Nuovi capitoli in "Le mille e una favola" e "Alla ricerca dei relitti perduti"

DOCUMENTI E TESTIMONIANZE

n queste pagine sono raccolti e si raccoglieranno documenti e testimonianze, sia di attualità che storici, relativi alle battaglie che si combatterono a nord di Qattara; sia di memorie, con i racconti degli uomini che vi parteciparono; sia polemici, con ricerca e analisi di come vennero presentati i fatti; sia di carattere documentale, con bibliografie e quant'altro si ritiene possa essere di interesse per il lettore. Queste pagine verranno aggiornate e aumentate man mano che ve ne sarà l'occasione e il tempo, e naturalmente la collaborazione alla loro compilazione è aperta a tutti i lettori.

                              Mario Grossi  carrista  della 1* Compagnia  dell' XI  Battaglione  Carri

PREMESSA

II 4 aprile 1941, una giornata primaverile limpida e frizzante, alle ore 9 varco con passo fiero e sicuro l'ingresso della caserma del 4° rgt. Carri di Roma. Un momento di particolare emozione e significato perché abbandono le mostrine del 26°rgt. fanteria, presso il quale ho prestato servizio nei primi due anni della mia carriera, per indossare le fiamme rosso-blu della giovane specialità carrista.

Attraverso rapidamente il vasto cortile della caserma e mi presento all'aiutante maggiore che mi introduce subito nell'ufficio del Colonnello Comandante: mi dirigo con passo fermo e deciso verso la bandiera, scatto sull'attenti, mi irrigidisco sulla posizione del saluto per qualche secondo, quindi mi rivolgo verso il Colonnello salutandolo con altrettanto vigore.

Il Colonnello mi intrattiene con affabilità, mi rivolge alcune domande su argomenti di servizio e di carattere privato, poi mi informa che la mia destinazione era quella di Comandante (con funzione del grado superiore) della 1A Compagnia carri del costituendo XI btg. Carri. Mi congeda con la raccomandazione di impegnarmi a fondo senza perdere un minuto in quanto era previsto l'imminente arrivo di convogli ferroviari con i mezzi e materiali della Compagnia. Come desiderato dal Colonnello ma, soprattutto, come stimolato dal mio acuto senso di responsabilità, mi metto subito all'opera e dal quel momento e per tutto il mese aprile non ho osservato orario di servizio poiché il mio impegno iniziava al mattino alle ore 6 e si prolungava sino alle ore 20 e spesso oltre.

L'addestramento tecnico-tattico, per il soddisfacimento delle esigenze logistiche, richiede un dispendio enorme di energie fisiche, morali che il personale tutto della Compagnia sopporta con slancio e passione.

A fine aprile la Compagnia raggiunge la pienezza, degli organici previsti in personale e mezzi e precisamente:

PERSONALE

Ufficiali                     6

Sottufficiali     16

Truppa              85

MEZZI

n. 16 carri M 13/40

n. 16 motrici Lancia 3RO

n. 16 rimorchi Viberti

n. 1 autovettura

n. 1 furgoncino officina

n. 4 automezzi vari

n. 4 moto

n. 1 cucina da campo

ARMI

n. 16 cannoni da 47/32

n. 52 mitragliatrici

La visione imponente di tanti mezzi ed armi mi fa sentire orgoglioso per la grande responsabilità di cui sono stato investito benché giovanissimo ufficiale.

Il mese di maggio trascorre rapidamente, impegnati in una frenetica attività volta a perfezionare i piloti nella guida dei carri, i conduttori di autotreni nel trasporto su strada di carri, a favorire il crescere di una fraterna amalgama degli equipaggi, a

sollecitare un sano spirito di emulazione fra gli equipaggi e fra i plotoni.

Nella prima decade di giugno la Compagnia si trasferisce nel Friuli e nei mesi estivi ed autunnali si addestra intensamente nei magredi del Cellina-Meduna.

Nei mesi trascorsi nel Friuli, la Compagnia partecipa a numerose esercitazioni in bianco ed a fuoco, a partito unico e a partiti contrapposti in cui da ampia dimostrazione di aver raggiunto un ottimo grado di efficienza sotto ogni aspetto: disciplinare, morale, operativo.

La Compagnia è pronta a spiccare il volo verso l'Africa Settentrionale dove si mormora fosse destinata. Questo avviene nella seconda quindicina del gennaio 1942, ponendo fine alla snervante attesa.

Sbarcata a Tripoli la Compagnia raggiunge Homs e si sistema sotto tenda nell'incantevole oasi di Sidi Amor che stendeva le sue palme fino al mare. Qui la Compagnia sosta fino al mese di aprile, un fecondo periodo di acclimatazione e di lavoro per il superamento di non poche difficoltà del nuovo ambiente; tra queste primeggia il problema idrico, risolto utilizzando come autobotti due autocarri pesanti Lancia 3 RO dotati di 20 fusti per carburanti bonificati con acqua di mare e sabbia. Soluzione discutibile ma che rende autonoma la Compagnia, risolvendo uno dei principali mali del deserto: la sete.

Altro problema preoccupante è l'intasamento del filtro del gasolio per cui compiuto un certo percorso, il motore si arresta per mancata alimentazione: un carro fermo diventa facile obiettivo del contro carro nemico. Per pulire il filtro occorre

scendere dal carro e sollevare le pesanti griglie che coprono il comparto motore.

