I BERSAGLIERI
IN
AFRICA
SETTENTRIONALE
Il nemico inglese ad un certo
momento esprime la sua “stupita ammirazione” per i fanti piumati che il nostro
Stato Maggiore riafferma essere “espressione purissima delle virtù guerriere
dell’Italica stirpe” capace, in un continuo contatto con un nemico più forte, di
opporre alla maggiore forza, la “fermezza stoica alla implacabilità, i petti al
piombo avversario”.
Si battono le truppe italiane
precedute dai bersaglieri che sono trascinati nelle lotte dalle ombre gloriose e
dagli incitamenti dei padri che già conobbero un tempo gli eroismi di
Sciara-Sciat, di Sidi el Messri, di el Mergheb. Si battono sotto il soffocante
ed accecante alito del ghibli, madidi di sudore, bramosi di una gavetta d’acqua,
supremo bene, con i loro mezzi che suscitano sempre l’altezzosità dell’alleato o
la sufficienza dell’avversario, fino a che non si tramutino, questi sentimenti
in stupefatta considerazione per la genialità dello spirito “italiota”capace di
lanciare, in una battaglia di grossi Sherman, qualche decina di scassati
autocarri trascinati da grosse fascine di sterpi legnosi atti a sollevare
imponenti nuvole di sabbia che maschera la scena e induce il nemico a ben più
riflessivi atteggiamenti.
Nonostante la sbalorditiva
impreparazione, i madornali errori operativi, organici e logistici, la enorme
inferiorità dei mezzi di trasporto e il deficiente armamento in numero, velocità
nei confronti degli inglesi, le truppe italiane si batterono con insuperata
dedizione e inimitabile coraggio.
Siamo alla prima campagna
libica. All’alba del 13 settembre 1940 i primi reparti del che varcano il
confine Marmarico e sfrecciano verso oriente sono due compagnie di bersaglieri,
la prima vanguardia del XXIII C.A. e la seconda vanguardia della 1° Div. Libica.
Quando dopo il guizzo iniziale
le nostre forze armate nel dicembre 1940 sono sopraffatte nel deserto di Sidi el
Barrani dall’Armata meccanizzata britannica del Gen. Wavell, ad Alam el Nibeiwa
il soldato di ferro, generale (bersagliere) Pietro Maletti, Comandante del
“Raggruppamento Celere”, incita contro le schiaccianti forze motocorazzate i
suoi uomini ignudi. Suo primo ordine: “morire sul posto”, così come sul posto
morirà il plotone di bersaglieri motociclisti addetti al suo comando.
La battaglia si fa feroce, gli
italiani attaccano alla baionetta, ma la manovra inglese di avviluppamento
induce alla ritirata. Il ripiegamento prima a Derna, poi alla Sirtica si svolge
sotto l’incalzare di un nemico provvisto di mezzi moderni, in condizioni
ambientali proibitive, fra disagi inenarrabili.Un dramma, cade Bardia; Tobruk e
Derna perdute, Bengasi abbandonata al suo destino.
Cinque volte più forte, il
nemico è tuttavia costretto per circa, a seguire il passo davanti al magnanimo
eroismo del presidio di Tobruk, di cui fa parte, con la Div. “Sirte”, la 22° Cp.
Bersaglieri Motociclisti, che a El Aden oppone “accanita resistenza”.
Del 10° Bersaglieri, che ha
tentato di arginare con indomito coraggio la marea di mezzi motorizzati e
corazzati, pur sommerso, giungono a Tripoli i gloriosi resti. La disperata gesta
del Reggimento è simboleggiata a Ghemines-Agedabia dal Sottotenente Oreste
Toscano, Medaglia d’oro, al quale verrà reciso la mano destra.
Intanto che, frantumata
l’Armata del Maresciallo Graziani, la 7° Div. Corazzata, la 16° Brg. Motorizzata
e la 6° Divisione australiana si apprestano a sboccare dalla zona Sirtica in
Tripolitania, sbarcano a Tripoli due Div. Corazzate tedesche e, il 24 gennaio,
la Div. Corazzata “Ariete”, della quale fa parte l’8° Rgt. Bersaglieri. Per
arginare l’inondazione nemica, il Comando Superiore Forze Armate A.S., mette a
disposizione del Gen. Rommel, Comandante dell’Afrika Korps, La Div. Corazzata
“Ariete”, la Div. Motorizzata “Trieste”, alla quale aggrega la 1° Cp. Cannoni
del 7° Bersaglieri (aviotrasportata dall’Italia), e la Div. “Trento”, con la
quale opererà il 7° Rgt. Bersaglieri.
Sotto il tormento del ghibli,
s’inizia la riconquista della Cirenaica. Al primo colpo di testa, con una felice
manovra di aggiramento Rommel riesce a travolgere ed insaccare, con il Corpo
corazzato, ragguardevoli forze dell’Armata di Wavell. Alle dipendenze del C.A.
Tedesco, cominciano così le fortunose gesta dell’8° Bersaglieri, uno dei
protagonisti del vittorioso balzo verso Oriente.
Dopo le tappe di Homs,
Misurata, Sirte, il Reggimento del Col. Montemurro ha il battesimo del fuoco a
El Mechili (sud di Derna). Il 6 aprile, la colonna del Ten. Col. Fabris (3° Btg.
Moto, 142° Cp. Cannoni da 47/32, 2° batteria art. del 137° rgt., sezione
mitragliatrici da 20mm), che precede la colonna “Montemurro” (Cp. Comando, 12°
Btg. Autotrasportato, 72° Cp. Cannoni da 47/32, 1° batteria del 132° Art., 2°
sezione mitragliatrici dal 20mm), prende contatto con gli elementi avanzati
nemici e inizia l’aggiramento. Il giorno dopo (7 aprile), alle ore 15, la
colonna “Montemurro” completa l’avvolgimento.
Ricevuto l’ordine di Rommel di
conquistare El Mechili,all’alba dell’8 aprile, erano già in atto i preparativi
per l’azione sincronizzata delle due colonne dell’8, della colonna celere “Santa
Maria”e di elementi corazzati della 5° Divisione tedesca. Il nemico già stretto
nell’accerchiamento tentò una pericolosa manovra. Una formazione motorizzata (2
reggimenti indiani) compiuto un largo movimento aggirante, era piombata a tergo
della colonna “Fabris” mettendola in serio pericolo. Pericolo scongiurato dallo
stesso Montemurro che lanciò sul fianco del nemico due reparti di
motomitraglieri, minacciandolo a sua volta di aggiramento, mentre sull’altro
fianco rovesciava il fuoco della batteria da 75/27 e delle armi controcarro, che
aprivano il passo ai bersaglieri del XII Battaglione, piombati con estrema
decisione sul nemico.
In questo settore la lotta fu
brevissima, gli inglesi alzarono bandiera bianca e lo stesso Gen. Perry, che li
comandava, si arrese di persona al Comandante dell’8° Bersaglieri, Col.
Montemurro. La portata del successo fu notevole: oltre al Gen. Perry , altri due
Generali catturati, due Colonnelli col grado di Generale, 60 Ufficiali e circa
2700 prigionieri con un grosso bottino.
Gli avvenimenti libici
acquistano un ritmo rapido e felice. Le truppe inglesi e imperiali non catturate
sono in fuga verso l’Egitto. Oltrepassate El Mechili ed Ain el Gazala,
rioccupate El Adem e Derna, raggiunta Bardia e Sollum. In due settimane, la
Cirenaica riconquistata e Tobruk, che validamente resiste, investita da forze
Italo-tedesche. Siamo a metà aprile.
Purtroppo però Tobruk è rimasta
in mano nemica che è base e porto importantissimi. Giunge intanto, se pur
logorato da molti chilometri di marcia in autocarro, innanzi a quella che è
stata la nostra base aeronavale anche il 7° bersaglieri del Col. Duranti.
Reggimento di bersaglieri che
contribuisce notevolmente a rinforzare lo schieramento avvolgente del centro ora
nemico che, asserragliato, vi resiste con le sue truppe corazzate che escono di
quando in quando dalle proprie linee in rapide, pungenti, pericolose puntate
contro gli assedianti . Le scorribande corazzate australiane di …. Tobruk si
rivolgono contro il 3° Battaglione bersaglieri (8°) sistemato oltre Acroma.
Purtroppo questo reparto pur aiutato da due compagnie moto, può far ben poco
contro i potenti carri armati nemici. I bersaglieri resistono comunque, ed in
breve tempo riescono a recuperare anche la posizione che la sorpresa aveva fatto
loro perdere. All’attacco dei vari gruppi di fortini di Tobruk, viene
successivamente lanciato il 5° battaglione bersaglieri (8°) con la 142°
Compagnia Cannoni del Ten. Quartuccio, la 132° del Cap. Patruzzo e pezzi vari di
artiglieria divisionale. L’”Ariete” incarica perciò il Magg. Gaggetti di
costituire i due caposaldi di Bir Scerif e di Caser-el-Cleka.
Dal 1° al 5 maggio è un
susseguirsi di azioni contro le ridotte inglesi che costano notevoli sacrifici
provocati dalla ben comprensibile reazione delle artiglierie nemiche. Rimangono
subito feriti sia Gaggetti che parecchi ufficiali. E la battaglia, che si
protrae accanita nella notte fra il 2 e il 3 maggio, vede gli italiani
rispondere coraggiosamente alle pugnalate degli inferociti australiani in una
lotta all’ultimo sangue. Il Ten. Giovanni Padovani da Arcole il Sottotenente
Achille Formis da Padova si impongono all’ammirazione e al rispetto di tutti per
il loro sacrificio di Ras el Medeuar. Entrambi medaglia d’oro al Valor militare.
Il caldo si fa intanto più
torrido nella zona desertica che circonda Tobruk, anche per i continui
bombardamenti che piovono dagli “Hurricane”. I caccia inglesi esprimono, senza
trovare reazione adeguata, tutta la stessa violenza ciclonica che comporta e
riassume il loro preciso nome. Il “7°” entrato in battaglia ad est di Tobruk,
sulla via Balbia, poiché coinvolto con la sua Divisione, deve affrontare le
grosse corazze dei carri inglesi con i propri cannoncini da 47. La Colonna “Montemurro”,
rotola verso est per ordine di Rommel, tutt’a un tratto si reinserisce verso
nord sulla Balbia per Bardia, al confine della nostra colonia. Giunge a
Bordi-Sleman seguita da altri reparti italo-tedeschi e, tutti insieme, procedono
a presidiare la zona di confine, compresa, a sud, la Ridotta Capuzzo che guarda
Sollum.
La possibile via di ritirata,
per i reparti rintanati a Tobruk, viene ad essere frustrata. In verità si tratta
di una chiusura non troppo ermetica che, in sostanza, i nostri reparti non sono
se non caposaldi isolati, pieni di caparbia volontà di fare, di resistere, ma di
limitate possibilità, proprio in relazione e in contrapposizione a ciò che il
nemico sta a sua volta organizzando, gettando nella fornace della guerra. Alla
metà di maggio gli inglesi vogliono togliere di mezzo questi ostacoli per
liberare il porto di Tobruk. Fanno agire due poderose colonne munite di carri
“Mark 2” e batterie semoventi.
L’Halfaya, la sella situata tra
le colline costiere a sud di Sollum, nome che diventerà ben famoso per tutti i
successivi punti di attrito che provocherà tra i belligeranti, tenuta da una
Compagnia motociclisti tedeschi e da un paio di Compagnie del 12° Battaglione
(8°) con qualche cannone anticarro, viene aggirata dopo che i tedeschi del
presidio sono sopraffatti e dopo una straordinaria difesa degli anticarro. Due
giovani ufficiali, con il loro leonino comportamento, risaltano su tutti coloro
che pure si immolano fedeli alla bandiera: Il Sottotenente Rini e il
Sottotenente Fazi.
