artiglierie di manovra risulteranno raggruppate in due nuclei che durante il corso della battaglia agiranno in perfetta aderenza con le nostre fanterie. Modesta alla data suddetta risultava la consistenza dei lavori e degli apprestamenti difensivi campali: per la deficienza di materiali, di mine, di la­voratori che verranno attaccati continuamente dalla R.A.F., ed infine per la impossibilità. di attuare un piano di lavori organico in conseguenza delle va­rianti alla posizione di resistenza che il Comando Gruppo Armate concede per tempi successivi.

E' tuttavia da rilevare che anche i lavori effettuati in pianura in base agli ordini originari, massime nel settore costiero, non andranno del tutto perduti: essi serviranno a proteggere in un primo" tempo la nostra linea di sicurezza e d­a trarre in inganno il nemico che contro tale linea organizzerà un vero e pro­prio attacco di carri e fanterie destinato a cadere nel vuoto con sua grande sorpresa ed inevitabile disorientamento.

Alla prova dei fatti e dopo i primi duri combattimenti sostenuti il pregio essenziale della nostra difesa risulterà quello di avere impedito al nemico la possibilità di dilagare in profondità con le sue masse corazzate; i nostri fanti di Takrcuna e di Gebel Garci sentirono che la padronanza dei due pilastri era indispensabile alla nostra difesa: messi a confronto con le fanterie britanniche, uomini contro uomini, anche se inferiori di numero, anche se meno abbondan­temente e modernamente armati, tennero duro e si lanciarono in una lotta aspra, tenace, sanguinosa rinnovando su queste alture africane l'impeto gene­roso della nostra razza.

3. -Questa prima fase della battaglia per Tunisi passa per due tempi ben distinti: dalla notte sul 20 corrente al mattino del 23 si ha « la grande batta­glia » Se vogliamo stare alla definizione che ne hanno dato i comandi avver­sari ed i soldati britannici come risulta dai diari dei prigionieri; successiva­mente la lotta cala di tono ed è quasi tutta limitata al settore costiero, dove il nemico, sempre rigettato, insiste ancora con colpi decisi contro le nostre posi­zioni avanzate in zona di sicurezza.

Nel primo tempo della battaglia il nemico persegue essenzialmente la con­quista di tre obiettivi: le nostre presunte posizioni della zona costiera tra mare -Enfidaville ­Takrouna, -il saliente di Takrouna, l,-il saliente di Geb,el Garci.

La battaglia s'inizia alle ore 23 del 19 con la consueta imponente preparazione di artiglieria. Nella zona costiera, la 50ª, divisione di fanteria inglese, che le precedenti battaglie hanno duramente provata, muove all'attacco appoggiata da una intiera brigata carri) probabilmente 1'8ª ; ma giunta in prossimità del fosso contro­carri non trova che poche nostre pattuglie che ripiegarono sul cordone collinoso che corre ad arco sul davanti della nostra posizione di resistenza; su questa fino alla notte precedente, avevano ripiegato le divisioni Giovani Fascisti  e 90ª.  

Il nemico è indubbiamente disorientato; si arresta e spinge timidamente avanti i propri elementi esploranti meccanizzati contro i quali le nostre truppe della posizione avanzata iniziano tutta una serie di schermaglie e quindi di combattimenti più consistenti per ritardare la individuazione delle nostre posi­zioni retrostanti.

Carattere ben più accanito, fin dal primo momento, assume la lotta nella zona di Takrouna, dove il nemico attacca il vertice del nostro saliente da sud, da est e da ovest.

Nell'ispezionare la nostra sistemazione difensiva m'era apparsa subito l'im­portanza che avrebbe potuto avere, nell'economia generale della battaglia, l'al­tura di Takrouna (avanzatissima e quasi staccata dalle nostre posizioni retro­stanti) se trasformata in caposaldo con funzione autonoma atto a rompere il primo impeto dell'attacco nemico e ad incanalarlo verso i rientranti costiero e centrale. A tal fine diedi ordine perchè il presidio potesse tenere a lungo anche se completamente aggirato. Convinto inoltre che una grande forza d'animo era indispensabile per i difensori feci di tutto perchè questa trovasse motivi di emu­lazione con la inclusione di un plotone tedesco fra le truppe della difesa e, nel dare ordine di resistenza ad oltranza, disposi per la consegna _alle truppe della bandiera di combattimento italiana e tedesca affidandone la difesa al loro onore di combattenti.

