La salma ritrovata
A Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo
di Fernando G. Mennella, Buenos Aires, Argentina
Si svegliò. I suoi
occhi castani furono invasi da un forte bagliore quando socchiuse le pàlpebre.
Chiuse per un istante gli occhi. Tornò ad aprirli e, girando la testa per non
guardare il sole, inclinò il suo corpo verso sinistra e appoggiandosi sul gòmito
prima e sulla mano dopo cominciò ad alzarsi. Seduto già sulla sabbia, sentì che
era ancora fredda, dovuto alla gèlida notte del deserto. Inconsciamente, mentre
guardava verso l´orizzonte, dove il sole intraprendeva la sua marcia
giornaliera, le sue mani alzavano e lasciavano scappare manciate di sabbia. Non
ricordava esattamente cos´era successo il giorno prima. Ricordava sì gli ultimi
momenti viaggiando scomodo su quel camion che lo trasportava insieme agli altri
soldati. Il camion era partito da Tripoli per la via Balbia, marciando verso
l´est, però non aveva potuto completare il percorso. Risuonavano ancora nelle
orecchie il ronzìo dei motori degli aerei, che cominciarono ad udirsi al di
sopra del rumore dei camion e le grida d´allarme. La discesa disordinata dei
soldati per allontanarsi dai trasporti.
Gli aerei fecero un circolo in alto
per scendere dopo su di loro; si poteva vedere la scia di fumo desegnandosi sul
cielo come un nero presagio. Poco dopo le bombe cominciarono a cadere una dopo
l´altra, le scheggie volando dappertutto con ogni scopio; un´altra volta il
rumore di aerei che si avvicinano e questa volta una pioggia di proiettili verso
i gruppi di soldati maldisseminati fra le dune. Dopo gli aerei che si
allontanano portandosi dietro il rombo di esplosioni e le scariche delle
mitragliatrici. Come un velo che si scorre per scoprire un altro sotto, ora sono
le grida di aiuto e di dolore, i pianti e i gemiti dei moribondi che riempiono
l´aria calda del deserto. Lui, vinto dalla tensione del momento e dalla
stanchezza a causa di un acuto dolore, si coprì gli occhi cercando di non
guardare intorno. Dopo il silenzio. Dopo la notte.
Vinta già l´inerzia del sonno che
lo tratteneva sulla sabbia, si alzò per situarsi sulla scena di ciò che era
rimasto dopo l´assalto aereo. Girò su se stesso per comprovare ciò che non
poteva essere: non c´era nulla intorno a lui, solo sabbia e sassi. Nessuna
traccia del gruppo di camion, nè dei soldati feriti o morti, nè un solo mutilato
a cui si cerca di non guardare. Nulla.Si spaventò. Pensò che l´avevano
abbandonato, dandolo per morto mentre giaceva addormentato sulla sabbia. Si
rallegrò, nonostante, di poter essere in piedi e decise di raggiungere in
qualsiasi modo un posto italiano o tedesco. Forse con un pò di fortuna lo
avrebbe preso qualche trasporto a metà strada. Alzò dal terreno il suo casco ,
scosse la sabbia accumulata nel suo interno e se lo rimise, per evitare i raggi
del sole sulla testa. Raccolse anche il suo fucile e se lo mise a tracolla.
Cercò, usando la logica, di orientarsi e così tornare sulla via Balbia;
sull´asfalto poteva fare una marcia più rapida. Non era ancora sceso verso il
cammino quando sentì il rumore di una macchina che si avvicinava velocemente e,
dopo aver sorpassato la posizione in cui lui si trovava, s´allontanò
rapidamente. Gridò inutilmente senza sapere neppure di chi si trattasse. Non
voleva restare solo un´altra volta nel deserto, però tutto fu inutile.
Arrivato sul cammino,
la machina era solo un punto andando verso est, verso Bardia, come lui quando
era sul camion e cominciò l´assalto aereo. Evidentemente erano i suoi. Pensò
nuovamente che era strano il luogo dove si era svegliato quella mattina.