Gli inglesi intendono premere
sulla Ridotta Capuzzo e su Sollum stessa. Sul Caposaldo di Quota 186 si
verificano urti ancor più micidiali. Sbarcate le fanterie dai mezzi corazzati,
il nemico si presenta agguerritissimo tutt’attorno e avanza anche se la reazione
delle mitragliatrici della 2° Compagnia motociclisti dell’”8°” e dei
relativamente pochi pezzi anticarro del “7°” e del “6°” Bersaglieri è
tutt’altro che trascurabile. Sono chiamati in aiuto gli Stuka ma i loro
interventi sono forse più dannosi che provvidenziali. Ne sanno subito qualcosa
questi disgraziati. I mezzi corazzati tedeschi non arrivano all’appuntamento
perché esauriscono, strada facendo, il carburante. Il Sottotenente Giacinto Cova
da Brisighella, dell’”8°” , mostra il suo fegato assaltando un manipolo di
soldati inglesi di ogni colore, di ogni razza, facili maneggiatori di coltelli.
Cederà come tanti altri solamente alla morte, mentre sta per scagliare l’ultima
delle sue bombe a mano. Medaglia d’oro al valor militare.
Nei pressi della quota assalita
c’è una grossa buca in cui è sistemato il comando della colonna Montemurro e
che diviene presto “dei leoni” per l’accesa battaglia che vi si scatena intorno,
chiamando in causa l’intero comando: medici, cappellani, dattilografi. L’attacco
nemico perde il suo travolgente impeto anche a Sollum di fronte agli arditi
bersaglieri dell’”8°” e del “6°” che esplodono per mezzo dei vari Pirondini,
Lanza, Esposito, Talpo. Eppure, prima di sera, la colonna “Montemurro” deve
arretrare tutta risalendo la Balbia verso Bardia. E’ la disposizione del
superiore comando che impone la sua volontà non senza aver riconosciuto, come
farà poi ufficialmente, “lo spiccato ed abile comando del reggimento ed il
comportamento di tutti i suoi valorosi soldati”.
Dopo un po’ di assestamento ad
ovest di Tobruk sempre in mano agli inglesi, benché isolata, la Colonna “Montemurro”,
sensibilmente rinforzata con mezzi dell’”Ariete” viene rispedita in un nuovo
contrattacco di forze australiane, neozelandesi, indiane nella zona di Ain el
Gazala, qui chiamata a nuovi drammatici avvenimenti. Esse cercano, naturalmente,
la via di Tobruk, ma il nuovo presidio tenuto da fanti e da bersaglieri, tiene
duro anche se è costretto a perdita di terreno. L’intervento tempestivo
dell’”8°” consente quasi al culmine della lotta disperata, la riconquista della
“Capuzzo” e delle altre posizioni del confine Cirenaico.
La prima fase del duello
africano, che si conclude con la brillante puntata italo-tedesca verso l’oriente
già prima occupato, con la stabile tenuta dei punti strategici del confine
libico-egiziano, vede tuttavia Tobruk, importantissima, sempre nelle mani degli
inglesi. Il Corpo d’Armata di manovra comprende le Div. “Ariete” e “Trieste”.
L’”Ariete”, corazzata, dispone dell’8° Bersaglieri (Compagnia moto; V e VII Btg.
Autoportati; Battaglione armi d’accompagnamento e compagnia controcarri), mentre
la “Trieste”, motorizzata, ha in rinforzo il 9° Bersaglieri (XXXII Btg. Moto;
XXVIII e XXX Btg. Autoportati; XL Btg. Armi d’accompagnamento). Entrambe si
trovano schierate alla ripresa dei combattimenti in pieno Serir a 50 Km a sud di
Tobruk, nella località di Bir Hacheim e di Bir el Gobi con il compito di
proteggere le unità corazzate germaniche che operano in grande spazio.
Trascorrono, in grossi preparativi e trasformazioni di reparti, quattro o cinque
mesi, mentre il 7° Bersaglieri che ha fatto buona guardia intorno al grosso
caposaldo di Tobruk, è raccolto nella zona d’Ain el Gazala per un periodo di
riposo e riordinamento.
L’VIII Btg. Motociclisti,
sciolto, ripartisce le sue tre compagnie fra il Reggimento, la Div. “Trento” e
il Corpo d’Armata di manovra (poi XX). A metà d’ottobre, il 7° (meno un btg. di
formazione dislocato nella sperduta zona di Gialo) è chiamato a sostituire a Ras
el Medeuar (sud-ovest di Tobruk) il 155° Rgt. Fucilieri tedesco.
Sono quasi ultimati i
preparativi per eliminare di viva forza l’occupazione britannica della
piazzaforte, quando il Gen. Cunningham scatena la seconda offensiva nell’intento
di sbloccare la piazzaforte di Tobruk attaccando di rovescio la linea d’assedio
e, dopo ampio avvolgimento da Sud, annientare le unità italo-tedesche.
Violenta si svolge, dal 18
novembre al 7 dicembre 1941, la battaglia della Marmarica attraverso
un’ininterrotta serie di furiosi combattimenti in campo aperto e fra le opere
forti, col micidiale intervento di masse aeree e corazzate.Iniziatasi nel
settore di Sollum, si conclude con il ripiegamento delle forze italo-germaniche
su Agedabia. Sbloccata Tobruk; riconquistata la Cirenaica. Alla grande battaglia
d’arresto parteciparono tre reggimenti bersaglieri 7°, 8°, 9°, i quali diedero
esempio altissimo di tenacia e di mordente, sia nella zona di Tobruk, sia nei
combattimenti di Bir el Gobi - Sidi Rezegh, sia nella ritirata dopo il
fallimento della controffensiva di Rommel.
Il 18 novembre, un centinaio di
carri armati britannici, che intendevano raggiungere la posizione intermedia d’El-Adem
per poter così prendere alle spalle gli assalitori di Tobruk, sostenuti da
superiori forze aeree, urtavano contro le posizioni della Divisione “Ariete”.
Tutti i tentativi di avanzare, anche sul fronte del gruppo “Giovani Fascisti”,
si scontravano contro infrangibile resistenza. A Bir el Gobi (Sud di Tobruk) fra
i più impegnati erano i bersaglieri dell’8° (Ten. Col. Gentile), i quali,
sebbene sul punto di modificare lo schieramento e perciò in crisi, all’attacco
della XXII° Brigata corazzata britannica, che aveva circondato i loro capisaldi,
reagirono con estrema energia a petto pressoché nudo, senza efficienti
protezioni, nello scavo di piccole, affrettate buche nella sabbia, riuscendo con
i loro pezzi anticarro a distruggerne almeno una cinquantina. In particolare il
V° Btg. bersaglieri fu quello maggiormente impegnato negli scontri.
Il vento, scatenatosi in
quell’ora, sollevò una nube di sabbia e limitò la visibilità dei carri. Ciò
favorì i difensori. Con tiri mirati e precisi la prima ondata di carri fu messa
fuori combattimento.Allora cominciò un infernale carosello fra i carri inglesi
che volevano passare e i bersaglieri che li dovevano fermare. Tutta
l’avanguardia corazzata si sguinzagliò fra i capisaldi e fu preda dei cannoni
dell’8°. Lo stesso comandante inglese ebbe il carro distrutto a soli venti metri
dalla postazione di un pezzo controcarro. La battaglia si concluse alle 18, dopo
6 ore d’epica lotta. Erano rimasti sul terreno 50 carri nemici con numerosi
equipaggi morti. Il nemico aveva mancato in pieno il suo obiettivo. L’8°
Bersaglieri, uomo contro carro, sorretto dalla volontà indomita del Ten. Col.
Gentile, un soldato di ferro, la cui combattività anzi che cedere per gli
ostacoli, ingagliardiva, aveva vibrato uno di quei colpi che erano il suo stile
inconfondibile: a petto nudo avevano distrutto una brigata corazzata.
Nella fase più critica, un
Ufficiale d’alto valore, sicuro e sereno sempre, attraversando audacemente le
formazioni di carri nemici, aveva effettuato il collegamento tra i vari
capisaldi: il Cap. Tullio Sturchio, aiutante tattico del Ten. Col. Gentile, così
come lo era stato del Col. Montemurro, sia ad El Mechili, quando, raccolti
alcuni reparti motociclisti, d’iniziativa li guidò contro una colonna inglese,
contribuendo a sventare una pericolosa manovra ed a costringerla alla resa, sia
a quota 186 della ridotta “Capuzzo”, dove, alla testa d’animosi bersaglieri si
lanciò a colpi di bombe a mano contro i carri armati britannici fiaccandone
l’impeto. (Per queste 3 azioni il Cap. Sturchio fu premiato con 3 medaglie
d’argento sul campo).
Paolo Fabbri, inviato della
“Gazzetta del popolo” così descrisse in un suo articolo il primo violentissimo
urto della XXII° Brigata corazzata britannica contenuto con vigore leonino dai
bersaglieri dell’8° a Bir el Gobi: “….I bersaglieri seppero resistere ai carri,
restarono sul posto in una piana senza appigli, in piccole buche scavate nella
sabbia…..Eroiche teste dure quelle dell’8°; che Dio gliele mantenga col loro
bel piumetto sopra! Spararono contro quel muro d’acciaio finché non
l’ebbero a ridosso. Gli inglesi tiravano ormai a mitraglia….I carri passarono di
slancio penetrando nei capisaldi; ma i bersaglieri, i travolti, avevano già
rovesciato il fronte. Una torretta accennò ad aprirsi. Credevano forse che fosse
finita per i bersaglieri. E invece l’inferno si scatenò. I bersaglieri sparavano
più serrato di prima, seppur esposti al tiro dei compagni di faccia ed
esponendolo a loro volta. Fu un intreccio di perforanti e rossi bagliori che
costellavano il campo di battaglia; i bersaglieri rivennero fuori, allo
scoperto, e si muovevano nel fumo per manovrare le loro armi, apparendo e
scomparendo come figure dantesche…….L’ora leonina dell’8° resta ammantata nel
caos della battaglia. Impotenti contro quella fragile carne che ogni volta
tornava a risorgere dalla crosta della terra, esposti, sbattuti, i battaglioni
corazzati nemici avevano un solo spiraglio d’uscita, e vi si infilarono
disperdendosi a largo raggio nella piana desertica.
Nonostante le crude perdite,
l’offensiva inglese in Marmarica prosegue più che mai decisa. Dopo
l’annientamento a Bir el Gobi della XXII° Brig. Cor. britannica, è la volta
della VII° Brig. Cor. neo-zelandese a Sidi Rezegh, località che sta facendosi un
“nome”. Questa che il 19 novembre aveva infranti al suolo 18 apparecchi italiani
da caccia, nei giorni dal 20 al 22 operava, con altre unità carriste, da Sidi
Rezegh verso il nostro schieramento meridionale di Tobruk, nell’intento di
sbloccare i difensori della piazza. Rommel decise di accerchiare tali forze e
contro di loro lanciò, oltre alla 15° Divisione Cor. Tedesca a sud-est di Tobruk,
il V° Battaglione bers. e l’VIII° Btg. Carri. Alle ore 16 la colonna, preso
contatto col nemico, inizia una felicissima manovra che porta all’accerchiamento
delle formazioni britanniche operanti a sud di Sidi Rezegh e si risolve a Sciaf
Sciuf verso le 19 con la distruzione della 7° Brigata Cor. Inglese. Le “fiamme
cremisi” del V° Battaglione, animate dal Maggiore Gastaldi danno l’impressione
al nemico di aver avuto disarticolati e distrutti i mezzi corazzati da una
contemporanea raffica di ghibli e di dardi scoccati da una macchina diabolica.