Ecco la lettera con cui il generale La Ferla, comandante della divisione Trieste mi dava notizia, il giorno 8 aprile, dell'avvenuta consegna:

 

N. 203 Op. di prot. Z. O., r8 aprile 1943-XX1

 

 All'Eccellenza Generale d'Armata Giovanni Messe Comandante 1ª Armata.

 

Questa mattina in nome della Patria e Vostro, alla presenza di una rap­presentanza in armi del presidio di Takrouna, ho consegnato le bandiere ita­liana e tedesca al comandante del caposaldo che ha preso impegno che esse verranno difese fino all'ultimo uomo, come da Vostra consegna.

 

Il generale comandante

F. La Ferla.

 

Il presidio di Takrouna oltre il I battaglione del 66° fanteria ed il plotone germanico sopra menzionato, comprendeva anche una sezione da 65/17 ed una sezione da 8716 preda bellica del  R.A.C.A..

La preparazione dell'artiglieria nemica, violentissima, si protrae dalle ore 23 del 19 alle ore 6 del giorno successivo quando le fanterie nemiche appoggiate da carri muovono all'attacco del fronte Takrouna-Djebel Bic-Djebel Cberachir -Djebel Froukr.

L'attacco è così violento ed alimentato dall'afflusso continuo di forze fre­sche che il vicino caposaldo tedesco di Gebe1 Bir, dopo una strenua resistenza, è: sommerso; con la caduta di esso il nemico si assicura il piedistallo per ten­tare da sud-est l'attacco e la scalata al Takrouna.

M-a i nostri difensori, validamente appoggiati dalle artiglierie in loco e da quelle di Corpo d'armata e di Armata tengono duro di fronte all'incalzante marea che ora avvolge tutto il monte anche da sud-ovest, dove il fuoco preciso delle nostre mitragliatrici miete strage nelle file nemiche.

Verso le ore 9, dopo un violento corpo a corpo, le nostre posizioni di sud­est sono sommerse: il nemico s'infiltra fino sulla cima del monte nel minu­scolo villaggio che lo sovrasta, dove lo stesso comandante di battaglione con pochi elementi del comando guida i contrassalti per ricacciare gli assalitori.

Questa situazione diverrebbe insostenibile di fronte alla marea nemica che comprende quasi tutta la 2a divisione neo-zelandese, se nuove forze non fossero inviate al Takrouna. Sale sulla quota, superando violenti sbarramenti di arti­glieria nemica, il battaglione di formazione Folgore prima verso le ore 14 con la compagnia granatieri e quindi verso le ore 16 con le altre due compa­gnie paracadutisti.  

Con il classico slancio delle nostre più belle truppe d'assalto, il batta­glione  Folgore snida di casa in casa il nemico, lo incalza poi di roccia in roccia, lo ributta giù dalle pendici est del monte riconquistando tutte le posi­zioni perdute; il rastrellamento si protrae per parecchie ore e soltanto verso le prime luci del 21 può dirsi completato e la situazione ristabilita.

M'a il nemico non desiste dal proposito dì occupare Takrouna. Dopo una violentissima preparazione, forze fresche sono lanciate a sempre nuovi at­tacchi.

Dalle ore 1] di detto giorno la furibonda lotta che imperversa sul monte è più intuita che seguita in quanto manca ogni comunicazione diretta, ma essa non ha tregua.

Lo stesso nemico che in primo tempo dà per occupata la posizione e smen­tisce poi la notizia, è perplesso di fronte alla resistenza feroce dei singoli nuclei che preferiscono la morte alla resa.

La lotta d'episodio in episodio si protrae per tutto il giorno 22 e nella nette sul 23.

Solo nelle prime ore d} detto giorno il nemico resta padrone della situazione.