Studiarne il problema e lo risolviamo trovando un diverso percorso delle tubazioni afflusso gasolio e sistemando il filtro all'interno della cabina di combattimento a portata di mano del servente mitragliere.

Da tempo si vocifera di un probabile trasferimento del btg. alla Divisione motorizzata "Trieste" che gode fama di gloriose imprese, più volte citate nei bollettini di guerra.

Il 10 maggio, accolto con generale entusiasmo, giunge l'ordine per il bgt. di passare alle dipendenze della citata Grande Unità, da raggiungere nella sua zona di schieramento a Segnali Nord.

La mia Compagnia parte per ultima iniziando un lungo e faticoso movimento alle ore 16 del giorno quattordici.

Nell'imminente inizio della grande offensiva che porterà le vittoriose forze armate italo-tedesche fino al golfo degli Arabi, la cp. deve, come da ordini ricevuti, bruciare alcune tappe.

La sera del 22 raggiungo la località di Timimi. Qui la cp. sosta in attesa di ordini per tutto il giorno 23 fruendo di 24 ore di meritato riposo. Il mattino successivo ricevo ordine di raggiungere il btg. già raccolto a Segnali Nord, ma a metà percorso ricevo l'ordine di sostare alle spalle del XXI Corpo d'Armata, spiegandomi a largo raggio con l'evidente scopo di ingannare il nemico circa la presenza di forze corazzate nel settore nord dello schieramento alleato.

Il 25 maggio la Compagnia, con la massima celerità, raggiunge all'imbrunire Segnali Nord, appena in tempo per partecipare al primo rapporto di guerra tenuto dal Maggiore, comandante del battaglione: il btg. inizierà il suo movimento

notturno con dirczione est per 10 km, quindi altrettanti km con dirczione sud est, infine punterà verso nord est con obiettivo El Aden.

Poche notizie sul nemico, alcune sull'efficienza della nostra macchina bellica e il rapporto è finito.

Alle ore 21 la cp. si mette in moto offensivo verso il nemico.

Il grande giorno, il misterioso X+l finalmente è giunto.

AIN EL GAZALA

All'alba del 26 maggio ci troviamo invischiati nel grande sistema di campi minati di Got Ualeb e l'artiglieria nemica approfitta delle nostre difficoltà di movimento per ingabbiarci con ripetuti concentramenti.

Dolorosamente registriamo le prime perdite: un caporale e un carrista (Costanze e Lulli).

Nel pomeriggio del 27 viene deciso di investire la struttura difensiva più a sud del campo minato di Got El Ualeb.

Le modalità dell'operazione sono così definite: .    investimento frontale  delle posizioni nemiche,  direzione

sud-nord condotta da un btg. di fanteria del 65° rgt.; .    azione    avvolgente    concomitante    della   cp.    puntando inizialmente ad est su q.  182 (2 km), quindi convergere verso nord per altri 2 km, infine convergere verso ovest per cadere sul fianco e alle spalle delle posizioni nemiche.

E' la prova del fuoco.

All'ora stabilita i carri iniziano il movimento, ma dopo pochi centinaia di metri, sono investiti da violenti concentramenti di artiglieria, pertanto chiudiamo i portelli delle

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torrette e, attraverso il periscopio, controlliamo il terreno d'azione.

Il limitato campo visivo consentito dallo strumento e il gran fumo prodotto dallo scoppio delle granate nemiche hanno causato l'immobilizzo di 7 carri su 11 partecipanti, saltati su terreno minato non individuato. Il mio e i 4 carri fortunatamente indenni, superano il campo minato, proseguono verso il primo obiettivo di q. 182, non più bersagliati dai concentramenti di artiglieria.

Raggiunta la quota, sostiamo brevemente per recuperare abbondante materiale lasciato dal nemico nel precipitoso abbandono della stessa (una tenda, una radio, un telefono da campo, cartelle porta carte topografiche e persino un fucile mitragliatore Beretta).

Evidentemente sulla quota era investito un ben dotato osservatorio di artiglieria e ciò spiega la precisione dei concentramenti di fuoco all'inizio del movimento della Compagnia e l'improvvisa loro cessazione di fronte alla minaccia dei carri.

Percorro i 2 km verso nord ma quando inizio la conversione verso ovest incontro un nuovo campo minato che mi sbarra la strada. Costeggio il campo minato nella speranza di trovare un varco ma, percorsi inutilmente altri 3 km, chiedo al Comandante del btg. istruzioni.

Ricevo l'ordine di proseguire nel movimento verso nord.

Finalmente, scorta una traccia fresca di gomme di automezzo, decido di fruirne per attraversare il campo minato. Sembra che tutto vada bene ma nel bel mezzo della fascia minata il mio carro, che muoveva in testa, viene immobilizzato dallo scoppio di una mina.

Faccio indietreggiare gli altri carri, li schiero oltre l'ostacolo per parare eventuali minacce del nemico, che non tardano a manifestarsi.

Mentre l'equipaggio è intento a riparare i danni subiti dal carro, un gruppo di camionette armate da pezzo contro carro apre improvvisamente il fuoco da notevole distanza, ma trova la pronta reazione dei 4 carri schierati ai lati del mio carro. Dopo un vivace scambio di colpi, il nemico rompe il contatto con mio grande sollievo.