E’ in questo periodo che si ha
il dolore della perdita del Battaglione di formazione autotrasportato (spa 38),
inviato nel settembre dal 7° Bersaglieri a presidio di Gialo. Dopo disperata
resistenza e crudeli perdite, aveva dovuto cedere a una colonna di un centinaio
di autoblindo, rinforzate da artiglierie e protette da bombardieri, apparse
improvvise in quella zona desertica.
Alla puntata dell’8° Rgt.
Bersaglieri su Sidi-Omar (24-27 Nov.), nella quale si afferma il valore del XII°
Btg. contro tentativi d’avvolgimento di colonne carri e autoblindo, segue il
fatto d’arme di q. 175 del costone di Sidi Rezegh, al quale partecipano i Btgg.
III° (Magg. Cantella) e V° (Magg. Gastaldi), 2 Compagnie di cannoni controcarro
(bers.), 1 Compagnia carri M/13 e 2 Gruppi d’artiglieria 75/27. Con travolgente
impeto, i bersaglieri, si lanciano sulle posizioni nemiche e le occupano,
catturando 200 prigionieri e un centro ospedaliero con 1000 degenti e 700
militari di sanità.
Il 25 novembre il 9°
bersaglieri, comandato dal Col. Bordoni deve ristabilire la situazione venuta a
crearsi nei pressi di Sidi-Bu-Amid a seguito della resa agli inglesi, senza
molto impegno, di un Reggimento tedesco. Mentre le punte avversarie impegnano le
ultime resistenze di un Battaglione dell’”Africa Korps”, il 9° è subito
costretto ad impegnare i suoi XXVIII° (Magg. Togna) e XXX° (Ten. Col. Chierico)
Battaglione rinforzati dalla Compagnia Mortai (Cap. Carella), contro armatissimi
reparti neo-zelandesi. Occorrono parecchie ore, quasi tutta la notte, quella del
26 novembre e, inoltre, molte dosi di sangue per respingere l’attacco
dell’intera 2° Divisione neozelandese. Il nemico però è fermato e ributtato
sulle posizioni di partenza. Il comando tedesco (Gen. Botscher) si installa nei
pressi dello stesso 9° e studia il modo di impedire un nuovo tentativo inglese
di congiungere le sue forze a quelle di Tobruk. Purtroppo in questo sistema
d’aperti capisaldi che richiamano alla memoria quelli di Russia, se si
capovolgono le condizioni ambientali e climatiche, si manifesta, alle spalle,
la nuova potente infiltrazione nemica che richiede un contrattacco in direzione
opposta. Sono i bersaglieri motociclisti del XXXII° Btg. del Maggiore Pece che
si buttano allo sbaraglio. Motori contro granate. Per buona sorte i motociclisti
sono serviti a dovere dall’azione dei nostri validi gruppi da 105 e da alcuni
carri tedeschi, sicché il possibile inserimento è presto evitato. Avanti alle
nostre linee, centinaia di cadaveri nemici ed alcune decine di mezzi corazzati e
camionette bruciate testimoniano la tenace resistenza dei valorosi bersaglieri
del 9°. Alle 22,30 circa, il nemico sferrò nuovamente un attacco in forze e,
benché contrastato con accaniti corpo a corpo dai bersaglieri e battuto
efficacemente dall’artiglieria, riuscì ad aprirsi un varco in corrispondenza
della 5° Compagnia ormai decimata; un nucleo d’arditi Neo-zelandesi puntò sul
comando di settore che si dispose a caposaldo. La lotta si risolse all’arma
bianca parecchi bersaglieri e artiglieri furono pugnalati. Il Gen. Botscher, che
seguiva da vicino le vicende del 9°, alle ore 2 del 27 novembre, ritenendo
pienamente assolto dal Reggimento il compito di trattenere il nemico fino
all’arrivo delle Div. corazzate tedesche, ordinò di ripiegare. Nemici catturati:
3 Ufficiali e 310 uomini; 19 carri e 60 camionette distrutte. Il valore dei
bersaglieri e degli artiglieri italiani fu riconosciuto dal Gen. Botscher, il
quale inviò al Col. Bordoni un messaggio: “ Attendevo molto da Voi, ma avete
superato ogni mia aspettativa. Vi ringrazio di quanto avete fatto e spero di
avervi ancora ai miei ordini per altri combattimenti”. Bilancio,
ovvio, di molti caduti da ogni parte, senza contare l’ecatombe di mezzi.
E’ in questa giornata
d’intrepido combattimento del 9° che a Sidi Rezegh splende l’ardimento del
veneziano Tenente Giuseppe Ragazzo, med. d’oro, che corre, pur già ferito in
più parti del corpo, decisamente incontro allo scatenato nemico per
controbatterlo in un suo estremo tentativo. In quelle due giornate d’acre lotta,
gli episodi di valore degli Ufficiali e dei bersaglieri del “Nono” furono
innumerevoli. Il Ten. Pizzicato, più volte trascinò all’assalto i suoi
motociclisti contro le forze blindate e motocorazzate britanniche, concorrendo
ad assicurare il possesso della posizione contesa; Il Ten. Petris, triestino,
comandante di una sezione mitragliatrice da 20 mm, dirigeva allo scoperto il
fuoco delle sue armi; avuto ordine di ripiegare, rimase sulla posizione con un
gruppo di bersaglieri e mitragliatrici, desistendo dall’azione solo quando
l’ultima arma non restò inutilizzata; il Sottotenente Maschio, mitragliere,
avendo avute fatte a pezzi le sue armi, alla testa dei superstiti si avventò
alla baionetta; il C/le Vanenti, capo-arma tiratore, avuta la mitragliatrice
travolta da carri attaccanti, reagiva con lancio di bottiglie incendiarie,
inducendo i mezzi corazzati nemici a ritirarsi; il Ten. Randelli, comandante di
un plotone arditi, trascinava più volte il suo reparto a vittoriosi contrassalti
riuscendo a respingere il nemico penetrato nelle posizioni; il Serg. Ranucci,
comandante di una squadra arditi, alla testa dei suoi uomini si gettava ripetute
volte al contrassalto, ricacciando l’avversario e causandogli perdite; ferito al
capo da scheggia di granata, si faceva medicare sul posto e col reparto
rinnovava un’altra azione; però, mentre, sempre primo fra i suoi bersaglieri, si
lanciava all’inseguimento di nuclei nemici, era colpito a morte. Il Bers. Miatto,
catturato da un neozelandese, mentre era sgombrato nelle retrovie nemiche
assaliva il soldato di scorta, si impossessava della sua arma e rientrava nelle
nostre linee trasportando a spalla un nostro ferito rimasto nel campo
avversario; il Bers. Di Battista, pur gravemente ferito, affrontò fino alla
morte più di un carro armato avversario, meritando sì la medaglia d’oro al valor
militare.
Del “Nono”, va soprattutto
ricordato il XXVIII° Battaglione che, dopo aver vinto sanguinosi combattimenti,
di retroguardia, riusciva a raggiungere e sistemarsi su q. 211 di Sidi el
Breghisc, come da ordine del Comandante la Div. “Trieste”, poi raggiunto da
reparti del XXX° Btg. Qui, avendo avuto per consegna di proteggere il
ripiegamento d’altre unità, dall’11 al 14 dicembre rigettò ripetuti attacchi di
forze preponderanti. Fu su questa quota che il Battaglione del valoroso Magg.
Luigi Togna, ebbe nel Caporale Aurelio Zamboni un emulo dell’immortale Enrico
Toti. Infatti, da quasi tre giorni la mitragliatrice del c.le Zamboni creava
paurosi vuoti tra le file nemiche, e benché ferito alla testa da una
pallottola, non desisteva nella sua azione finché un colpo d’artiglieria gli
stroncò una gamba, gli squarciò l’addome, lo ferì in più parti del corpo e gli
recise quasi di netto un braccio. Pur gravissimo tagliò con un coltello il
penzolante braccio dal moncherino, e visti i compagni contrassaltare, in un
supremo sforzo si alzò in piedi prese il braccio reciso e lo lanciò contro il
nemico in segno di sfida. Morirà subito dopo per dissanguamento. Medaglia d’oro
al V.M.
Fu su questa quota che lo
sdegno del XXVIII°, inflisse ad unità di una Div. Neozelandese, largamente
provvista di carri, autoblindo e artiglierie, una sanguinosa lezione,
infrangendo un fraudolento attacco. Un reparto distaccato sulla destra,
attaccato di sorpresa, dopo strenua resistenza era stato catturato. E sembrava
tutto finito lì, quando un quadro incredibile apparve agli occhi attoniti dei
difensori. Uomini “nostri”, bersaglieri fatti prigionieri, erano sospinti
innanzi, disarmati, braccia in alto, le armi dietro le reni. Furono attimi
tremendi, quelli, in cui si sommarono e confusero orrore e sdegno, angoscia e
furore. In quel momento, simultaneamente, tutti, compresi i feriti, compresi i
morenti, laceri, sanguinanti, scattarono dalle buche, dalle trincee, da ogni
riparo. Un onda impetuosa di piume all’assalto ricacciò, liberando i
prigionieri, chi non potendo conquistare la quota col proprio valore aveva
cercato di prenderla con tanto ignobile azione. Ma la quota 211 era del XXVIII°
e del XXVIII° rimase.
Dopo le battaglie della
Marmarica e della Sirtica, dopo i gloriosi fatti d’arme di Bir Bellafa e di Sidi
el Breghisc, il 9° Bersaglieri, animato e condotto dal valoroso Col. Bordoni,
“continuò a dar prova di spirito aggressivo, rimanendo sempre di retroguardia
alla Div. “Trieste”; sostenne cruenti combattimenti con truppe motorizzate
inglesi di cui ritardò l’avanzata, si da consentire alle altre Divisioni
italo-tedesche di ripiegare ordinatamente dietro lo schieramento difensivo di
Agedabia, che attraversò per ultimo.
Ossessionante il ritmo della
gigantesca battaglia; altissima la capacità reattiva dei nostri “piumati”,
sanguinoso lo scotto d’ambo le parti. Dopo ulteriori serrati atti di manovra e
scontri, specie nel contrastato ritorno delle forze corazzate italo-tedesche dal
fronte di Sollum verso Tobruk, un nuovo accerchiamento fu tentato da Rommel con
la 21° Div. Corazzata e l’”Ariete”; ma contro la 2° Divisione neozelandese i
frutti raccolti furono limitati.
Fra gli episodi della battaglia
di arresto, va anche ricordato lo scontro di Gasr el Arid (3-5 dicembre), dove
si distinse per combattività il III° Btg. bers., condotto con slancio dal Cap.
Porzio. Poi è il ripiegamento delle unità italo-tedesche dalla Marmarica. Ma il
7 dicembre, raggiunta la zona di El Adem, l’8° Bersaglieri riceve ordine di
attaccare il giorno dopo le posizioni diBir el Gobi per disimpegnare reparti
tedeschi ivi minacciati. L’incarico è brillantemente assolto.Segue il
combattimento di Meteifel el Seghir (N.O. di Bir Hacheim), nel quale la Div.
“Ariete” sostiene un formidabile urto di mezzi corazzati e fanteria. E’ in
questa occasione che, in mezzo ad accecante fuoco di artiglieria, trova morte
gloriosa il Magg. Gastaldi, Comandante del fierissimo V° Battaglione. Nonostante
la formidabile pressione nemica, il Reggimento riesce, a sganciarsi per
scaglioni.