Ma a prezzo di quali .sacrifici! Esso stesso conferma che le perdite sono state enormi ed infatti non ha più forza di procedere a nuovi attacchi. Nel settore di Takrouna la battaglia è terminata.

Contemporaneamente all'attacco del saliente di Takrouna il nemico sferra quello contro il settore della nostra divisione Pistoia sistemata a difesa del  saliente di Gebel Garci. Contro questi nostri logori battaglioni, fanterie inglesi ed indiane della 4ª  divisione, appoggiate dalla massa di artiglierie, schierate al ridosso del Gebel Fadeloun, muovono all'assalto delle nostre posizioni di Djebel Hajar el Azreb-Djebel Blìda -Kef en Nsoura. Poicbè l'attacco stenta a proce­dere, l'azione delle fanterie viene integrata da quella dei carri, di cui ora il nemico si serve come di artiglierie mobili per l'appoggio ravvicinato special­mente verso le pendici più basse del Gebel dove i carri hanno qualche possibi­lità di movimento.

Le nostre artiglierie intervengono con eccellenti risultati sia nello sbarra­mento come nella interdizione sommando i loro effetti distruttivi. a quelli al­trettanto micidiali delle nostre fanterie che oppongono validissima resistenza. All'alba, a costo di gravissime perdite, il nemico riesce ad effettuare solamente una modesta penetrazione fino alla linea Kef en Nsoura -Diebel el Ksaa­quota 245. Ma nel pomeriggio del 20 un nostro violento contrattacco appog­giato da tutte le nostre artiglierie rigettava il nemico assicurando il saldo possesso della linea Kef en Nsoura -Djebel Hajar el Azreb quota 152.

Il nemico, è chiaro subisce ora in pieno la nostra iniziativa e si limita nella notte sul 21 mentre ancora infuriano i combattimenti sul Takrouna al consueto tambureggiante fuoco di artiglieria con esclusiva fisionomia di re­pressione e d'interdizione.

Il mattino del giorno 22, il nemico, che ha portato in linea nuove ingenti forze, probabilmente della 51ª divisione, riprende con accanimento i suoi attac­chi appoggiato da uno spaventoso continuo bombardamento; ma i fanti della valorosa divisione  Pistoia fanno barriera invalicabile con i loro petti e per quanto assottigliati nei ranghi non permettono al nemico di avanzare d'un passo.

La “grande battaglia” è finita anche sulle posizioni di Gebel Garci.

L' 8ª Armata britannica, che il generale Montgomery aveva definito in un recente proclama “il più potente strumento di guerra che l'Impero britannico abbia mai posseduto” è costretta a segnare il passo di fronte alle nostre insu­perabili fanterie concretando i propri successi (sono parole di radio Londra) “nell'aumento di croci sulle colline e di feriti negli ospedali”.

Il secondo tempo della battaglia è tuttora in corso; nel settore della 1ª Ar­mata esso è costituito dall'insieme degli scontri parziali ma violenti che si suc­cedono sul fronte della nostra divisione Giovani Fascisti dove il nemico tende ad impadronirsi delle nostre posizioni di sicurezza: sia nella notte sul 25 come nella notte sul 27 i nostri nuclei di Gebel Srafi è di Oebel Therouna vengono violentemente attaccati da reparti neo-zelandesi ed inglesi ma ogni attacco è vigorosamente rigettato dai nostri contrattacchi.

Ma mentre queste azioni si svolgono con carattere di logoramento e di disturbo, si rileva prima e quindi si accerta che due sulle tre divisioni coraz­zate dell' 8ª Armata vengono trasferite sul fronte ovest a rinforzare la 8ª  Ar­mata britannica nel settore Medjc el Bab -Pont du Fahs.

Così sulla linea di Enfidaville, si è ripetuto quanto accadde a Mareth: l'8ª  Armata britannica battuta nella battaglia frontale di fanterie, cerca la soluzione con la massa corazzata verso nuove 'direttrici, salvo a riprendere, appena se ne presenterà l'occasione, più ampie iniziative anche nel nostro settore massime in zona costiera dove fra l'altro sembra rimasta la 1" divisione corazzata, mentre. sta affluendo una nuova divisione, la 56ª  proveniente dall'Irak.

