Una vecchia scatola di cartone
con il coperchio ricoperto di stoffa amaranto.
Tutto è
iniziato da li….
Mi è
sempre piaciuto, fin da piccola, vedere le “foto vecchie dei nonni”, con
quel colore a metà tra il seppia e il grigio, che sanno di carta e dell’armadio
della nonna. Tanto che, quando mi raccontano ancora oggi della guerra o di
quando “gh’avevum nient” (non avevamo niente), non posso fare a meno di
immaginarmi tutto di quel colore, come se una volta fosse tutto bianco e nero.
Chiedevo
sempre chi erano “quelli delle foto”, mia nonna mi rispondeva e poi
raccontava di quel suo fratello Remo sparito in mare in tempo di guerra. Una
storia che mi ha sempre affascinata, mi ha sempre fatto dire “ e se…”. Ma
allora internet e la tecnologia di adesso non esistevano e tutto era fermo ai
ricordi dei nonni e ai pochi documenti rimasti.
Così ho
deciso: perché non riaprire il cassettino dei “e se,,,” e cercare una
risposta?
Da qui
inizia una ricerca fatta di e-mail, siti sulla seconda guerra mondiale, aiuti da
parte di tante persone, che mi hanno spinto a scrivere questo articolo per non
far dimenticare quello che accadde a tanti soldati come Remo di cui non si seppe
più nulla o dei quali, pur a distanza di ormai più di mezzo secolo, si cerca di
avere ancora delle risposte.
Remo
Masotti è il primo figlio di Sisto e Filomena, i genitori di mia nonna Luigia (
o Luisa, sennò si arrabbia). Nato in Friuli, a Coseano, il 26 agosto del 1920,
viene a vivere con tutta la famiglia a Milano nel 1937, in via Campanella, a
causa del lavoro del padre. La famiglia vive in una piccola casa ed è composta
dai due genitori più cinque figli: Remo, Dina, Luigia, Erminda e Angelo. Mia
nonna è l’ultima rimasta. Remo ha un carattere solare, vivace e molto
responsabile verso le sorelle più piccole. A 17 anni inizia a lavorare alla
Permolio di Musocco come apprendista manovale. Intorno al 1940 la famiglia deve
cambiare casa a causa di uno sfratto. Si trasferiscono quindi in periferia, a
Ospiate di Bollate in via Trento. Da qui Remo viene richiamato alle armi il 1
febbraio del 1940, a soli 20 anni.
Viene
arruolato l’11 giugno nel 7° Reggimento Bersaglieri, come soldato semplice : nei
documenti si legge “ D.M. mobilitato”. Si legge poi “ giunto in
territorio dichiarato in stato di guerra il 19 giugno” e “ partito da
territorio dichiarato in stato di guerra il 15 luglio”. Un’ultima
annotazione della pagina del foglio matricolare dice: “Tale trasferito al 9°
Reggimento Bersaglieri con f. N. 01/1441 del 19 ottobre del 1940 del comando
Div. Motorizzati Trento”.
Dalle
lettere a mia nonna, però, sul mittente viene sempre scritto “ 105 Compagnia
Cannoni da 47/32 Divisione Pavia”. Queste lettere sono tutte e tre del 1941,
precisamente scritte:
1)
26/07/41
2)
21/08/41
3)
14/11/41
Più una
cartolina di auguri di Pasqua datata 17/03/1942.
Sulle
prime due viene aggiunto al mittente “ Posta Militare 54 T”, mentre
sull’ultima lettera di novembre e sulla cartolina la T diventa C.
Probabilmente, ma non ho un documento che lo attesti, Remo passò dalla Div.
Trento del ’40 a quella Pavia nei primi mesi del ’41.
Nelle sue
lettere chiede sempre della famiglia e scrive “ …ho inteso che mi dici che tu
mi hai già preparato un regalo per quando vengo a casa ma non occorre che ti
fastidi tanto che c’è tempo, se Iddio vuole. Io ancora non ho preso niente
perché dove sono non c’è che sabbia dunque ma però prima di venire a casa te lo
porto, senz’altro…”; “ La tua fotografia l’ho presa, sono contento sei
diventata bella e grande. Ma però non basta questo. Ma sono convinto che tu sai
anche aiutare i nostri cari Genitori che hanno fatto tanto per noi tutti e fanno
ancora ma hanno il diritto di essere aiutati. Come mi dispiace a me di non poter
essere ad aiutarli però aiuto la nostra patria che in questo momento ha molto
bisogno…” ; “ …sono contento di ricevere qualche cartolina delle tue
come fai sempre però devi mettere 105 Comp.a Cannoni e no senza numero perché va
in giro sennò e arriva tardi, è facile che vada persa così mettici il numero.”.