Nei giorni 14-15 dicembre si
svolge vittorioso l’attacco del XII° Btg. (Magg. Cantella), rinforzato dalla 2°
Compagnia controcarri e accompagnato da carri M/13, al caposaldo di q. 204 di
Sidi el Breghisc. Le forze britanniche sono travolte; un Reggimento
d’artiglieria distrutto; catturati 300 uomini, 40 bocche da fuoco e alcuni carri
armati.
Altri sacrifici attendono i
Reggimenti piumati, quasi tutti di retroguardia nel ripiegamento verso la
Sirtica. Si combatte ad Ain el Gazala, sul ciglione di Derna, a Tecniz, a Barce,
nella piana di Bengasi; e dovunque sventoli il pennacchio, dovunque è onore.
Gareggiano fra loro in eroismi i Reggimenti 7°, 8°, 9°, anche se le perdite che
subiscono vanno ad infittire di nomi venerandi i loro inventari di morti e di
feriti.
Il 7° Bersaglieri non meno
virtuoso dell’8° e del 9°, si era battuto impavido sulle posizioni di Ras el
Medauer (Tobruk). Anche qui in numeri atti di ardimento. Nelle posizioni più
avanzate, due inesausti comandanti di Battaglione: Ten. Col. Mattesini (XI°) e
io Magg.Rosano (X°), i quali poterono contare in ogni momento sulla bravura dei
Capitani Amodei, De Palma, Lucido, Paladini, Pernotti e Rubagotti, a loro volta
in piena rispondenza spirituale con un nucleo di coraggiosi subalterni:
Bacchiani, Borrello, Cappari, Lorello, Vaccaio, Vicini e Italo Casamassima;
l’uomo eternamente di punta, tutti rotti al deserto e giorno e notte a tu per tu
con la morte. Ma non meno rifulse l’eroismo devoto degli oscuri gregari di cui
uno il bersagliere Tenca, Medaglia d’argento al V.M., ferito gravemente, subì
l’amputazione degli arti inferiori con stoicismo non comune.
Gli inglesi, intanto, danno il
via alla seconda fase dell’offensiva. Sotto la protezione della superba
Compagnia motociclisti del Cap. Lucidi, i battaglioni X° e XI°, nella notte sul
7 dicembre, iniziano il ripiegamento. Ma il reparto motomitraglieri, attaccato
ala mattino da forze preponderanti, è quasi distrutto. Degli Ufficiali, solo il
Ten. Bacchiani riesce a raggiungere i resti del Reggimento, al quale è stato
affidato, nell’arretramento generale della Sirtica ordinato nel pomeriggio del 7
da Rommel, il compito di rompere il contatto col nemico per ultimo, dopo le
Divisioni “Brescia” e “Trento” pur destinate a proteggere la ritirata generale.
Il che sarà fatto egregiamente nella notte sul 16 dicembre.
Ha così inizio una movimentata
marcia di 500 Km verso l’altipiano cirenaico.
La sera del 15 dicembre, giunto
ad Ain el Gazala, il Reggimento è chiamato a “tamponare una falla prodottasi
nello schieramento della Div. “Trento”. Su quelle posizioni il mattino del 16
sostenne due combattimenti. Il nemico, validamente contenuto, segnò il passo,
perdendo tempo prezioso, a tutto vantaggio delle forze ripieganti. il 18, sul
ciglione di Derna, i bersaglieri del 7°, rimasti isolati come estrema
retroguardia del XXI° C.A., combatterono tutta la giornata contro forze
avversarie superiori per numero e mezzi. Rendevano il tal modo possibile alle
Div. “Brescia” e “Pavia” di ripiegare oltre Derna e alle Div. “Trento” e
“Bologna” di raggiungere, da sud, il villaggio “De Martino”, sul Gebel
Cirenaico. Ultimato il movimento di dette grandi unità, nella serata i
bersaglieri del 7°, rimasti abbandonati a se stessi, ripiegavano su Derna,
subendo però altre notevoli perdite che facevano scendere gli effettivi del
Reggimento al 50% della forza combattente dall’inizio della battaglia. Lo
stesso Comandante del Reggimento, alle ore 14 di quel giorno, mentre con pochi
motociclistici spostava da un battaglione all’altro, fu catturato da elementi
della 4° Divisione Indiana. Ma due carri della Div. “Ariete”, rimasti isolati
nel deserto e da qualche giorno col comando del 7° Bersaglieri, sopraggiungevano
in tempo per liberare il Colonnello.
Dopo queste giornate
avventurose, gli avanzi del 7° sono chiamati ancora a ritardare le avanguardie
nemiche sul ciglione di Barce per dar tempo alle varie grandi unità di
raggiungere la piana di Bengasi. Ed i superstiti dei battaglioni X° e XI°
assolvono con fermezza la nuova missione, riuscendo a sganciarsi abilmente ed a
raggiungere Bengasi nella nottata, donde proseguono verso Agedabia, incalzati da
forze motocorazzate. Non è finita. Dopo la battaglia di arresto e successivo
ripiegamento, il 7° è destinato a fare da cerniera fra la “Pavia” e la “Trento”
impegnate all’alba del 27 dicembre. In nemico, intanto, aveva rioccupata Bengasi
(25 dicembre); resistevano Bardia, Sollum e Halfaya, che sarebbero però cadute
fra il 2 e il 17 gennaio 1942.
I battaglioni X° (Amodei) e XI°
(Mattesini) tennero testa bravamente alla Brigata della “Guardia Reale Scozzese”
che attaccò con grande decisione. Dopo parziali cedimenti di reparti dell’XI°
Btg., imposti dalla violenza dell’urto, la situazione fu ristabilita mercè il
pronto impiego dei rincalzi guidati personalmente dal Ten. Col. Mattesini e con
il potente intervento di un gruppo di obici da 100.Sul mezzogiorno il
combattimento era risolto in nostro favore. Il Gen. Rommel, prontamente
intervenuto il linea, volle personalmente rallegrarsi con i bersaglieri del 7°
per il magnifico comportamento e il successo da essi conseguito.
Nonostante superbe pagine
scritte dal valore italiano nel secondo ciclo operativo, la battaglia della
Marmarica fu per noi estenuante e sanguinosa. L’”Ariete”, la Divisione più
provata, ebbe la forza delle sue unità ridotta al 15%. Nella prima fase della
battaglia abbiamo visto i nomi di Sidi Rezegh e Bir el Gobi legati ai fasti ed
al sacrificio dell’8° e dei suoi compagni di gloria. “I bersaglieri dell’
“Ariete”, scrive nel 1942 Hans Voker, corrispondente di guerra della “National
Zeitung”, sono presenti ovunque nel deserto. E’ questa onnipresenza che ha
conferito all’”Ariete” il nome di “Divisione fantasma”. fra i soldati del
Corpo africano tedesco essa è conosciuta come la Divisone a tutta prova. “Sempre
avanti”, è il motto che anima i soldati di questa Divisione, dal Generale al
più giovane bersagliere. E’ lo spirito dei legionari dell’antica Roma…..nomi
come El Mechili, Sidi Rezegh, Bir el Gobi, Tobruk e Sollum sono
indissolubilmente uniti al nome di questa Divisione. Noi germanici parliamo
della fanteria come della Regina delle armi. In Italia la regina delle armi è
data dai Bersaglieri. Essi sono dappertutto, sempre avanti ai carri armati,
nelle trincee e, durante l’avanzata, sugli autocarri e sulle motociclette. Sono
essi che recano l’ultima decisione della battaglia, ne l’artiglieria ne le
formazioni corazzate potrebbero far nulla senza di loro. Fu un pugno di
bersaglieri a mantenere con poche armi, nella primavera scorsa, Ras el Medauer,
una fortezza avanzata davanti a Tobruk. Essi resistettero fino al sopraggiungere
dei rinforzi”.
Avendo accennato alla lotta
combattuta fino allo stremo delle forze nella zona di Bir el Gobi, non possiamo
lasciare in ombra il “Gruppo Battaglioni Volontari Giovani Fascisti”: quasi
tutti studenti, che, fiamme e fez neri degli arditi, dei bersaglieri avevano nel
sangue il rigoglio di vitalità, l’impulso impaziente di confronti e di gloria, e
nell’animo il patrimonio venerato e caro dei volontari di Curtatone e Montanara.
Le battaglie del deserto affrettarono la loro maturazione. Mobilitati
nell’aprile 1941, equipaggiati e addestrati alla bersagliera, largamente
inquadrati da bersaglieri, da questi educati alla poesia del dovere e del
sacrificio, e con questi cresciuti nelle armi, i 1500 giovanissimi volontari,
emuli degni dei fanti piumati, sintesi anch’essi di bellezza e d’impeto,
dovevano fin dal primo scontro mostrare agli italiani disattenti la loro purezza
ideale, ai carristi inglesi la tenacia dei loro artigli.
Il 19 novembre 1941, la XXII°
Brig. corazzata inglese prendeva contatto con i due battaglioni di ragazzi in
zona che il nemico chiamava “area Bir el Gobi”. Respinta, riprovava il
giorno dopo. Rigettata ancora, avanzava a suo sostegno un’altra Brigata
corazzata, la 4° ,ma l’8° Bersaglieri, unità carriste dell’ “Ariete” e i GG.FF.
(giovani fascisti) manifestavano così alta capacità reattiva che, il 23, Rommel
poteva travolgere la XXII° Brig. e annientare la V° Sud-africana. La battaglia
tornò a divampare il 4 dicembre. Il nemico aveva ricevuto i soccorsi invocati
col noto messaggio: “Ci occorrono rinforzi…non riusciamo a passare…ci
troviamo di fronte a degli indemoniati…”. “indemoniati” erano i sedicenni e
diciassettenni che gli inglesi chiamavano “Mussolini’s Boys”, cioè
“ragazzi di Mussolini”, e che per 16 giorni avevano tenuto testa a truppe
sceltissime quali la Brigata “Waterloo”, truppe negre e indiane della 7° Div. e
un reparto di guastatori australiani; gli “indemoniati” del I° Battaglione
volando bassi come rondini fra un carro e l’altro, avevano arrestato numerosi
mostri; “indemoniati”, i “balilla” del II° Battaglione che, saldi come i loro
principi, avevano concorso il 19 a dare scacco allo strapotente nemico a Bir el
Gobi, dove già il 6 dicembre, la generosa veemenza dei “Giovani fascisti”ancora
resisterà. Gravemente ferito il Ten. Col. dei bersaglieri Ferdinando Tanucci
Nannini, splendido Comandante di quei “pazzi maledetti”, così chiamati da
Radio Alessandria; stroncata da una cannonata la gamba del Magg. Fulvio Balisti;
fulminato il Serg. Zama, scagliatosi in motocicletta contro un carro lanciando
bombe; sul terreno un cimitero di carri e di giovani eroi; sulla bocca del
Caporalmaggiore Ippolito Piccolini, comandante di squadra cannoni controcarro,
caduto a pochi metri dal fratello Mario, Ten. dei bersaglieri, un incancellabile
sorriso. Prima con il cannone dalla sua buca, poi con una spranga di ferro, per
scoperchiare la torretta di un carro armato, infine con pistola e bombe a mano
infilate di prepotenza nelle feritoie della torretta stessa, il suo “sublime
ardore” aveva inchiodato 4 carri. Tante erano le sue ferite, e tante sono le
stagioni, di cui una, la primavera, fioriva nel suo cuore. Medaglia d’oro al
V.M.
E così, cento e cento altre
piccole figure che, illuminate dal valore, appaiono gigantesche.
Bir el Gobi: Un nome che brilla
e brillerà sempre nella Storia.