4, -La propaganda nemica, che in 'passato non lesinò l'insulto, da Mareth in poi cerca piuttosto d'ignorarci, diffondendo nel mondo la convinzione che le truppe italiane non esistono quasi più in Tunisia.

Questa propaganda nemica che s'era creato un suo mito nella figura del valoroso Maresciallo Rommel, oggi non annunzia alla gioia di distruggerlo. Naturalmente il crollo del mito Rommel mancherebbe della indispensabile grandiosità se con lui non crollassero le sue famos-e truppe germaniche.

Ecco perchè, per il nemico, la resistenza meravigliosa è ancora una resi­stenza esclusivamente tedesca, ecco perchè i contrattacchi sanguinosi sono con­trattacchi esclusivamente germanici! Il nemico sa che ì soldati italiani gli hanno sbarrato la via a più riprese, sa che Rommel è assente dalla Tunisia (glielo hanno confermato i prigionieri), ma non rinunzia al mito.

Il complesso di battaglie e di combattimenti svolti da Mareth ad oggi, ha registrato la vittoriosa affermazione delle nostre fanterie ogni qualvolta sono venute in contatto uomini contro uomini con le fanterie inglesi che pur beneficiavano di un appoggio di mezzi formidabili. Il peso dell'ultima battaglia è stato sopportato in misura di gran lunga superiore dai nostri battaglioni in raffronto ai battaglioni germanici in quanto le posizioni attaccate dal nemico erano sostanzialmente tenute da noi. Ne fanno fede le perdite costituite quasi esclusivamente di morti e di feriti perchè la battaglia per Tunisi ha avuto il singolare aspetto di una lotta senza quartiere quasi priva di prigionieri per entrambe le parti. Contro 6 battaglioni italiani eliminati definitivamente dalla lotta e 2 ritirati dalla linea perchè ridotti ad un pugno di uomini, le perdite germaniche si aggirano sul paio di battaglioni. Comunque è doveroso ricono­scere ancora una volta che le truppe tedesche si sono battute valorosamente anche in questa occasione.

Il peso che la nostra artiglieria ha avuto nelle passate battaglie è stato grandissimo: anche se non dotata di. modernissime bocche da fuoco come le artiglierie alleate e nemiche, essa ha il pregio di possedere quadri d'avanguar­dia nell'impiego tecnico del propri mezzi, dai quali ha saputo trarre un ren­dimento quale probabilmente nessun altro complesso di quadri avrebbe potuto ricavare.

La 1ª Armata avrebbe oggi possibilità di nuove affermazioni per il suo contenuto tecnico e spirituale. Nelle lotte dure e sanguinose, nella vita tormen­tata d'ogni giorno, la sua anima si è affinata acquisendo una sensibilità subli­me che si riscontra nello sguardo febbrile dei nostri feriti dove non si coglie l'ombra d'una rassegnazione supina di chi sente la fine senza speranza, ma invece la determinazione cosciente di chi ha capito che qua noi difendiamo la Patria, le nostre città, la casa, la famiglia. Ma l'Armata marcia rapidamente verso l'esaurimento.

Già da tempo le nostre grandi unità si sono di volta in volta ricostituite alla meglio attingendo ai resti di altre grandi unità disciolte; dopo Mareth si sono sciolti ed inseriti nei ranghi reggimentali anche tutti i piccoli reparti auto­nomi, ma ora si è esaurita anche questa sorgente alla quale si è attinto senza reticenza pur sapendo che il rinnovarsi attraverso questi resti dì unità privatissime, mina l'efficienza qualitativa dei. nostri reparti perchè è indubbio che la battaglia elimina di volta in volta i migliori.

Ma se a ciò non si potrà porre rimedio, noi continueremo a batterci come per il passato senza domandarci quanti siamo di fronte al nemico.

Z. O. 30 aprile 1943-XXI.

 

Il Generale d'Armata Comandante

GIOVANNI MESSE

 

 

 

 


 

[1] Memorie scritte dall’allora Sottotenente della “Folgore” Cesare Andreolli.