Interessante è un passaggio della lettera del luglio ’41: “…fa la brava che
ti farò un bel regalo se Iddio mi da la fortuna di tornare a casa, speriamo di
si. La mia vita qua non è tanto felice perché sono lontano da voi ma non
pensate male per me che non sono tanto in pericolo e speriamo che presto verrà
finito tutto che sarebbe ora. Adesso fra giorni passo trattenuto perché ho
finito 18 mesi di questa vita e ritornerei a casa se non ci fosse niente”.
Sembra
poi che Remo, con il suo battaglione, arrivi fino alla fatidica El-Alamein, dove
viene fatto prigioniero dagli inglesi nel luglio del ’42. Da un articolo in rete
si legge che i prigionieri vengono evacuati dal campo di concentramento inglese
n. 310 di Suez, caricati su zatteroni a Port Tewfik e imbarcati su un grande
piroscafo armato inglese. Purtroppo questo è il Laconia….
I
prigionieri vengono letteralmente ammassati nelle stive che sono state divise in
gabbioni quadrati di 15 metri per lato. Ognuna contiene ben 400 prigionieri,
tenuti in condizioni assurde, al buio, con una sola razione di cibo al giorno,
se così si poteva chiamare, e una sola ora d’aria una volta giunti nell’oceano
Atlantico… Di guardia vengono messi un centinaio di polacchi.
Il
Laconia è un vecchio transatlantico del 1922 della Cunard White Star Line, di
19.695 tonnellate, con al comando il capitano Rudolf Sharp. A bordo ci sono 463
ufficiali e uomini di equipaggio, 286 passeggeri militari inglesi, 1800
prigionieri di guerra italiani, 103 guardie polacche e 80 tra donne e bambini,
familiari di militari di stanza in Egitto e a Malta che rientravano in
Inghilterra. Questi ultimi alloggiano in comode cabine, ignari (stando alle
testimonianze che ho potuto leggere) di quello che contengono le stive del
piroscafo….
La nave è
classificata come incrociatore ausiliario e non come “nave ospedale” o
trasportante prigionieri di guerra, quindi catalogata come facile preda dai
sottomarini nemici.
Infatti
ecco che il Laconia viene avvistato dal sommergibile tedesco U-156, comandato
dal capitano Hartenstein. Quando arriva la notte del 12 settembre 1942, al largo
dell’isola di Ascensione, il piroscafo viene centrato da due siluri che sfondano
le stive, uccidendo all’istante molti prigionieri ammassati all’interno.
Quelli
che si salvano iniziano a cercare una via di fuga ma le guardie polacche
chiudono a chiave le stive e iniziano a sparare sui soldati che cercano di
sfondarle. Una di queste grate cede ma non è finita: chi arriva sul ponte per
trovare posto nelle scialuppe viene accolto a colpi di fucile. Tanti si gettano
in mare ma viene fatto di tutto per fare in modo che non salgano a bordo delle
scialuppe di salvataggio…
Alle
prime luci dell’alba, il piroscafo è già in fondo alle acque buie dell’Atlantico
e i pochi sopravvissuti, oltre ai privilegiati sulle scialuppe, galleggiano in
mare in mezzo ad uno scenario apocalittico. Bisogna aspettare la notte prima che
Hartenstein faccia riemergere il sommergibile e si renda conto, incredulo, della
situazione… Insieme all’ U-156 c’è anche il tedesco U-506 e l’italiano
Cappellini. Si inizia a recuperare i superstiti, a lanciare via radio richieste
di aiuto, accolte subito dai neutrali francesi a Dakar. Le scialuppe vengono
prese al traino e vi vengono distese le bandiere della Croce Rossa, così come
sugli U-Bot.