Sottrattosi all’offensiva
nemica, Rommel non si diede per vinto e temendo che posizioni di Marada - el
Agheila, dove le forze italo-tedesche si erano sistemate il 6 gennaio, potessero
essere aggirate, preparò i piani per un’altra “sua” spregiudicata
controffensiva. La scelta di tempo fu così felice che nella Sirtica orientale
non vi fu soluzione di continuità tra l’esaurirsi dell’attacco britannico e la
“presa di ferro” operata dal generale tedesco. Il quale, senza informare il
Comando Supremo, si lanciò il 21 gennaio con le sue Divisioni Corazzate (15° e
21°) e parte dell’“Ariete” verso Agedabia. A testa bassa contro il nemico e
l’ignoto. Tutto su di una carta.
Ma, anche questa volta il colpo
d’ala del “Demonio del deserto” ebbe esito sbalorditivo e gli inglesi
furono sorpresi nel difficile atto finale della loro combattuta avanzata”. Presa
al volo Agedabia; il Gebel investito; Bengasi liberata; Ain el Gazala – Bir
Hacheim impegnate, catturati 800 carri e 320 cannoni; il 30 gennaio, occupa
Barce; il 2 febbraio, Cirene; il 3, arriva a Derna; El Mechili sgombrata dal
nemico; elementi motorizzati italo-tedeschi nel golfo di Bomba. E qui ha termine
la prima fase offensiva.
Col solito generoso impegno,
alla riconquista della Cirenaica partecipa l’8° Bersaglieri (1 Cp. Mortai 81;
Btgg. 5° e 12°), che il 21 gennaio avanza con l’“Ariete” e la “Trieste” a
cavaliere della via Balbia. Ma, per quanto sconvolto dall’improvvisa irruente
offensiva, il nemico ripiega verso est senza farsi agganciare, anzi reagendo con
decisi contrattacchi, appoggiati dall’artiglieria e da mitragliamento aereo. La
sera del 27 l’“Ottavo” occupa Solluch, supera estesi campi minati e mette in
fuga reparti indiani; il 29, dopo una marcia irta di difficoltà e di
combattimenti, entra per primo a Bengasi, facendo un migliaio di prigionieri;
l’8 febbraio arriva ad El Mechili e concorre a sventare un attacco di
retroguardie contro elementi del 9° Bersaglieri già a presidio della località.
Ininterrotte fatiche e perdite
non fiaccano il 9° Bersaglieri, che continua a manifestare abnegazione e
aggressività sia nel ripiegamento imposto dagli inglesi, sia nella sorpresa
offensiva scatenata da Rommel il 21 gennaio. Dopo aver, alla fine di dicembre,
partecipato con le Div. Tedesche 15° e 21° alle felici azioni sulla pista
Agedabia – Gialo, che ebbero per epilogo lo sbriciolamento della XXII° Brigata
Corazzata Britannica e, il 1° gennaio 1942, operato a Cher el Bidan, ai diretti
ordini di Rommel, che ne elogiò saldezza e mordente, con la consueta generosità
concorre alla rioccupazione della Marmarica. Avanguardia della Div. “Trieste”,
all’inizio dell’offensiva italo-tedesca lo vediamo sulle piste desertiche; primo
ad Agedabia; vittorioso contro le posizioni fortificate di Scleidima (dove
gl’inglesi in rotta, lasciano grosso bottino e numerosi prigionieri); primo
ancora, dopo una marcia di oltre 400 Km, ad El Mechili, occupata di sorpresa,
mettendo in fuga tenaci retroguardie.
Una serie di sanguinosi
combattimenti ne ha ridotto via via l’efficienza; nondimeno, l’8 febbraio,
quando il nemico attaccava El Mechili ed i reparti germanici cedono nella zona
di Temrad, trova forza ed animo per resistere fino al giorno dopo, dando modo a
carri e cannoni dell’“Ariete” d’intervenire e risolvere il combattimento con la
confusa ritirata delle forze inglesi. Alla presenza del Gen. Zingales e di
picchetti d’onore delle Div. “Trieste” ed “Ariete”, a metà febbraio, dai
bersaglieri del 9° è innalzato per la seconda volta il tricolore vittorioso
sulla torretta del fortino di El Mechili. Dio benedica questo Reggimento di
Eroi, Dio benedica il 9° Reggimento Bersaglieri.
Intanto, il 24 gennaio, sono
sbarcati a Tripoli 6 Ufficiali e 200 fra Sottufficiali e bersaglieri, superstiti
del XXXVI° Btg. (12° Rgt.) salvati nell’inabissamento del “Victoria”. “Ma
quanti di questi bersaglieri saranno ancora vivi alla fine dell’anno, dopo
l’autunno nefasto, dopo che il XXXVI° Btg. sarà più volte distrutto e rifatto, e
chiamato poi a posti d’onore lungo il fronte d’El Alamein?
Del 7° Bersaglieri, ridotto
nella riconquista della Cirenaica alla minima espressione, l’11 febbraio assume
il Comando ad Agedabia il Col. Ugo Scirocco che, impareggiabile organizzatore,
recupera, anche per l’inesausto lavoro del Ten. Valle, molto materiale (anche
inglese: 7 cannoni dal 88mm e 15 mitragliatrici dal 40 mm, con largo
munizionamento), sì da restituire il Reggimento, entro maggio, alla sua
primitiva efficienza materiale e morale.
E poiché tutte le Grandi Unità
e tutti i reparti sono provati, privatissimi, dal 6 febbraio al 25 maggio segue
un periodo di stasi operativa, vivificata dall’attività di distaccamenti
esploranti.
L’estate Marmarica è alle porte
nuovamente e la temperatura sale di continuo. per lunghezza di giornate e per un
fervore eccezionale di preparativi: In tutto il mondo e su ogni continente, su
ogni campo operativo, visto che l’emisfero meridionale non è poi molto
trascurato da questo mal sottile. Nel conflitto è entrato anche il Giappone a
fianco degli alleati dell’Asse e, con le sue fresche energie, passa subito di
successo in successo. Gli inglesi si preoccupano per la loro roccaforte di
Singapore e debbono trascurare un po’ le questioni del Nord-Africa. D’altra
parte gli impegni crescono anche per i tedeschi che, fermati per un inverno
intero sulle gelide, deprimenti steppe russe, devono, ora gettare nella mischia
tutto il loro potenziale per il “redde rationem”. Bisognerebbe perciò
approfittare della “distrazione” orientale per tentare un colpaccio a
sensazione.
La cosa è ben chiara nella
mente di Rommel, sempre più astuta “volpe” del deserto. L’uomo è più che audace
e quelli che comanda, italiani intesta, sono reparti che ogni Generale vorrebbe
sempre avere agli ordini. Ma siamo alle solite con le distanze enormi e con i
rifornimenti che, se non arrivano, mettono tutto a soqquadro, a repentaglio e
capovolgono anche i risultati più brillanti. C’è difficoltà per questi
rifornimenti: c’è penuria e c’è anche qualcosa che non fila sempre alla
perfezione.
Il 26 maggio improvviso si
scatena l’inferno. L’iniziativa è ancora alle forze italo-tedesche le quali
riescono a rompere il fronte fra Ain el Gazala e Bir Hacheim, premessa alla
eliminazione delle forze britanniche della Marmarica. Alle operazioni concorrono
tre Reggimenti di Bersaglieri: il 7° verso il mare; il 9° attacco frontale;
l’8°, aggiramento da sud, in cooperazione con la 21° Div. Corazzata tedesca.
Diamo uno sguardo alla ripresa
controffensiva in Marmarica e, più precisamente, all’azione spiegata da questi
tre reggimenti durante la battaglia-manovra d’Ain el Gazala, che si sviluppa con
la caduta di Bir Hacheim (11 giugno), estremo pilastro meridionale dello
schieramento difensivo britannico, l’eliminazione degli Inglesi da Ain el Gazala
(16 giugno), la riconquista di Tobruk (21 giugno), l’inseguimento delle colonne
in ritirata e il forzamento della piazza di Marsa Matruk (28 giugno).
Il 7 giugno il nemico attacca
il fronte tenuto dalla “Trento”, della quale fa parte il 7° Bersaglieri. La
manovra nemica sta per avere ragione dei capisaldi tenuti dalla Fanteria, quando
un contrattacco di bersaglieri coglie sul fianco gli Inglesi, che ripiegano,
lasciando morti, feriti, prigionieri.
Inquadrato nell’“Ariete”, l’8°
Bersaglieri (Col. Gherardini) partecipa ad incessanti combattimenti; il 28
maggio El Cherua, dove al nemico in fuga è catturato un gruppo d’artiglieria; il
5 giugno a Dahar el Aslag, dove il Comandante del V Btg. (Cap. Corrado Porzio) è
gravemente ferito fra i suoi bersaglieri che, nonostante la tenace resistenza e
le sensibili perdite, raggiungono l’obiettivo della giornata e rigettano con gli
altri reparti del “Reggimento
di ferro” un
violento urto di forze corazzate e di fanteria; il 20 giugno contro un gruppo di
fortini di Tobruk che espugna, catturando il giorno dopo, nella resa della
piazzaforte, 1600 uomini e ingente materiale.
Il 9° Bersaglieri (che, il 1°
maggio, in seguito a malattia del Col. Bordoni, era passato agli ordini del Ten.
Col. Togna ), il 26 di quel mese, ha ordine dal Comando del X° C.A., da cui
dipende, di avanzare verso Bu Allusc, posizioni sulle quali il XXVIII° Btg. si
schiera il 27, collegandosi con la Div. “Pavia” che il giorno 12 aveva avuto
messo a disposizione l’altro Btg. (XXX°).
Il 12 giugno, dopo intensa
preparazione d’artiglieria, il nemico attacca il XXVIII°. Il combattimento,
asperrimo, si conclude a corpo a corpo; ma i bersaglieri riescono a rigettare
gli Inglesi, infliggendo loro pesanti perdite. Il 14 giugno, al rinnovato
attacco, reazione immediata, e le armi controcarro dei bersaglieri costringono
il nemico ad abbandonare la lotta, lasciando sul terreno numerosi morti e un
centinaio di mezzi incendiati o danneggiati.
Il 21, le “fiamme” del 9° Rgt.
smantellano alcuni fortini di Tobruk e catturano uomini ed armi; il 27, prendono
posizione nelle opere di Marsa Matruk, dalle quali, il giorno dopo, respingono
il nemico e l’inseguono fino ad El Dak. Il 15 luglio, il Reggimento si prodiga
per soccorrere la Div. “Pavia” impegnata da forze schiaccianti. Il XXVIII° Btg.
è duramente provato e la sua 2° Compagnia annientata da carri nemici.
Non meno dura la lotta e
profondo il cammino del “Settimo”. Quando, alle ore 7 del 15 giugno, i C.A. X° e
XXI° riprendono l’offensiva, il movimento è preceduto, per il XXI°, da un
avanguardia motorizzata costituita dai bersaglieri del 7° che avanzano a cavallo
della pista Sidi-el-Breghish. Il 17 giugno, spazzate autoblinde e artiglierie
leggere britanniche, il “Settimo” arriva a Tobruk. All’alba del 21, le forze
dell’Asse attaccano la piazzaforte, preventivamente ammorbidita da un
bombardamento, e alle ore 10 i bersaglieri del 7° Rgt. irrompono nell’abitato,
mentre reparti corazzati cominciano a penetrare da est e da sud. Il presidio di
circa 25.000 uomini catturato. Sette Generali con bandiera bianca.