[2] La guerra metterà in evidenza come la manovrabilità non dipenda solo ed esclusivamente dall’organizzazione dell’unità, ma soprattutto dalla motorizzazione delle stesse.

[3] Rochat Giorgio e Massobrio Giulio, cit., p.223.

[4] L’Italia avrebbe potuto contare così su un numero maggiore di divisioni,  avvicinandosi al numero sfoggiato dagli altri stati europei.

[5] Montanari Mario, L’esercito italiano alla vigilia della 2ª guerra mondiale, Stato Maggiore Esercito Ufficio Storico, Roma, 1982,  p. 371.

[6] Per un totale di 1.300 uomini.

[7] Africa Settentrionale.

[8] Montanari Mario, Le operazioni in Africa settentrionale, Vol. 2, Tobruk (Marzo 1941 – Gennaio 1942), Stato Maggiore Esercito Ufficio Storico, Roma, 2000, p. 707.

[9] Sul piano economico le piccole unità, che non risultavano quasi mai essere complete, quindi non richiedevano un apparato industriale  imponente per sostenerle.

[10] L’Italia a dispetto degli altri eserciti europei non dispose mai ne di carri medi ne di carri pesanti.

[11] Ivi , cit., p. 268.

[12] Montanari Mario, L’esercito…, p. 221.

[13] Rochat Giorgio, Ufficiali e soldati. L’esercito italiano dalla prima alla seconda guerra mondiale, Paolo Gaspari Editore, Udine, 2000, p. 91.

[14] Montanari Mario, L’esercito italiano…., op. cit., p. 514.

[15] Caccia Dominioni Paolo, Alamein. 1933 – 1962, Mursia, Milano, 1992, pag. 44.

[16] Contro un nemico che non disponeva ne di divisioni corazzate e ne di ami anticarro.

[17] La definizione di “carro medio” differisce da nazione a nazione, per l’Italia i carri medi andavano dalle 7 alle 15 t, altre nazioni avevano limiti ben superiori.

[18] Montanari Mario, Le operazioni…  Vol. 2…,cit., p. 792.

[19] Caccia Dominioni Paolo, cit., pp. 49 – 50.

[20] Cappellano Filippo e Pignato Nicola, Il semovente da 75/18, p. 13 in “Storia Militare n° 118 Luglio 2003.

[21] Ivi, p. 14.

[22] evitando così di lasciare un  cospicuo bottino di armi, mezzi e uomini.

 

[23] Montanari Mario, L’esercito italiano….  op. cit., p. 505.

[24] Montanari Mario, Le operazioni… Vol2…,cit., pp. 783 – 794.

 [25] Ivi , cit., pp. 783 – 794.

[26] Con l’aggressione sovietica della Finlandia i fucili mod. 91/38 cal 7.35 finirono in dotazione all’esercito finlandese per combattere la guerra denominata “Guerra d’Inverno”. Informazioni tratte dal sito http://www.il91.it.

[27] Società Romana Costruzioni Meccaniche.

[28] Odero Terni Orlando.

[29] Montanari Mario, L’esercito italiano….  op. cit., pp. 372 – 373.

[30] Montanari Mario, L’esercito italiano….  op. cit., p.  510.

[31] Ivi, p. 290.

[32] Ivi, p. 517.

[33] Ogni legione si componeva di tre coorti,  a loro volta formate da tre centurie, mentre ogni centuria era formata da tre manipoli ed ogni manipolo da tre squadre.

[34]  Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale.

[35] Montanari Mario, Le operazioni in… op. cit., p. 64.

[36] DSCSAS, TELEGRAMMA 01/205602 DATA 20.6.1940 del Comando Supremo, in Mario Montanari, cit., p. 63.

[37] Ivi, p. 106.

[38] Un promemoria del Servizio Informativo Militare datato 23 Ottobre indicava un aumento di truppe inglesi in Egitto, che secondo le stime ammontavano a circa 260000 uomini. 

[39] DSCS, lettera in data 26/10/1940. in Montanari Mario, cit., p. 147.

[40] Ivi, p. 153.