Dopo oltre un'ora di febbrile lavoro il carro è in condizioni di muovere autonomamente seppur zoppicante, ritenendo assurdo insistere nell'azione affidatami, senza ordini, senza alcun collegamento, avendo superato la portata della mia radio, senza alcuna informazione sull'esito dell'attacco del bgt. di fanteria cooperante, decido, pertanto, di rientrare alla base di partenza che raggiungo all'imbrunire.

L'operazione è fallita.

Nel mattino del 1° giugno il presidio del Got Ualeb finalmente si arrende.

Nel primo pomeriggio, mentre riposo a bordo di una berlina Opel abbandonata dai tedeschi e da noi recuperata, piomba sulla cp. il Maresciallo Rommel a bordo di un'autoblinda con il suo comando tattico. Mi chiede dove è sistemato il comando del btg.: gli indico la dirczione e la distanza. Al ritorno dal suo contatto con il btg., mi aggiorna che devo seguirlo per scortarlo fino a Bir Hecheim.

Saltiamo a bordo dei carri e via in colonna dietro il Maresciallo, marciando al riparo del campo minato che lega il caposaldo di Got Ualeb con le posizioni di Bir Hecheim, ultimo pilastro meridionale dello schieramento difensivo nemico, presidiato da oltre 2000 degollisti.

Percorsi una decina di km, raggiunto un varco operato dai nostri genieri, il Maresciallo vi si infila per primo, dietro i mezzi del comando tattico (un'autoblinda e due automezzi), infine io e la mia cp. di 11 carri ( 1 plotone ceduto all'Ariete).

Il campo minato viene celermente attraversato dall'autoblinda di Rommel, dalla seconda autoblinda, dai due automezzi e da 10 carri, l'ultimo salta su una mina e sono costretto ad abbandonarlo.

Rommel inizia le operazioni di accerchiamento della grande struttura difensiva di Bir Hacheim.

Mi domando quali riflessi sulla grande offensiva in atto avrebbe prodotto l'allontanamento dal campo di battaglia del grande Maresciallo per ferita grave o decesso.

E' proprio vero: la fortuna premia gli audaci.

La Divisione "Trieste" giunge qualche ora dopo e prontamente si schiera sul lato nord-ovest di Bir Hacheim. L'artiglieria inizia la martellante opera di ammorbidimento delle posizioni nemiche, protrattasi per giorni e giorni, integrata da bombardamenti condotti con paurosi velivoli in picchiata (Stukas).

La situazione non è molto chiara perché non si sa chi dei due duellanti sia l'aggirante e chi l'aggirato, in quanto le colonne di rifornimento nemiche sono intercettate da noi e le nostre dal nemico.

Finalmente il mattino dell'I 1 giugno, dopo 10 giorni, di duro assedio Bir Hacheim (definita dagli inglesi "la Verdun" del deserto), pilastro difensivo nemico, crolla lasciando nelle nostre

mani una grande quantità di armi, viveri, materiali e circa 1500 prigionieri.

Senza un attimo di sosta, alle ore 16, la Divisione riprende il movimento in dirczione nord est, la mia Compagnia unitamente ad un gruppo di autoblinde ed un gruppo di cannoni semoventi da 75/18, precede il movimento della Divisione con compiti di esplorazione e sicurezza. Si marcia fino alle prime ombre della sera raggiungendo la posizione di quota 171 del Naduret El Ghesenasc dove trascorriamo la notte. All'alba siamo di nuovo tutti in piedi, accendiamo i motori dei carri e partiamo, ma percorsi pochi metri, scorgiamo in lontananza un'enorme nuvola di polvere sollevata da una formazione corazzata nemica in movimento verso di noi.

Impossibile valutare l'entità della minaccia perché la nuvola polverosa ammanta ed offusca tutto. Giunti a circa 2 km dalla Compagnia, il nemico apre il fuoco e posso allora stimare approssimativamente la forza nemica in una dozzina di carri americani Pilot equipaggiati con cannone da 75, quindi fortemente superiori al nostro cannone da 47/32.

Decido, pertanto, di riportare la cp. sulle posizioni appena lasciate di quota 171, più favorevoli per effettuare un tiro a scafo sotto. Ordino di retrocedere ma con la retromarcia innestata, ciò per evitare che ruotando i carri si possa verificare una rottura della formazione in linea della cp. e una interruzione seppur breve del fuoco.

Giunta la formazione nemica a distanza utile dei nostri cannoni, apriamo il fuoco e il nemico, dopo uno scambio di colpi, forse stimando per eccesso una superiorità delle nostre forze, rompe il contatto lasciando sul posto un carro a bruciare. Il serg. magg. Sannia si attribuì la paternità del colpo messo a segno.

 

Scongiuriamo, così, il pericolo che la Divisione, in crisi di movimento autoportato, venga investita dalla formazione carri nemici.

Al termine dell'operazione il Generale Comandante mi stringe la mano complimentandosi per l'ottimo comportamento degli equipaggi.

Nei giorni successivi ha luogo una serie di durissimi combattimenti, di manovre e contro manovre condotte dalle forze corazzate agli ordini di Rommel che, vivendo la vita del campo di battaglia, opera sempre informato e deciso.

Dirigendo personalmente la battaglia, Rommel è sempre in grado di vagliare, nei suoi aspetti reali, la situazione, adeguando rapidamente le sue mosse alle necessità del momento. Con l'accerchiamento totale della piazzaforte di Tobruk si conclude la battaglia di Ain El Gazala.