Come ricorda il Generale
Maravigna, il secondo atto della battaglia di Tobruk si risolse in modo rapido e
felice anche per la debole e disordinata resistenza nemica. Dell’8° Armata
britannica ormai resta ben poco. In meno di un mese, essa ha perduto 50.000
prigionieri, 1000 carri, 300 autoblinde, 800 bocche da fuoco, 500 automezzi. Nel
discorso del 1° luglio 1942 alla Camera dei Comuni Churchill, senza reticenze e
veli, accenna al “disastro
di Tobruk”: la
piazzaforte caduta “nel
corso di una sola giornata”.
Il 22 giugno, il 7°
Bersaglieri, costante avanguardia del XXI° C.A., punta su Bardia, la sorpassa e
si porta a contatto dello schieramento nemico di Sollum-Halfaya. Il giorno 24,
infranta la resistenza inglese, i bersaglieri del 7° superano Sollum e Bug Bug,
e occupano Sidi el Barrani. Alle ore 14 del 25 giugno, attraverso ostacoli di
fuoco terrestre ed aereo, il Reggimento raggiunge, sempre da solo, le linee del
campo trincerato di Marsa Matruk e facilita l’avanzata del proprio C.A. (XXI°) e
del X°.
Il compito di penetrare nella
piazzaforte è affidato al 7° Bersaglieri che, all’alba del 29, aprendosi i
varchi nei campi minati e nei reticolati, entra per primo in Marsa Matruk, dove
cattura i resti del presidio nemico in ritirata e libera prigionieri italiani e
tedeschi.
L’azione del 7° Bersaglieri ,
che lo stesso giorno è coronato dall’occupazione dell’aeroporto di Fuka, è
citata sul bollettino di guerra n. 736 del Comando Supremo.
Alla sera del 30 i due Btgg.
del “Settimo”, anima del “Gruppo d’inseguimento “Navarrini”, arrivano ad El
Alamein; il 1° luglio attaccano. Quella di El Alamein che si rivelerà
successivamente punto focale di tante speranze, di tante amarezze, di tante
patite delusioni, pur nell’ammirato, stupefacente progetto che è, nel sogno di
Rommel, la conquista dell’Egitto.
Il corso degli eventi è tale
che incoraggia Rommel a tutte le audacie. E poiché l’Egitto è il suo sogno, tra
il 19 e il 28 di giugno è la corsa al Nilo. Un’avanzata che Churchill definisce
“stupefacente”;
un trionfo che Rommel definisce “incomparabile”.
Il 19 giugno, dopo il
terrificante e catastrofico naufragio cui è stato soggetto nella traversata
dall’Italia a causa del siluramento, il 23 gennaio, della motonave “Victoria” su
cui era imbarcato, entra in linea il 12° Bersaglieri (Ten. Col. Ronchetti) che,
insieme al LI° Btg. Carri M costituisce la Divisione Corazzata “Littorio”. (E’
doveroso ricordare che il LI° Btg. Carri M era Comandato dal Ten. Col. dei
Bersaglieri Salvatore Zappalà, che impavido sotto l’implacabile fuoco dei mezzi
corazzati nemici, sebbene gravemente ferito, persisteva eroicamente nell’impari
lotta cadendo colpito a morte fra il rogo di ben 11 dei suoi carri ad El Dabà il
30 giugno. Decedette il 2 luglio nell’ospedale da campo n. 469 di Sollum in
seguito alle ferite riportate in combattimento. Medaglia d’oro al V.M.). Movendo
da Sidi Rezeg, dove nel pomeriggio del 20 ha rigettato l’attacco di una Brigata
indiana, il 12° Reggimento raggiunge con i suoi due Btgg. Marsa Matruk. Saputo
minacciato il Comando Superiore Tedesco da un’incursione di carri, il XXIII°
Btg. (Magg. Cavalieri) vola in soccorso degli alleati, riscotendo un personale
elogio da Rommel. Le forze inglesi, intanto scosse e in disordine, ripiegano. Il
loro collasso consiglia il nostro Comando Supremo a spingere l’offensiva a
fondo: “occupare con il grosso la stretta fra il golfo degli Arabi e la
depressione di Bad el Cattara”. Ma anche le forze italiane sono privatissime.
Dopo la caduta di Marsa Matruk (30 giugno), l’efficienza delle nostre grandi
unità è ridotta a ben poco: alla “Littorio” son rimasti non più di 1000
bersaglieri del 12° Rgt. e alla “Ariete” 600 dell’8°. Complessivamente queste
due Divisioni dispongono di 26 Cannoni.
Dopo un’instancabile
inseguimento di oltre 500 Km, che raccoglie altri 25.000 prigionieri, la
stilettata d’Ain el Gazala, penetrando profondamente oltre il confine egiziano,
porta alla rapida occupazione della stretta d’El Alamein.
Fin dall’inizio della battaglia
di Tobuk (26 maggio), all’azione controffensiva e all’inseguimento prendono viva
parte i bersaglieri. Il cuore in gola dalla corsa e dalla consolazione, i
Reggimenti piumati 7° e 8° sono fra i primi a varcare la porta dell’Egitto, che
le truppe britanniche stanno sbarrando con un complesso di opere di
calcestruzzo, fossi anticarro e campi minati: organizzazione che non essendo
aggirabile, pone in eccellenti condizioni funzionali di difesa.
Nonostante le crescenti
difficoltà logistiche e l’enorme stanchezza, nell’euforia dell’inseguimento il
“Settimo” (a disposizione del XXI° C.A.) e l’“Ottavo” (sempre nell’
“Ariete”)superano di qualche chilometro la prevista linea di sbalzo. Sulla
litoranea, il X° Btg. (Magg. Amodei) si spinge addirittura oltre la soglia di El
Alamein.
Intanto il “Nono”, a
disposizione del X° C.A., dopo aver respinto numerosi incursioni di camionette,
serra sotto e il “Dodicesimo”, primo scaglione della “Littorio”, si porta
anch’esso sulla linea di schieramento che, fra il mare e la depressione di Bad
el Cattara, ha uno sviluppo di 56 Km.
Sembra la fine degli inglesi ed
è, invece, il principio della nostra fine.
La lotta non ha tempo di
stabilizzarsi. Senza preparazione di artiglieria. Rommel attacca il 1° luglio.
E’ cosiddetta “Offensiva
al Delta”, concepita
dal Maresciallo per tagliare le comunicazioni fra Alessandria e il Cairo e
“distruggere” il nemico mediante aggiramento del fianco sud dell’Armata del
Nilo. Esito negativo. Dopo un inizio lento e contrastato, l’azione è arrestata
da un potente bombardamento aereo, da centinaia di cannoni da 25 libbre e dal
Rommel stesso che, disperando dell’esito per essere mancata la sorpresa, non
forza la situazione e si ritira.
Inferiorità di artiglieria, di
mezzi corazzati ed aerei; crisi di carburante e di munizioni portano al
fallimento la grande manovra da Rommel iniziata con tanta fortuna, ma con
altrettanta imprudenza, non avendo sufficientemente considerate le difficoltà
logistiche proprie della guerra desertica e quelle derivanti da logoramento
delle truppe e macchine dopo un così estenuante inseguimento.
All’estrema sinistra partecipa
all’azione il 7° Reggimento (Col. Scirocco) che, portatosi a contatto delle
opere nemiche, riceve l’ordine di sostare fortificandosi. Rinforzato dal 2°
Artiglieria Celere, costituisce con i mezzi precari di cui dispone, due
capisaldi, uno dei quali cede poi ai fanti della Divisone “Sabratha”. Alle prime
luci del 10 luglio, ad ovest di El Alamein, tra la ferrovia e il mare, un forte
attacco si abbatte sull’XI° Btg: Bersaglieri e su due Btgg. della “Sabratha”. La
massa attaccante costituita da un gruppo di Battaglioni della 9° Divisone
australiana, appoggiati da moderni carri, dopo accanita lotta travolge un
Battaglione di Fanti e due gruppi di artiglieria e cattura il Comando del 7°
Bersaglieri, senza riuscire, nondimeno, a spuntarla contro l’XI° Btg.
Bersaglieri che rimane piantato nel suo caposaldo. L’attacco nemico sta già per
cadere sul tergo del nostro schieramento a cavaliere della litoranea, quando il
pronto intervento del X° Btg. rigetta la colonna nemica, dando tempo alle
riserve del XXI° C.A. di entrare in azione. Il giorno dopo, 11 luglio,
gl’inglesi rinnovano con maggiori forze l’attacco ed anche il caposaldo con
tanto valore tenuto dall’XI° Btg. è travolto.
E’ così che, all’esaurirsi
della prima battaglia di El Alamein, del 7° Bersaglieri rimangono, a forza
ridotta, la Compagnia Comando, il X° Battaglione (Magg. Amodei) e mezza
Compagnia dell’XI° (Cap. Bacchiani).
All’azione prende parte anche
l’8° Bersaglieri, il quale, avendo avuto ordine di portarsi nella zona di Deep
Well, rinforzato da un nucleo di bocche da fuoco punta verso il suo obbiettivo,
senza che sulla sua destra avanzi a sostegno, com’era stato previsto, la Div.
“Trieste”. Alle prime ore del 13 luglio raggiunge l’obiettivo, ma rimane isolato
ed avvolto da un attacco concentrico di colonne di fanteria e di mezzi corazzati
e blindati. Sottoposte a micidiali concentramenti, le batterie di rinforzo sono
distrutte e il XII° Btg. è sommerso. Rovesciata la fronte, il V° Btg. tenta di
fronteggiare la tragica situazione, ma fatto bersaglio a offese convergenti è
costretto a retrocedere combattendo. I superstiti dell’8° possono costituire
appena un Plotone Comando e una Compagnia del V° Battaglione. Solo dopo un
periodo di riordinamento il Reggimento potrà contare su due Battaglioni organici
e partecipare alla seconda offensiva di Rommel ad El Alamein.
Logorato pure il 9°
Bersaglieri, sottoposto sulle posizioni di Ruweisat a sanguinosa prova.
L’ostinata resistenza gli costa centinaia di perdite, sicché i suoi resti sono
riuniti in un solo Battaglione, il XXVIII° . Né si può contare sull’arrivo di
complementi dall’Italia, poiché in luglio giungeranno in tutto 3 Ufficiali e 21
bersaglieri sfusi. Nella notte tra il 14 e 15 luglio, dopo lunga e violenta
azione di artiglieria ed aerea, un attacco inglese condotto da ingenti forze
riusciva ad avere ragione della prima linea ed il nemico irrompeva nelle
posizioni del 9° Bersaglieri travolgendo i reparti sotto la valanga dei carri
armati. I superstiti, al comando del Tenente Carovita, erano impiegati alla
difesa della Sede del X° Corpo d’Armata, coinvolto nella battaglia.
L’avverso risultato influì
sinistramente sull’animo dei nostri soldati che in quella piana assetata e
giallastra, tutta sabbia e roccia vivevano “come dannati”. Anche Rommel cominciò
a ritenere la situazione “estremamente critica”. In attesa della ripresa
offensiva, annunciata per agosto, il 7° Reggimento era stato raccolto intanto
sulle posizioni di Marsa el Hamra, dove era rinsanguato e riordinato. Riceveva,
infatti, un nuovo Btg. e si ricostituiva l’XI°, andato pressoché distrutto nelle
giornate del 10-11 luglio. Alla fine di agosto quando il Comando fu assunto dal
Col. Nicola Straziota, il “Settimo” era così schierato: X° Btg. nel caposaldo di
Marsa el Hamra, con il Comando di Reggimento sul rovescio; XI° in secondo
scaglione.