[41] Bongiovanni Alberto, Battaglie nel deserto. Da Sidi el Barrani a El Alamein, Milano, Mursia 1978, p. 71.

[42] Montanari Mario Le operazioni in.., op. cit., p. 210.

[43] Ivi, p. 276.

[44] Bongiovanni Alberto, cit., p. 97.

[45] carro pesante di “supporto fanteria” inglese, quasi invincibile per le armi controcarro italiane.

[46] Montanari Mario, cit., p. 283.

[47] Zucconi Ernesto, Afrikacorps, Milano, Novantico editrice- Ritter 2003, p.10.

[48] Montanari Mario, Le operazioni in Africa settentrionale. Vol 2 Tobruk (marzo 1941-gennaio 1942), seconda   edizione, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma, 2000, p. 38.

[49] Montanari Mario, Le operazioni…Vol. 2…,  cit.p. 182.

[50] Bongiovanni Alberto, cit., p. 143.

[51] Rommel Erwin, Guerra senza odio, Garzanti, Milano, 1959, p., 35.

[52] Cannoni progettati per funzione di contraerea, furono utilizzati invece da Rommel in funzione controcarro visto che la loro potenza di fuoco era in grado perforare le spesse corazze dei carri alleati.

[53] Naglieri Valerio, Carri armati nel deserto, Ermanno Alberelli editore, Parma, 1972, p. 64.

[54] Montanari Mario, le operazioni in Africa settentrionale. Vol 3 El Alamein (Gennaio Novembre 1942), Stato Maggiore Esercito Ufficio Storico, Roma, 1993, p. 57.

[55] Cavallero Ugo, Comando Supremo. Diario 1940-43 del Capo di S.M.G., Cappelli Editore, Rocca S. Casciano, 1948, p. 214.

[56] Ivi, pp. 219-220.

 [57] Montanari Mario, le operazioni… Vol.2,  p. 76.

[58] Bongiovanni Alberto, cit., p. 189.

[59] Cavallero Ugo, op cit., p.p.271.

[60] Ivi, p. 275.

[61] Ivi, p.278.

[62] Ivi, p.301.

[63] Caccia Dominioni Paolo,op cit.p. 28.

[64] Stefanon Gualtiero, La battaglia di el – Alamein, in el-Alamein. La battaglia…, cit., p. 37.

[65] Bongiovanni Alberto, op. cit., p. 219.

[66] Cavallero Ugo, op cit., p.339

[67] Ivi, pp. 365 – 366.

[68] Montanari Mario, le operazioni in Africa settentrionale. Vol 4 Enfidaville (Novembre 1942 Maggio 1943), Stato Maggiore Esercito Ufficio Storico, Roma, 1993, p. 11.

[69] Mezo blindato inglese.

[70] Andreolli Cesare, Da El Alamein a Takrouna. (i paracadutisti italiani nelle tappe della ritirata in Nord Africa 1942-1943), memoriale in possesso dell’associazione nazionale paracadutisti d’Italia sezione di Monza,  p.15.

[71] Cavallero Ugo, op cit., pp. 405-417.

[72] Doronzo Raffaele, Folgore!... e si moriva. Diario di un paracadutista. Mursia, Azzate 1995, p. 121.

[73] Cavallero Ugo, op cit., p.361.

[74] Ivi, p. 397.

[75]  Paludi salate.

[76] Ivi, pp. 391-395.

[77] Montanari Mario , op cit., p. 120.

[78] Ivi, p. 397.

[79]  Diario Storico del Comando Supremo, tele 34129 data 18/12/1942, ore 22:30. in Montanari Mario, ivi p. 138.

[80] Ivi, p.137.

[81] Diario Storco del Comando Supremo forze armate in Libia (DSCFAL), f. 01/20584/op. data 17/12/1942, in Ivi, p.138.

 

[82] Cavallero Ugo, op cit., p. 429.

[83] Parafrasando un discorso di Mussolini che aveva definito i paracadutisti italiani arditi di cielo e di terra.

[84] Andreolli Cesare, op. cit., p. 46.

[85] Ammiraglio Umberto Cagni sbarcava in Libia nel 1911 al comando di poche centinaia di marinai innalzando per la prima volta il tricolore in terra libica.