TOBRUK

Era opinione largamente diffusa che l'attacco alla piazzaforte di Tobruk avrebbe richiesto un'organizzazione accurata di più giorni, forse di settimane, invece la sera del 19 giugno, al termine di uno spostamento della Divisione dalle posizioni appena occupate alla rocca di Bir Azazi, nelle vicinanze della rotabile Tobruk - El Aden, mi informano che all'alba del giorno seguente avrebbe avuto inizio l'attacco alla piazzaforte.

L'alba di vittoria sorge splendente.

Alle ore 5,45 improvvisa si scatena la tempesta di fuoco dell'artiglieria che spara a ritmo accelerato, poi la sirena assordante di formazione di aerei bombardieri Stukas che in picchiata scaricano il loro micidiale carico di morte.

La terra trema per gli enormi scoppi.

In moto, mi porto al comando tattico del 65° rgt. fanteria alla cui dipendenza è passata la Compagnia.

Il Comando è sistemato in un gruppo di buche scavate nella sabbia, in una di queste trovo riparo, vicino al Colonnello Comandante. Viene a rifugiarsi un geniere sbandato, ferito ad una mano e riferisce che la cp. carri in rinforzo al 66° rgt. fanteria ha subito gravi perdite e che il comandante della cp. ha perso un occhio.

Squilla il telefono, il Colonnello Comandante risponde (poche ore dopo sarà ferito mortalmente da un colpo in fronte di una mitragliatrice): è il Capo di S.M. della Divisione che in nome del Generale ordina l'impiego della Compagnia carri.

Ascolto il colloquio e prontamente dico al Colonnello: "Sig. Colonnello, sono un soldato e se Lei mi da l'ordine, obbedisco, sento però il dovere di sconsigliare l'impiego della cp. per la presenza sulla direttrice di attacco di due ostacoli insuperabili: il fosso anticarro in cemento ed il campo minato".

Il Colonnello riferisce la mia conversazione al Capo di S.M. che si convince e ritira l'ordine.

Ho l'orgoglio di affermare che il mio intervento è valso ad evitare il sicuro annientamento della cp. senza alcun beneficio per la fanteria.

Nel primo pomeriggio la cp. passa alle dipendenze della Divisione cor. "Ariete" assieme alla quale entra nel campo trincerato attraverso una breccia realizzata nella parte orientale della piazzaforte.

Lo spettacolo grandioso offerto ai nostri occhi ci riempie i cuori di gioia: lunghe colonne di nemici con il loro carico di feriti si avvicinano arrendendosi: inglesi, australiani, neozelandesi, indiani costituiscono le torme di sbandati che delusi, avviliti e sfiduciati abbandonano le loro armi.

E' avvenuto il collasso tanto atteso e il suo precipitoso verificarsi solleva ondate di entusiasmo in tutti noi.

All'imbrunire i tedeschi, con veloce puntata raggiungono la baia di Tobruk, noi sostiamo nella zona di Bir lasin.

Grande è la gioia ma parallelamente grande è la fame.

Per fortuna il motociclista portaordini mi consegna un pacco pervenutomi dall'Italia.

E' di mia madre che amorevolmente mi ha inviato due magnifici salami, marmellata, biscotti, caramelle ed una bottiglia di tamarindo sciroppato.

Riunisco i due comandanti di plotone ed insieme facciamo onore al provvidenziale pacco.

Quella fu l'ultima occasione che ci vide fraternamente riuniti, più che mai sereni e fiduciosi del nostro avvenire, ben lungi dal prevedere il tragico agguato che il destino andava preparando.

Il mattino seguente, mentre mi intrattengo con i miei comandanti di plotoni, scambiando impressioni sulla situazione, giunge il Generale Comandante della Divisione cor. "Ariete" che personalmente mi da il seguente ordine: "l'aviazione ha urgente bisogno di utilizzare l'aeroporto di El Aden; la cp. in concomitanza con il 65° rgt. fanteria deve raggiungere la rotabile Tobruk-El Aden, rastrellare il terreno operando a cavallo della stessa fino all'aeroporto. Il Colonnello del Genio la accompagnerà nella ricognizione del varco nel campo minato che dovrà attraversare".

Sto rientrando dalla breve ricognizione quando vedo, con viva sorpresa, la cp. già in movimento, come ordinato dal Generale.

Salito sul carro e raggiunta la rotabile affianco i plotoni ai lati della strada: il primo a destra, il 3° a sinistra e proseguo il movimento fino al km 4 della rotabile.

Qui fermo la cp. e convoco i due comandanti di pi. per esaminare insieme la situazione: terreno inizialmente pianeggiante poi in leggera salita; la rotabile scompare dietro la linea di cresta; cavalli di frisia a sbarramento della strada schierati laddove il terreno inizia la sua salita; movimento di un gruppo di uomini in cresta a destra della rotabile.

Decido di effettuare una breve ricognizione impiegando due carri. Allo scopo incarico il Comandante del 1° pi. (S. Ten. Marrone) con questi precisi ordini: "raggiungi la linea di cresta, affacciati, osserva e riferiscimi".

E' in corso la ricognizione, quando un ufficiale del Comando reggimento mi reca l'ordine del Colonnello di proseguire immediatamente con tutta la cp. senza attendere i risultati della stessa.