Non potevano aver portato tutto; i
camion guasti potevano essere rimorchiati, i feriti messi sul camion, anche i
morti...Era sicuro di non
essersi allontanato tanto come per essere stato perso di vista fra le dune. Si
preocupò di non aver trovato delle tracce sulla sabbia, quella mattina. Senza
capire del tutto la situazione andò anche lui verso Bardia.Il sole cominciava a
farsi sentire.
Verso il tramonto, intravvidi le
tracce di un veicolo che, partendo dall´orlo del cammino, s´addentrava nelle
dune. Decise allora di andare dietro di esse, con la speranza di trovare il
veicolo e i suoi occupanti, senza importare chi fossero. Dalla cima di una duna,
potè vedere un piccolo veicolo fermo. Accanto c´erano due ufficiali con cappelli
alpini e un arabo da borghese che scavavano sulla sabbia. Vicino a loro un
gruppo di dieci o dodici soldati come lui, osservavano la scena in silenzio.
Credette di riconoscere nei loro visi qualche compagno. Incuriosito tentò di
avvicinarsi al gruppo. Uno di loro fece dei gesti affinchè si fermasse e non
parlasse. Sorpreso, decise di mantenere una certa distanza, poichè non voleva
essere rimproverato se la questione non lo riguardava. Così era l´esercito.
Intanto i due ufficiali
cominciarono a estrarre qualcosa dalla sabbia. Sembrava un sacco o qualcosa del
genere, di stoffa. Dopo, tutto uscì dalla fossa. Erano resti mortali di un
soldato, dentro di ciò che rimaneva della sua divisa. Le ossa biancastre delle
estremità emergevano dalle maniche. Un casco come quello suo fu recuperato
vicino allo scavo da uno degli ufficiali.
L´arabo procedette a portare le
spoglie verso il veicolo mentre gli ufficiali prendevano degli appunti davante
alla fossa.
I suoi occhi fecero allora
attenzione al gruppo di soldati che in semicerchio circondavano la fossa. Adesso
anche loro lo fissavano. Lui vide che tutti erano feriti: le loro giacche forate
e insanguinate, molti di loro mutilati in modo tale che sembrava impossibile
potessero reggersi in piedi. Non poteva essere così, che fossero in quello stato
e nonostante si fermassero ad osservare tranquillamente e in silenzio, senza
lamentarsi, quello che stava succedendo.
Senza sapere il perchè,
guardò la propria giacca: fra l´ascella e l´adome questa aveva un grande
squarcio. Una rossa aureola di sangue arrivava fino alla fila di botoni, sul suo
petto. Istintivamente, mise la sua mano destra nella zona lacerata della sua
giacca: potè toccare le ossa delle proprie costole rotte in punte aguzze. Ritirò
lentamente la mano e le sue ditta insanguinate esibivano piccole schegge
attacate. Nonostante ciò, non sentiva dolore.
Una raffica tièpida sul
viso lo fece ritornare dai suoi pensieri. Guardò un´altra volta i soldati che
ancora lo fissavano, però senza severità. Guardò anche intorno e allora, come
un´immagine sovvraposta alla scena precedente, vide dei camion rovesciati e
fumanti, corpi lacerati sulla sabbia e soldati che tornavano a riunirsi dove
erano gli ufficiali. Fra i soldati sparpagliati sulla sabbia e che già non si
sarebbero mai alzati uno attirò la sua attenzione. Era colui che nella sua
posizione coincideva nella scena attuale con quella della fossa aperta poco
prima dagli ufficiali italiani e l´arabo. S´avvicinò a lui e lo guardò in
faccia: vide se stesso in una smorfia indefinita fra serenità e abbattimento,
gli occhi guardavano il cielo. Lui alzò ancora una volta gli occhi verso i
soldati che guardavano dentro la fossa, che lo guardavano.
Il paesaggio caotico
svanì e solo restò la fossa e i soldati intorno a essa, il veicolo che si
allontanava verso l’asfalto portando i due italiani, l´arabo e il corpo che gli
era appartenuto. E lui, lì fermo sulla duna. Un soldato del gruppo gli fece un
segnale, lui s´avvicinò e in silenzio salutò ognuno con un abbraccio.
Lasciando la fossa
vuota dietro le spalle andarono verso il tramonto, assolutamente in pace.
29
Settembre 2004