Seguono diverse puntate nemiche
e, il 30 agosto, è il secondo tentativo di Rommel. Partendo dall’estremità
meridionale del fronte, egli vorrebbe cadere sul rovescio dello schieramento
britannico.Della colonna A fa parte il 7° Rgt. Bersaglieri; della colonna B il
9° Rgt.; della colonna C l’8° Rgt. Sennonché, similmente al primo attacco,
vengono a mancare sorpresa e carburante, non la rabbiosa reazione dell’aviazione
e dell’artiglieria nemiche, specie contro le formazioni corazzate. Dopo tre
giorni di vani sforzi e di perdite gravi, le colonne italo-tedesche rientrano
nelle linee e assumono definitivo atteggiamento difensivo.
Il 1° settembre, le “fiamme
cremisi” sono così ripartite: XXI° C.A.: 7° Rgt. Bers. --- XX° C.A.: 1 Compagnia
moto; Div. Cor. “Ariete”: 8° Rgt. Bers.; Div. Cor. “Littorio”:12° Rgt. Bers.;
Div. “Trieste”: VIII° Btg. Corazzato --- X° C.A.: 9° Rgt. Bers.
Si manifesta ormai fra le
truppe italo-tedesche uno stato di scoraggiamento cui fa riscontro il pessimismi
di Rommel. E’ sensazione diffusa che non granelli di sabbia, ma un deserto si
sia interposto fra gli ingranaggi della macchina militare dell’Asse,
regolandola. Consumi eccessivi e forze oscure, diaboliche, hanno reso precario
il nostro impianto logistico.
Nel libro postumo di Rommel si
legge: “I fusti di
benzina provenienti dall’Italia sono per due terzi pieni d’acqua. E’ un vero e
proprio sabotaggio. Vi sono in media da 50 a 60 litri d’acqua in ogni fusto…”.
E Dino Campini, Comandante il IV° Btg. Carri M del 133° Rgt. corazzato: “I
rifornimenti dall’Italia erano difficili e contribuivano a tubarli quanti si
erano venduti al nemico.
Il tradimento serpeggiava alle
spalle. Il
Governatore della Libia era stato sorpreso in contatto con gli inglesi. Dava
notizie con una trasmittente e si uccise. Sempre Campini disse: “Altri
traditori ci spedivano acqua invece di carburante”.
Molta acqua, molto
onore!
Buono, invece, il morale e
formidabile l’apparecchio dei Britannici. I quali, approfittando dello
squilibrio delle forze, alle ore 20.40 del 23 ottobre, a luna piena, scatenano
una impressionante offensiva annientatrice che ha pochi riscontri nella storia e
che fanno precedere da inaudito bombardamento ai cui colpi non è possibile
sfuggire. Basta un solo dato a dare la misura degli sterminati mezzi offensivi
apprestati dal nemico per la sua manovra di rottura: il Comando Inglese aveva
costituito nel settore nord un focolaio di artiglieria pesante con 15
Reggimenti, cioè circa 540 bocche da fuoco di calibro superiore ai 105 mm, oltre
alle artiglierie delle truppe di posizione e di assalto. Si calcola che sul solo
caposaldo del X° Btg. Bers. cadessero tra i proiettili di artiglieria e di
mortaio un migliaio di colpi al secondo. Dopo dodici giorni di resistenza ai
tentativi di sgretolamento condotti da scaglioni di fanteria, accompagnati da
branchi di carri, l’azione impegna tutto il fronte: lotta mortale fra 69 Btgg.,
con 536 cannoni, 532 carri 36 autoblinde e 104 Btgg., 1200 bocche da fuoco fra
le migliori al mondo, 1050 carri “Grant” e “Sherman”, 370 autoblinde e una
grossa massa di rapidi cannoni controcarro e contraerei, appoggiati da 10.000
apparecchi moderni: Attraverso la breccia sono lanciate due Divisioni corazzate
britanniche e una Divisione Neo-zelandese, la famosa “palla di fuoco”, che
riversandosi in avanti ha ragione delle unità blindate tedesche e segna il
destino delle forze italiane.
Il mattino del 2 novembre,
infatti, dopo le formidabili premesse di più giorni di lotta demolitrice, il
nemico scaraventa per 4 ore una valanga di bombe e di granate sulle sottili e
sconvolte formazioni italo-tedesche, che per tanti giorni avevano contenuto,
spezzato, respinto l’attacco di cui presagivano le conseguenze funeste. Segue un
urto di potenti carri “Sherman” che sfonda e passa a sud della leggendaria quota
28, dilagando oltre la zona di schieramento delle artiglierie. E’ la rotta.
L’Armata italo-tedesca è “in gran parte annientata come forza combattiva” (Churchill).
Quale il comportamento dei
bersaglieri? Anche nella disperata battaglia dell’Egitto le “Fiamme Cremisi” si
batterono con tutto il loro ardore; e furono in gran parte distrutte. Il 7°, in
linea fra unità tedesche, pur sottoposto a schiacciante bombardamento, tenne
fermo, nel tratto di fronte assegnatogli verso il mare, sotto l’eccellente guida
del Col. Straziata, che poté fare sicuro assegnamento sul rendimento costante
del Magg. Amodei e di tutti gli Ufficiali e bersaglieri, che non conobbe
sgomento né resa anche quando sul punto di essere annientati. A Nord, il nemico
riuscì ad aprire una breccia sul fronte della “Trento” e ad occupare quota 28,
sì da costituire una testa di ponte ad ovest della fascia minata. Pericolo grave
per tutto lo schieramento. Il Comando tedesco fece entrare il azione reparti
della 15° Divisione Corazzata e reparti della “Littorio” da sud e da sud-est,
mentre ordinava al 7° Bersaglieri di rioccupare, con l’XI° Btg., la importante
q.28 attaccandola da ovest. Una tempesta di fuoco di mitragliatrici e di cannoni
si rovesciò sull’XI° Btg. condotto superbamente dal Cap. Bernardo Pasqualini e
animato dall’ardente parola e dall’esempio dello stesso Col. Straziota che della
riconquista aveva fatto un punto d’onore. Nonostante i penosi vuoti inflitti da
successive ondate di aerei che mitragliavano a bassa quota, i bersaglieri del
“Settimo” poterono, finalmente, seppur con la perdita eroica del Capitano Gorla,
Comandante della Compagnia avanzata, raggiungere e mantenere contro ogni
immediato attacco le posizioni di q. 28. Nel bollettino di guerra N. 885 del 28
ottobre 1942 si legge: “.
. . Una importante posizione contesa con particolare accanimento, è rimasta in
nostre mani dopo aspri combattimenti”.
Il 28 mattina, i britannici
sferrarono altri tre attacchi nel settore settentrionale e furono sempre
respinti. I bombardieri martellarono incessantemente, per tutto il giorno…;
verso le 21 il fuoco di centinaia di cannoni si concentrò sulle posizioni tenute
dai nostri reparti ai margini di q. 28. Dopo un’ora, il nemico si lanciò
all’assalto, aprendosi un varco tra due blocchi di campi minati. Per sei ore la
lotta divampò con eccezionale violenza ed alla fine il II° Btg. del 125° Rgt.
Fanteria Germanico e l’XI° Btg. Bersaglieri furono sopraffatti. Dei bersaglieri
caddero prigionieri una ventina, fra i quali 15 gravemente feriti; tutti gli
altri, restarono sul campo. Caduto il Cap. Melis; più di due terzi di subalterni
e sottufficiali,morti o feriti; il Reggimento, rimasto con un Barragliene solo,
riceveva ordine il 2 novembre di ripiegare. Quello della quota 28 di El Alamein
fu proprio un episodio omerico. Esseri umani di più non avrebbero potuto
rendere. E furono certo queste cruenti giornate che notevolmente contribuirono a
far conferire al “Settimo” il più altro riconoscimento al valor militare.
Inquadrato nell’“Ariete”, l’8°
Bersaglieri compì fino al 4 novembre, nella depressione di Bad el Cattara,
prodigi di valore, spostandosi dove maggiore era il pericolo, nel tentativo di
fare argine alla marea nemica. Anche dopo accerchiato, continuò a battersi con
disperato accanimento, fino alla sua polverizzazione. Dei bersaglieri del
“Settimo” e dell’“Ottavo”, un eroe della “Folgore”, il Conte Paolo Caccia
Dominioni, scrisse:“. . .
Ridotti a pochi nuclei sfiniti,
carristi e bersaglieri della “Littorio” e dell’“Ariete” tentavano gli ultimi
disperati contrattacchi e, accerchiati, comunicavano per radio che avrebbero
continuato a resistere”.
Dell’VIII° Btg. Bers. Corazzato
(40 autoblinde) parla la medaglia d’oro conferita al Serg. Magg. Gavioli Kruger,
caduto il 18 luglio mentre con la sua macchina “caricava”, a quota 21, con la
stessa intrepidezza del Capitano Giuseppe Albanese Ruffo, Comandante la 1°
Compagnia dell’VIII°, già fregiato il 29 maggio della massima ricompensa contro
munitissimi capisaldi di Got el Ualel protetti da impenetrabile sbarramento
controcarro. Da tutto lo schieramento che brucia, decine di migliaia di anime
elette salgono a un vero cielo di eroi lasciando le spoglie mortali alla sola
cara, amorosa, pietosa, generosa cura del Conte Paolo Caccia Dominioni, che si
assumerà, non appena sarà possibile, a conflitto concluso, il commovente compito
di inquadrare in un esercito di croci, i nomi di piumati, di reparti, di
Battaglioni, di Reggimenti, che, fermi sulle loro posizioni, si sono fatti
distruggere pur di tener fede all’impegno di soldati.
Del 9° Rgt. (Col. Pomarici),
che si era sistemato a capisaldi nella zona di Bad el Cattara, fa fede il
Comandate della Div. “Trento”, Gen. Arturo Keellner: “… i resti del 9°
Bersaglieri (non indivisionato), della “Trento”…, abbandonati dai Tedeschi,
privi di viveri e acqua, sono stati travolti
solo dopo aver esaurito le
munizioni. I soldati
italiani hanno compiuto il loro dovere, e meritano rispetto”. Questo è il
resoconto ciò che successe nella depressione di Bad el Cattara dove il 9° Rgt.
Bersaglieri trovò gloriosa fine: “La notte del 26 ottobre 1942, la battaglia si
riaccese violentissima, gli inglesi attaccarono con grande impeto, ma il
Reggimento, composto da un solo Battaglione, sebbene in precarie condizioni,
resistette valorosamente a tutti gli attacchi non cedendo un palmo di terreno,
pur pagando duramente lo strenuo sforzo di tutti i suoi bersaglieri. Verso sera
del 4 novembre il X° C.A. iniziava il ripiegamento, che era stato preceduto nei
giorni 2 e 3 dal ripiegamento degli altri due Corpi d’Armata (XX° e XXI°), di
circa 40 Km, sotto il continuo bombardamento aereo. In tal modo divenne precaria
la posizione di Bad el Cattara presidiata dal 9°, che costituiva l’ala
settentrionale del X° C.A., costringendo questi a ripiegare a sud delle
posizioni più avanzate. In conseguenza nei giorni 3 e 4 la resistenza del 9°
Bersaglieri assunse la massima importanza, perché impedì al nemico di aggirare
da sud i due Corpi d’Armata in ripiegamento e protesse dalle offese dal nord il
X° C.A.
Il mattino del 5 i reparti
superstiti si schierarono a difesa in località “Passo del Carro” con il compito
di impedire alle forze corazzate nemiche di tagliare la ritirata alle fanterie
del X° C.A. Il 9° Bersaglieri, col suo unico Battaglione, eseguiva l’incarico
con grande ardore combattivo rimanendo, pur condotti con indomito coraggio, a
sua volta isolato, per la fuga degli alleati tedeschi che lo lasciarono senza
viveri né acqua, ed i vari tentativi di rompere l’accerchiamento s’infrangevano
contro la strapotenza avversaria: 100 carri armati “Sherman”. Termina qui, al
“Passo del Carro” il 5 novembre 1942, la storia di gloria e sacrifico del 9°
Reggimento Bersaglieri, travolto dal nemico solo dopo aver finito le munizioni.