Riprendo il movimento in colonna dietro il 3° pi. che supera il campo minato in corrispondenza dello sbarramento con i cavalli di frisia sbalzati via dai 2 carri in esplorazione, quando arrivo sul posto, mi accorgo che la strada è minata.

Infame destino!

Sono passati 8 carri senza che una mina esplodesse! Se almeno un carro fosse saltato su una mina, sbarrando la strada, avrebbe bloccato il nostro movimento e la dolorosa tragedia non si sarebbe verificata.

Dirigo il carro manovrando fra le mine che probabilmente il nemico non ha avuto il tempo di attivare. Mentre sto completando lo spiegamento dei carri alla destra della rotabile, la radio trasmette la voce concitata di Marrone che grida al suo pilota: "Vai a destra - Avanti - Vagli sopra - Schiaccialo", poi dopo breve pausa la stessa voce, ancora più allarmante dice: "Gufo, Gufo, attenzione!"

Maledizione, è successo qualcosa di grave. Marrone per meglio osservare il terreno ha screstato e, attirato dal fuoco di una mitragliatrice, si avventura entro la struttura nemica: un colpo di cannone controcarro, ben mimetizzato e appena affiorante sul terreno, colpisce alle spalle il carro e ferisce ad una gamba l'ufficiale che, gettandosi fuori dal carro, trova riparo sdraiandosi a terra lungo la cunetta della strada.

Ho la sensazione di trovarmi di fronte ad una sistemazione difensiva pienamente efficiente e do ordine di ripiegare, ma solo qualche carro risponde al mio appello. Vivo momenti di dolorosa tensione. Dal carro alla mia destra escono tre feriti, due dei quali si sostengono spalla a spalla per non cadere. E' Morelli, il sergente universitario volontario: povero ragazzo com'è ridotto! Sanguina da più parti ed in prossimità del mio carro, alza il braccio destro dal quale penzola la mano legata ad esso da un filo di pelle. Si ferma al mio carro per dirmi che è costretto a lasciare la lotta.

Il carro alla mia sinistra retrocede di una decina di metri. Il pilota del carro, il bravissimo Baracchi, ferito mortalmente, ha perso il controllo del mezzo. Giunge al mio carro anche Zago, marconista delle Gazze, cade a terra sfinito e con struggente ansia gli chiedo: " Zago dov'è il Tenente?" "E' Morto".

 

Un gelido brivido percuote tutto il mio corpo, non resisto più, scendo dal carro e mi nascondo dietro di esso. Il motociclista portaordini che sopraggiunge, mi sorprende a singhiozzare. Piango per il crudele destino che ha mietuto così giovani ed eroiche esistenze, piango per la fatalità delle molteplici circostanze che hanno concorso al verificarsi del tragico epilogo.

EL ALAMEIN

Mentre la Divisione riprende il movimento iniziando l'inseguimento delle residue forze nemiche battute nella battaglia di Ein Gazala e di Tobruk, la Compagnia, dietro mia richiesta, è autorizzata a sostare 24 ore per curare il seppellimento dei valorosi suoi caduti e per effettuare le necessarie operazioni di riordino del reparto nonché di recupero dei carri in avaria.

La cerimonia si svolge in forma austera e commovente e la tumulazione è salutata col fuoco di un plotone d'onore.

Appena possibile la Compagnia si rimette in moto per ricongiungersi con la Divisione. La lunga marcia si sviluppa regolarmente, quasi sempre nel deserto, lontano dalla strada costiera e dalla pista, ma ugualmente non sfugge ad un attacco aereo che provoca la morte del conduttore dell'automezzo viveri e del magazziniere.

Avevo addestrato il reparto ad osservare, in caso di attacco aereo, il seguente schema: il carro in testa deve continuare la marcia con direzione immutata, accelerando al massimo il motore, il 2° carro deve aprirsi a destra, il 3° carro a sinistra, il 4° carro a destra e il 5° carro a sinistra e così via, ciò allo scopo di diradare al massimo i mezzi.

Nella circostanza, tutti i mezzi obbediscono alla realizzazione dello schema sopraindicato, meno uno, quello dei viveri che si ferma: scendono dall'automezzo il conduttore e il magazziniere e si allontanano di corsa a destra, uno dietro l'altro. Una bomba di aereo cade proprio in mezzo fra i due che muoiono all'istante. Orribili le ferite mortali: il magazziniere aveva un solco profondo che dalla spalla sinistra scendeva fino al fianco destro, la gamba destra arrotolata su se stessa, mentre il conduttore presentava più ferite al petto.

Decido, malgrado l'ansia di riprendere al più presto la corsa, di dare onorata sepoltura alle due vittime. Scaviamo due fosse nella sabbia e vi deponiamo i due corpi avvolti in un telo di tenda con una scatola contenente un foglio con le generalità e sopra il tumulo, una croce con due pezzi di legno. L'operazione richiede nel complesso un paio d'ore anche per la mancanza di adeguati mezzi per lo scavo delle fosse.

Senza indugi riprendiamo il movimento e senza altre traversie riusciamo finalmente a ricongiungerci con la Divisione in sosta nella zona di Sidi Abd El Rahman.

Il Capo di S.M. mi ordina di organizzare la sicurezza ravvicinata del Comando Divisione con i 4 carri tuttora efficienti della Compagnia. Mi informa, inoltre, di tenermi pronto a riprendere il movimento essendo previsto l'attacco alle posizioni nemiche in corso di apprestamento difensivo sull'allineamento El Alamein - depressione di El Qattara.