[86]  Messe Giovanni, La Iª armata italiana in Tunisia, SME Ufficio Storico, Roma, 1950, p. 37.

[87] DSCSFAL, tele 01/760/op. data 14/01/1943, ore 14:00. in Montanari Mario, le operazioni …. Vol 4, p. 163.

[88] Cavallero Ugo, op. cit., p.427

[89] Ivi, p. 437.

[90] Messe Giovanni, op cit., p. 10.

[91] Messe Giovanni, Come finì la guerra in Africa, Rizzoli, Milano – Roma, 1946, p. 51.

[92] Deutch Afrika Korps

[93] Ivi, pp. 45 – 46.

[94] Ivi, p. 48.

[95] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p. 39

[96] Ivi, p. 48.

[97] Ivi, p. 48.

[98] Montanari Mario, Operazioni… vol. 4, op. cit., p.284.

[99] Ivi, p. 304.

[100] Ivi, p. 306.

[101] Alexander Harold, D’El Alamein a Tunis et a la Sicilie Lavauzelle, Paris, 1949, p.101.

[102] Liddel Hart Basil, The Rommel papers, Harcourt, Brace and Co., New York, 1953, p.407.

[103] Montanari Mario, Operazioni… vol. 4, op. cit., p. 324.

[104] Ivi, p. 351.

[105] Ordine di operazione n°1 dell’ufficio operazioni comando Iª Armata, 1150/OP di prot. Segreto, 2 marzo 1943, in Messe Giovanni, La Iª Armata…op. cit., allegato 10 pp: 360 – 362.

[106] Ivi., p.64.

[107] Ivi, p. 64.

[108] Andreolli Cesare, op. cit., pp. 58 – 61.

[109] Ivi, pp. 66 – 67.

[110] DS Comando I° Armata, f. 1094/43 data 13/03/1943 del Comando gruppo d’armate Africa, allegato n° 21.

[111] Montanari Mario, Operazioni… vol. 4, op. cit., pp. 369-371.

[112] Ivi, p. 370.

[113] Ivi, p.387.

[114] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p. 121.

[115] Andreolli Cesare, op. cit., pp. 74 – 75.

[116] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p. 110.

[117] Ivi, p.101.

[118] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p.142.

[119] Ivi, p. 389.

[120] Montanari Mario, le operazioni… Vol.4,  p. 419.

[121] Ivi, p. 418.

[122] Messe Giovanni, Come finì…, op cit., p 98.

[123]Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p. 163.

[124] Montanari Mario, Le operazioni… vol.4, op cit.,p. 455.

[125] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p 412.

[126] Andreolli Cesare, op. cit., p 77.

[127] Ivi, p.  78

[128] Medaglia d’Argento al Valor Militare.

[129] Medaglia di Bronzo al Valor Militare.

[130] Bezzi Gianni, Gen. Giampaolo. Guidò i nostri paracadutisti alla conquista di Takrouna, pp. 8 – 11 in “Folgore”. N° 11, 1995.

[131] Montanari Mario, Le operazioni… vol.4, op cit.,p. 466.

[132] Ivi, p. 466.

[133] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p 196.

[134] Ivi, p. 198.

[135] Ivi, p.  196.

[136] Ivi, p.  186.

[137] Ivi, p.  234.

[138] Ivi, pp.  234 – 235.

[139] Letti di fiumi in secca.

[140] Zone paludose come gli Chotts.

[141] Ivi, p.  224.

[142] Ivi, p.  233.

[143] Ivi, p.  236

[144] Montanari Mario, Le operazioni… vol.4, op cit.,p. 502

[145] Ivi, pp. 500 – 501.

[146] Ivi, p. 488

[147] Ivi, p. 429,

[148] Ivi, p. 429.

[149] Ivi, p. 483.

[150] Montanari Mario, Le operazioni… vol.4, op cit.,p. 431.

[151] Ivi, p. 443.

[152] Ivi, p. 489.

[153] Ivi, p. 434.

[154] Ivi, p. 434.

[155] Ivi, p. 447.