Sembra
andare tutto per il meglio ma inspiegabilmente, il 15 settembre, ad un
bombardiere Liberator americano, probabilmente decollato dalla base di
Ascensione, viene dato l’ordine via radio “sink sub”, cioè affondare i
sommergibili, nonostante tutte le comunicazioni e i segnali ben visibili….
Questi non possono fare altro che sganciare i traini ed immergersi
immediatamente. Il sommergibile U-156 viene danneggiato e deve trasbordare i
naufraghi sull’ U-506.
Finalmente il 18 settembre i naufraghi vengono fatti salire a bordo delle navi
francesi Glorie e Annamite, portati a Casablanca e rimpatriati.
Stando ai
vecchi documenti che sono faticosamente riuscita a recuperare tramite l’Archivio
di Stato di Milano e l’Onorcaduti, abbiamo potuto accertare che Remo era quella
maledetta nave, infatti è inserito nella lista dei “dispersi”.
Fin qui
nulla di strano, nel senso che ad una risposta siamo arrivati….e invece no.
Nel 1943,
precisamente per la Pasqua di quell’anno, i parenti in Friuli di mia nonna
telefonano a sua madre contentissimi dicendo di avere ricevuto una cartolina di
Remo con timbro di Verona, che dice “ci vediamo presto”. Tutti restano
increduli perché sono mesi che non hanno più notizie…in un’ultima lettera
(purtroppo andata persa, come la cartolina “misteriosa”) mia nonna
ricorda che Remo aveva detto di essere contento di essere stato preso
prigioniero e che sarebbe andato in Inghilterra. Non era un evento felice,
ovviamente, ma anche mio nonno venne preso prigioniero dagli inglesi l’anno
prima e mandato a lavorare in fattoria a Carlisle, nel Cumberland. Mi ha sempre
detto che quel tipo di prigionia era una fortuna in quanto avevi un tetto,
viveri e una vita quasi libera.
Da li
iniziano, una volta accertata l’autenticità della calligrafia di Remo, una serie
di ricerche, per lo meno quello che si poteva fare allora in tempo di guerra e
senza mezzi adeguati. Inviano il prete del paese di Garbagnate ( dove nel
frattempo mia nonna e la sua famiglia si era trasferita, non lontano dalla casa
precedente) a Verona con i pochi documenti in possesso ma questi ritorna dando
spiegazioni un po’ vaghe e dicendo di non avere trovato nulla….
Un amico
di mia nonna nel frattempo dice di avere udito alla radio “ il soldato
Masotti Remo saluta la famiglia” nella rubrica dei saluti dei militari di
ritorno dalla guerra. Così vanno di corsa alla sede della Radio Rai a Milano in
Corso Sempione ma niente, non vi sono registrazioni dei saluti da poter
riascoltare….
Passano
gli anni, di Remo non si sa più nulla tranne che sui documenti, dove viene
dichiarata la “morte presunta” dopo molti anni dalla dichiarazione di
“disperso”; viene rilasciata la pensione per i parenti rimasti, percepita dal
1952 dalla mia bisnonna, di 3.500 lire al mese….
Io ho
voluto “riaprire il caso”, cercando di entrare in possesso di più documenti
possibili che possano accertare la morte di Remo o confermare almeno in parte un
suo ritorno dalla guerra, un segno che attesti che sia sopravvissuto almeno al
disastro del Laconia per poter inviare quella cartolina…
Ad oggi
gli interrogativi rimangono. Attendo di riuscire ad entrare in possesso di una
lista di militari superstiti del piroscafo, di questi fortunati imbarcati sugli
aerei che li hanno riportati in Italia, della Croce Rossa che possa averli
curati in qualche ospedale da campo piuttosto che qualcuno che abbia conosciuto
di persona Remo e che possa testimoniare cosa gli accadde.
Di lui,
ad oggi, restano solo tre lettere, una cartolina, una fotografia con il cappello
da bersagliere, un piccolo foulard “ricordo della Libia” e pochi documenti…tutti
chiusi di nuovo in quella scatola di cartone con il coperchio di stoffa
amaranto.
Remo
Lettere da sin. Luigia, dietro Dina,
sulla sedia Erminda, la mia
bisnonna e Remo