Inizio dell'attacco alle ore 21.

Col favore della luna piena, consumato il rancio, effettuato il rifornimento carburante ed acqua dei carri, mi sistemo alla meglio sul fondo del carro per schiacciare un pisolino. Al mio servente cannoniere do l'ordine di vigilare attentamente in torretta e svegliarmi non appena i mezzi del Cornando Divisione si fossero messi in moto, ma il mio sonno è breve perché prima delle ore 21 ci pensa il nemico a svegliarmi iniziando una tempesta di fuoco- aereo e di artiglieria. Mi sveglio di soprassalto e mi sento la guancia bagnata: è il sangue del servente che, per poter meglio osservare, si era esposto in torretta appoggiando l'avambraccio destro sull'orlo della botola , rimanendo così ferito ali 'avambraccio.

Sorpresi dalla violenza del fuoco nemico, ci mettiamo al riparo del carro stendendoci sotto lo scafo. Subito un fante sopraggiunge di corsa e trafelato e si stende pure lui dolorante per una ferita alla mano. Pochi minuti dopo ospitiamo il S. Ten. medico del Comando Divisione, leggermente ferito ad una natica. In sei trascorriamo l'intera notte bloccati sotto il carro dall'incessante infernale fuoco d'artiglieria e di bombe aeree: il fante con la ferita alla mano instancabilmente si lamenta invocando la madre: "mamma mea, mamma mea", il dottore emette ogni tanto un urlo perché militari, alla ricerca di un riparo e, visto il carro, vi si buttavano sotto appoggiandosi con violenza sulle doloranti natiche. Io ristretto tra il servente e l'ospite napoletano, torturato dalle fameliche pulci, preda bellica unitamente ad un magnifico plaid neozelandese, non posso fare il minimo movimento senza suscitare i lamenti del mio servente ferito al braccio. Il suono ininterrotto di un clacson di automezzo, premuto dal petto di un povero autista colpito a morte, si sommava al fragore delle bombe, torturando le nostre povere orecchie e il nostro cuore.

Come Dio volle, all'alba cessa finalmente l'infernale fuoco nemico e possiamo liberarci dell'incomodo giaciglio notturno.

Subito mi informo dei miei uomini: nessuna cattiva notizia, un solo ferito, alcune taniche sforacchiate, una delle due antenne radio del mio carro tranciata. Elevo una preghiera di ringraziamento al buon Dio.

Nello stesso giorno ricevo l'ordine di raggiungere con la cp. la base logistica della Divisione ed ivi attendere alla ricostituzione della Compagnia con l'arrivo di nuovi carri e l'assegnazione di personale per ripianare le perdite subite.

Alla fine di agosto la Compagnia, pienamente efficiente, è impegnata all'estremo sud dello schieramento difensivo amico fino ai margini della depressione di El Qattara. Le forze italo -tedesche sono schierate a difesa su un fronte di circa 60 km dal mare alla depressione di El Qattara con in prima schiera il XXI C.A. a nord, a sud il X C.A. e in seconda schiera il XX C.A. costituito dalle Divisioni "Ariete" e "Trieste". La forza nemica è schierata con in prima schiera il XXX C.A. a nord, il XIII C.A. a sud ed il X C.A. in seconda schiera.

La Compagnia si schiera in linea con i carri sistemati in postazioni che consentono il tiro con le torrette affioranti dal suolo.

Così, inchiodati al suolo trascorriamo quasi due mesi salutati quotidianamente da salve di cannoni, torturati da nuvole di mosche insistenti agli angoli degli occhi, sopportiamo l'inclemenza delle condizioni atmosferiche, con altissime temperature diurne e bassissime, nebbiose temperature notturne. L'effetto debilitante è che forme di colite e ittero colpiscono largamente la compagnia.

Il mattino del 23 ottobre ricevo l'ordine di abbandonare la posizione presieduta e raggiungere la base logistica della Divisione per riunirmi al battaglione.

Il movimento si sviluppa tutto in terreno sabbioso, lontano da rotabili e piste e si conclude, senza alcun inconveniente, al pomeriggio.

Alle 21, col chiarore della luna, con una potentissima preparazione di artiglieria, ha inizio la grande battaglia di annientamento delle forze italo - tedesche. La lotta furibonda con attacchi e contrattacchi si sviluppa fino alla sera del 1° novembre.

Nel pomeriggio del 1° novembre la "Trieste", ultima riserva in mano a Rommel, è incaricata di tamponare al più presto una falla prodottasi nelle posizioni tenute dalle unità del XXI C.A.

L'operazione si conclude all'imbrunire quando improvvisa si scatena una tempesta di fuoco che impedisce il rifornimento carburanti ai carri.

Trascorriamo la notte rinchiusi dentro i carri.

All'alba, cessato il fuoco dell'artiglieria nemica, scendo dal carro, sto esaminando la situazione con gli equipaggi quando, trafelato, giunge un motociclista del Comando battaglione con l'ordine di muovere con immediatezza la compagnia in concomitanza col movimento di una compagnia tedesca. Giunta la compagnia tedesca, mi affianco alla sua destra e appaiati, procediamo verso nord a cavallo di una pista che conduce ad El Alamein.