[156] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., pp. 239 – 240.

[157] Ivi, pp. 249 – 250.

[158]Loi Salvatore, “Aggredisci e vincerai”, Mursia, Mlano, 1983, p.91.

[159] Ivi, p. p.90.

[160] Ivi, p. 91.

[161] Montanari Mario, Le operazioni.. vol. 4, op. cit., p. 454.

[162] Stevens William George, Bardia to Enfidaville, Historical Publications branch, Wellington, 1962, p.277 - 341.

[163] Loi Salvatore, op. cit., p. 92.

[164] Stevens William George, Bardia…, op. cit., p.277 - 341

[165] Ivi, p. 92.

[166] Ivi, p. 93. episodio riportato anche in J.F. Cody, Official History of New Zealand in the second world war 1939-45  -  28° (maori) battalion , chapter 11.

[167] Ivi, p. 93

[168] Andreolli Cesare, op. cit., p. 85.

[169] Arena Nino, Morire a Takrouna. (La folgore: rivivere la leggenda), consultabile sul sito internet http:\\www.anpdi2.org\attualit%C3%A052.htm.

[170] Andreolli Cesare, op. cit., p. 87.

[171] Cody Joseph Frederick, Official History of New Zeland in the second world war 1939-45 , 28° (Maori Battalion), war history branch, department of internal affairs, Wellington , 1956, Chapter 11

[172] Arena Nino, Morire a …, op. cit.

[173] Andreolli Cesare, op. cit., p. 88

[174] Arena Nino, Morire a …, op. cit

[175] Andreolli Cesare, op. cit., pp. 88- 89.

[176] L’ufficiale in questione non è altri che il sottotenente Andreolli che nel suo diario narra di sé in terza persona.

[177]Ivi, p. 89 – 90.

[178] Loi Salvatore, op. cit., p. 94.

[179] Cody Joseph Frederick, Official History…., op. cit., Chapter 11

[180] Ivi, p. 95 – 96.

[181] Ivi, p. 97.

[182] Marini Eligio, Un indifferente e la guerra, SIGRAF, Pesaro, 1995, p. 131.

[183] Ivi, p. 131 – 132.

[184] Andreolli Cesare, op. cit., p. 92.

[185] Loi Salvatore, op. cit., p. 98.

[186] Marini Eligio, op. cit., p. 132.

[187] Loi Salvatore, op. cit., p. 196.

[188] Stevens William George, Bardia.., op. cit., p.277 - 341

[189] Cody Joseph Frederick, Official History of …op. cit., Chapter 11

[190]Neri Giovanni, L’Australian war memorial, pp. 50 – 55, in “Storia militare” n° 133 Ottobre 2004. .

[191] Cody Joseph Frederick, Official History…op. cit.,Chapter 11.

[192] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p.279.

[193] Montanari Mario, Le operazioni… vol.4, op cit.,p 516.

[194] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p. 275.

[195] Montanari Mario, Le operazioni… vol.4, op cit.,p 533.

[196] Secondo la formula tedesca,la giornata carburanti corrisponde al fabbisogno per 100 KM. per tutti gli automezzi.

[197] Truppe italiane inquadrate nella 5° Armata tedesca.

[198] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p. 281.

[199] Montanari Mario, Le operazioni… vol.4, op cit.,p. 539.

[200] Ivi, p. 296

[201] Ivi, p. 297

[202] Ivi, p. 296

[203] Ivi, p. 296

[204] Ivi, p. 298.

[205] Ivi, p. 298.

[206] Ivi, p. 299.

[207] A questa condizione Messe rispose :” circa la distruzione delle armi posso soltanto impartire l’ordine che da questo momento i reparti si astengano da qualsiasi ulteriore distruzione”.

[208] Ivi, p. 301.

[209] Ivi, p. 301.

[210] Ivi, p. 302

[211] Montanari Mario, Le operazioni… vol.4, op cit.,p. 570.

[212] Messe Giovanni, La I° Armata…, op cit., p.  447

[213] Montanari Mario, Le operazioni… vol.4, op cit.,p.  579.

 

        

16 Agosto 2008 / v06
 

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