Percorsi alcuni km, la compagnia tedesca arresta il movimento e inizia a sparare colpi in rapida successione. Io non ordino il fuoco perché la distanza del nemico, da me stimata, era superiore alla portata utile dei cannoni da 47/32 della mia Compagnia.

Impressionante la massa dei carri nemici sfociati in campo aperto attraverso una grossa breccia aperta nel sistema difensivo amico.

I tedeschi, colpiti alcuni carri, cessano il fuoco e invertendo la rotta, si dirigono verso le posizioni di partenza.

Io, come da ordine ricevuto, mi uniformo ai camerati tedeschi, ben lieto di riportare indietro tutti i miei carri.

Raggiunto il Comandante del btg. che attende il mio rientro al riparo di una buca, riferisco sullo sviluppo dell'azione. Mi chiede quanti siano i carri nemici, rispondo che pur essendo impossibile valutarli, probabilmente possono essere 300 - 400 circa. Mi informa, quindi, che la compagnia tedesca ha perduto 2 carri e che bisogna che io ripeta l'azione con le stesse modalità e con lo stesso fine di colpire il fianco meridionale delle forze nemiche. Rispondo: "Signor sì" ma aggiungo che ritengo opportuno che anche la terza compagnia sia impiegata allo scopo di obbligare il nemico a dilatare il fuoco su più ampio fronte possibile. Il Maggiore accoglie la mia proposta e mi ordina di mandargli il suo carro per andare a dare ordini alla 3Acp. e, intanto, di iniziare il movimento.

Accetto l'ordine, ma muovo la cp. a velocità lentissima per dare tempo alla 3A cp. di affiancarsi alla mia per poi procedere in parallelo. Visto che la 3A cp. tardava a raggiungermi, preoccupato che il lento movimento potesse favorire il tiro nemico, chiamo più volte per radio il Comandante di bgt. ma non ho alcuna risposta.

Anche l'appello alla 3A cp. rimane silenzioso, così, senza ordini, senza alcuna notizia sulla situazione della 3A cp., senza collegamenti radio, decido di accelerare il movimento dei carri per portarmi a distanza di tiro utile dal nemico, ma percorsi poche decine di metri il carro subisce un sobbalzo dovuto alla forza d'urto di un proiettile perforante che colpendo con angolo di incidenza zero, praticamente aveva strisciato lungo tutto il fondo dello scafo, senza perforarlo.

Mi sento bagnato in faccia, crede di essere ferito, mentre invece è l'acqua del fiasco sahariano che nell'urto si è sganciato dalla torretta e, cadendo sul fondo dello scafo, s'è frantumato.

Istantaneamente osservo con il periscopio il 1° plotone e vedo che dietro la torretta del 4° carro si sollevano delle fiamme, giro il periscopio per esaminare la situazione del 3° plotone e vedo che due carristi faticano ad estrarre dalla torretta un ferito (Ten. Valentini mortalmente colpito); nello stesso momento il mio carro è bersaglio di un secondo perforante che incide sulla piastra frontale fratturandola, bloccando il cannone alla massima elevazione, non più utilizzabile essendo saltati tutti i bulloni di saldatura della piastra alla torretta.

Do immediato ordine di ripiegare fino alla posizione di partenza, ma all'ordine ubbidiscono solo 3 carri essendo gli altri 8 colpiti ed inutilizzabili. Restano sul posto a testimoniare con il loro carico di morte e feriti, il valore della Compagnia. L'epilogo tanto doloroso è maturato nello spazio di pochissimi secondi.

Raggiunta la posizione di partenza mi meraviglio di non trovarvi nessuno, né Maggiore, né Capitano, né un soldato.

Mi sento sperso e abbandonato da tutti, senza collegamenti radio, incapace di trovare una soluzione sul da farsi. Scendo dal carro per sgranchirmi le gambe e il mio marconista con gesto di grande stupore mi grida con voce strozzata: "Sig. Capitano, ha visto il suo casco?" "No, perché?" Mi tolgo il casco e con grande stupore vedo che presenta uno squarcio grande come una bocca, ma senza incollato un capello. Grido al miracolo e tuttora credo sia stato un vero miracolo. La fortuna ancora una volta mi aveva salvato perché se fossi stato più alto solo di 2 cm. (altezza. 1,66), la scheggia mi avrebbe segato il cranio dalla fronte all'occipite. Doverosamente elevo' il mio più vivo ringraziamento al Buon Dio per la molta benevolenza accordatami.

Verso mezzogiorno arriva da sud un'autoblinda tedesca con a bordo un Generale. Si ferma vicino al mio carro, risponde al mio saluto e mi rivolge, tramite un capitano interprete, una serie di domande alle quali rispondo dettagliatamente, mettendo in risalto che i carri hanno i serbatoi quasi asciutti, che le munizioni sono quasi esaurite, che il mio carro non è più in grado di sparare.

Ascoltata attentamente la mia esposizione mi chiede: "Avez vous les mitrailleuses?" "Qui, mon generai". "Alors avant avec les mitrailleuses".

Rimango stupito e non sapevo se ridere o piangere di fronte a così colossale sciocchezza. Il Generale tedesco si allontana ritornando sui suoi passi, io rimango fermo in attesa di eventi.

L'enorme massa di carri che al mattino erano sfociati a tergo dello schieramento difensivo rimane inspiegabilmente ferma tutta la giornata. Nel tardo pomeriggio non avendo più senso e ragione di sostare ancora sulla posizione di partenza, mi metto in moto verso sud alla ricerca del Comando tattico della Divisione che incrocio, fortunatamente, quando scendono le prime ombre della sera.

Il Capo di S.M. mi accoglie festosamente e mi informa che il Comandante di btg. è rimasto gravemente ferito perdendo entrambe le gambe e che il Capitano Comandante la 3A cp. è stato mortalmente colpito.

Ecco spiegati i silenzi radio e il mancato spiegamento della 3A cp..

Le tristi notizie fugano i critici giudizi mentalmente formulati.

Il 2 novembre segna la fine della mia compagnia e pone termine alla lunga, sanguinosa, gloriosa resistenza opposta dalla armata italo - tedesca all'impeto offensivo del nemico nella grande battaglia di El Alamein.

Queste brevi e scarne note vogliono riportare alla mente gli episodi bellici più significativi, condotti dalla mia cp. in forma quasi autonoma (piccola unità, quanto a mezzi, ma grande, quanto ai valori morali che animava tutti i suoi componenti) nel vasto quadro della grande offensiva condotta dalle forze italo -tedesche dalle posizioni di Ain El Gazala fino al golfo degli Arabi.

Cari, carissimi compagni d'armi, grande è stato il vostro tributo di sangue generosamente versato.

Io vi ricordo tutti, vi ho tutti nel mio cuore e rubando una bella espressione poetica del Leopardi vi dico:

"Beatissimi voi che offriste il petto alle nemiche lance per amor di Costei che al sol vi diede".

 

Milano, 4 agosto 1986

Signor Comandante,

sono stato assente per ben due settimane dalla città, mi son recato in provincia da parenti, al rientro ho trovato la preziosa sua lettera.

Ho letto e riletto il suo scritto con viva e intensa commozione, mai più avrei immaginato che sotto quella corteccia di un non più giovane guerriero si celasse un animo così sensibile.

Carissimo Comandante veniamo al nocciolo di una questione che se ho ben capito è della massima importanza per Lei.

20 giugno 1942: Tobruk caput! Ricordo o meglio lo rivedo come una visione apocalittica quella tremenda colonna di fuoco e di fumo che saliva al ciclo.

21 giugno 1942: si parte alle prime luci dell'alba. Dopo forse mezz'ora di marcia ci riferma. Siamo in attesa di ordini. Il sottoscritto alla guida della macchina del diavolo con relativo rimorchio, sì così chiamata era la macchina dei carburanti appunto per quel maledetto rimorchio nessuno voleva stare alla guida, solo un irresponsabile oppure un folle poteva guidarla. Siccome non sono mai un irresponsabile allora voleva dire che ero un folle, ma eravamo tutti dei folli.

Dunque eravamo fermi in attesa di ordini, la mia era l'unica macchina che doveva seguire i carri anche in combattimento. Di fatti seguivo i carri e la mantenevo distante per eventuali attacchi aerei.

Eravamo scesi a terra, si chiacchierava, si scherzava cercando di ingannarci a vicenda dimenticando la triste realtà allorquando ecco arrivare il motociclista di divisione, si ferma, chiede di consegnare al Comandante la compagnia un ordine urgentissimo: "vai avanti e troverai il tenente Moscatelli" questa è la nostra risposta.

Dopo un certo periodo di tempo, venti-trenta minuti circa, ecco arrivare la vetturetta del Generale di Divisione se ben ricordo scortato da due motociclisti guarda caso si ferma proprio di fianco alla mia macchina. Contemporaneamente vedo arrivare dalla lunga fila di carri in fila indiana Moscatelli che aspettando il Generale e vedendolo arrivare gli va incontro di corsa.

Il Generale che era già sceso dalla sua vetturetta va verso Moscatelli, va a finire che entrambi si incontrano a pochi metri al di là del radiatore della mia macchina.

10 che mi trovai involontariamente presente e intuendo che dovevano dialogare mi tolsi subito dai piedi girando davanti alla mia macchina e mi portai sul lato opposto.

Non è che mi misi ad origliare però non potevo sparire, ascoltai il tragico dialogo tra generale e Moscatelli.

Queste più o meno le parole di entrambi i protagonisti.

Generale a Moscatelli: "Moscatelli, il forte Pilastrino malgrado i nostri continui attacchi resiste ancora, Lei deve portarsi immediatamente a Pilastrino con la sua compagnia e cercherà di espugnare le fortificazioni."

Moscatelli risponde al Generale: "Signor Generale, impiegare i carri contro le fortificazioni mi sembra una manovra azzardata. Sarebbe una vera e propria follia".

11 Generale sentendo Moscatelli che si opponeva ai sui ordini andò sulle furie, e con voce minacciosa sentenziò: "Moscatelli, Lei osa criticare i miei ordini, Le ordino "vada immediatamente ad espugnare il forte Pilastrino, capito!" non glielo ripeto una seconda volta."

Moscatelli non cede e risponde al Generale: "Signor Generale, Lei vuole la distruzione della mia compagnia carri, Lei mi manda al macello e lo sa di mandarmi alla totale distruzione".

Questi più o meno il dialogo che precede la tragedia tra il ten. Moscatelli ed il Generale.

Mario Grossi Ex  carrista  della 1* Compagnia  dell' XI  Battaglione  Carri

Ancona, marzo 2008

 

 

           

16 Agosto 2008 / v06
 

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