Del XXIII° Btg. (Magg.
Cavalieri) è testimone il Cap. carrista Dino Campini, il quale scrive che dei
tre forti raggruppamenti italo-tedeschi che costituivano lo schieramento, “il
più importante poggiava a cavallo di quota 33 di El Alamein ed era formato dal
IV° Btg. Carri M, dall’8° Compagnia carri tedesca, da granatieri del 115° Rgt.
Germanico, dal XXIII° Btg. Bersaglieri” e da tre gruppi d’artiglieria. “Su
questi reparti si abbatté la maggior offesa …appoggiammo
i nostri bersaglieri, coi cuori e coi cannoni.
Il nostro fuoco disperse il contrattacco inglese …”. Su “La Patria”,
Bonaventura Caloro soggiunse che “il più importante settore era quello del
centro, costituito dalla Div. “Littorio”, col 12° Rgt. Bersaglieri, guidato dal
Col. Amoroso (Medaglia d’oro in Spagna nel 1939), dal 133° Rgt. Carri , ecc.”.
Le “fiamme cremisi” dei
Reggimenti 7°, 8°, 9°, 12° e dell’VIII° Btg. corazzato fecero dono della loro
esistenza: dono perfetto. Fu così che anche dopo lo sfondamento del 4 novembre e
l’ordine di ripiegamento generale, i superstiti continuarono a sacrificarsi
nelle azioni di retroguardia.
Ordine di Berlino e di Roma era
: “Morire sul posto”; ordine di Rommel fu: “Ripiegate gradualmente sul
meridiano di Fuka”. Il condottiero tedesco confidava, oltre che nelle sue
forze corazzate, nell’“Ariete”, la quale fu richiamata dall’ala destra, dove
aveva, con la “Folgore”, fatto muro all’avanzata nemica.
Con le Div. “Ariete” e
“Trieste” ricostituì il XX° C.A., che però fu presto accerchiato, nonostante lo
strenuo combattere di bersaglieri e carristi. Travolte le Div. “Trento” e
“Bologna”, anche le unità germaniche furono sopraffatte il 5 novembre sul
ciglione di Fuka.
Condotta delle truppe italiane
e tedesche, nonostante l’enorme inferiorità logistica, numerica e
dell’armamento, degna dell’epica più che della storia. L’olocausto di uomini
esposti a tutte le offese nemiche e che dall’amico hanno acqua se chiedono
benzina e benzina se invocano acqua, ancor oggi colpisce e commuove.
La manovra di sfondamento è
conclusa. Caduti 12.000 italiani. La ritirata dalle dune di El Alamein alle
sabbie di Diserta, attraverso centinaia di Km infuocati, comincia. Ma, per le
crudeli perdite, solo sparute unità riescono a muovere verso occidente ed a
rompere, nella notte del 6 novembre, il contatto con l’“Armata del deserto”,
non certo sollecita nel raccogliere tutti i frutti della vittoria e che è
composta da scozzesi, neozelandesi, australiani, sudafricani, indiani, sudanesi,
francesi, greci, polacchi.
A ripiegare verso la
Tripolitania, è fra gli ultimi il 7° Rgt., di cui si sono salvati solo il
Comando di reggimento, il X° Btg. ed elementi vari; ma a Tobruk troverà un
Battaglione di complementi.
Marsa Matruk è abbandonata il 7
novembre e Passo Halfaya il 9, non essendo possibile imbastire una difesa sulla
linea Halfaya-Sollum.
Devota al dovere, la Divisione
Corazzata (si chiamava “corazzata”, ma non disponeva che di un solo reparto
autoblindo), “Giovani fascisti” (2 Btgg. “GG.FF.”, 4 gruppi autocannoni e
servizi), già dislocata nell’oasi di Siwa, riesce, percorrendo centinaia di Km
di deserto e spingendo a braccia gli automezzi insabbiati, a raccogliere i
presidi di Giarabub e di Gialo, rifornita solo, quando possibile,
dall’aviazione. Il X° Btg. Bers. (Ten. Col. Turrisi), dislocato a Sidi Omar, dà
sicurezza al deflusso verso nord-ovest dei GG.FF. e poi prosegue verso Bardia.
Fino ad Agedabia sono 750 Km in 10 giorni, mentre le truppe in ritirata da El
Alamein in 18 giorni percorrono 1200 Km. Il 13 novembre, sgombrate Tobruk,
Sollum e Bardia; il 18 evacuata Bengasi; l’8 dicembre combattimento di Marsa el
Brega; il 13 dicembre, abbandono d’El Agheila.
E’ la terza volta che, nel
destino di questa guerra a fisarmonica, le truppe ritornano sui propri passi:
Fra le unità di retroguardia non è più il 9°, per le considerevoli perdite
ridotto ormai a scarsi elementi.
Troviamo, invece, il 7°
Bersaglieri che, condotto con polso fermo e animo invitto dal Col. Straziota,
sempre geloso della coesione organica e spirituale dei reparti ai suoi ordini,
sostiene centinaia di Km di marcia nel deserto e combattimenti di retroguardia,
superando con la forza d’animo che viene da un insuperabile spirito di Corpo e
da una mai affievolita dignità di Patria, tutte le difficoltà derivanti dalla
deficienza d’automezzi e dalla difficoltà di rifornimenti.
I bersaglieri non si danno per
vinti e continuano a battersi in ritirata. Con provvida sollecitudine anche i
superstiti dell’8° Bersaglieri, che da Neofilia fanno da retroguardia alle forze
italo-tedesche, sotto l’impulso del Col. Gherardini riescono a riprendersi
moralmente attraverso facili scontri con avanguardie nemiche ed a
riorganizzarsi. La ritirata dei resti del glorioso “Dodicesimo” è condotta dal
Magg. Cavalieri, nel quale il senso dell’Onore è alto quanto il senso del
dovere.
Ma la situazione è disastrosa;
disastrosa, soprattutto, per la nostra povertà d’automezzi e la supremazia aerea
del nemico, il quale martella senza pietà nella desolata aperta piana. L’unica
speranza risiede nelle truppe in arrivo dall’Italia; ma gran numero di piroscafi
sono inabissati dal sempre più aggravato blocco.
Nel novembre, raggiungono per
via aerea la Tripolitania il comando del 5° Bersaglieri, con i Btgg. XIV° e XXII°,
mentre il XXIV° è già in Tunisia.
A metà dicembre, il 7° Rgt. si
raccoglie nella zona di Tripoli. Si tratta dei residui della battaglia di El
Alamein e della logorante ritirata: Compagnia Comando, X° e XI° Btgg.,
ricostituito quest’ultimo coni complementi ricevuti a Tobruk.
Per dar vita l’8° Rgt.,
pressoché annientato ad El Alamein e nella ritirata, si dispone che il “Settimo”
ceda in blocco ad esso i suoi Btgg.: X° (Col. Turriti) e XI° (Ten. Col. Lonzu),
i quali saranno raggiunti a Marsa el Brega dal LVII° Btg. (Magg. Bassi). Il 7°
Bersaglieri, privato dei suoi Btgg. organici, dovrà ricostituirsi con superstiti
di reparti disciolti e complementi. E’ così che, il 15 gennaio 1943, con i resti
dell’VIII° Btg. Corazzato ed elementi diversi è composto XII° Btg. (Magg. Amodei),
al quale si affianca il V° (Magg. Cavalieri), costituito anch’esso con i residui
di varie unità. Intanto, avendo il nostro Comando Supremo deciso il ripiegamento
in Tunisia, fuori della pressione nemica il movimento ha inizio il 6 dicembre e
sarà ultimato il 29.
In quest’ultima fase, disperata
più che drammatica, a un bersagliere, il Maresciallo Ettore Bastico, va il
merito di aver saputo salvare, col minimo sacrifico di sangue, notevole aliquota
delle forze italiane in ritirata. E’ di Rommel il riconoscimento: “In gran
parte fu merito suo (del Maresciallo Bastico) se l’Armata poté giungere
al Mareth senza lasciarvi troppe penne o immolarsi per un qualsiasi ordine di
bruciare fino all’ultima cartuccia”.
Vediamo così, alla fine del
1942, le animose logore schiere riuscite a sottrarsi alla cattura ad El Alamein
e impegnate poi nei combattimenti della Sirtica e sul Gebel, raccogliersi
con quelle giunte dall’Italia fra Mareth-Kabili-Gabés.
Il 15 febbraio 1943 le truppe
italiane (1° Armata) sono poste agli ordini del Generale (bersagliere) Giovanni
Messe, che tanta fama aveva acquistato in Russia.
In ogni soldato di questa
Armata sono vivi due sentimenti: amarezza per l’abbandono della Libia; fermezza
di propositi per il riscatto. Minorata nei mezzi di lotta più che nel morale,
l’Armata italiana deve opporsi alle provenienze da est, mentre la 5° Armata
tedesca già fronteggia le forze alleate in Algeria e Marocco. Il gruppo di
Armate (1° e 5°) è al comando, per alcuni giorni, di Rommel, poi del Generale
Von Armin.
L’Armata “Messe”, “detentrice
di tutte le tradizioni di dolori e di glorie trascorse sui campi di battaglia
dell’Africa Settentrionale”, è costituita da due Corpi d’Armata che non hanno
potuto rinsanguare del tutto le proprie stremate unità:
|
il XX° C.A., con le
Div. “Giovani Fascisti (Gen. Sozzoni, dei Bersaglieri); “Trieste” (Gen.
La Ferla, dei Bersaglieri) e 90° Rgt. Fanteria tedesca; |
|
il XXI° C.A., con le
Div. “Pistoia”, “Spezia” (Gen. Pizzolato, poi Scattini dei bersaglieri)
e 164° Rgt. Fanteria tedesca. |
Comprende inoltre: la 15° Div.
Corazzata germanica, il Raggruppamento Sahariano, la 19° Div. Contraerei
tedesca, un reparto esplorante e, all’inizio della battaglia del Mareth, la 21°
Div. D.A.K. (Corpo corazzato tedesco d’Africa).
La sua sfera di comando può
estendersi, altresì, alla Div. Corazzata “Centauro” (nucleo essenziale 5° Rgt.
Bersaglieri), che fa parte del XXX° C.A. italiano (a disposizione del Gen. Von
Armin), il quale comprende anche la Div. “Superga” (Gen. Lorenzelli, dei
bersaglieri) e il 10° Rgt. Bersaglieri.
I bersaglieri del 7° operano
prima con la Div. “Centauro”, poi con la Div. “Giovani Fascisti”.
Alle dipendenze della 5° Armata
tedesca agisce anche il LXX° Btg. bers. Motomitraglieri, il cui comandante,
Magg. Lanzavecchia, sarà fulminato da una raffica nell’atto di cercare il
contatto con gli Americani. Complessivamente, l’Armata “Messe” comprende circa
100.000 uomini, di cui una parte logora dalle precedenti tremende prove, l’altra
del tutto nuova alla particolare guerra africana.
Rapporto fra l’armamento
anglo-franco-americano e quello italo-tedesco: artiglierie: 2 a 1; aerei: 7 a 1;
Carri armati: 6 a 1.
Per quel che riflette la 1°
Armata, la difesa della Tunisia si svolge attraverso tre battaglie:
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di Mareth-El Hamma,
in cui l’offensiva nemica è in un primo tempo infranta, poi contenuta
(16-30 marzo); segue nostra manovra in ritirata; |
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dell’Akarit-Chotts,
nella quale l’8° Armata britannica ci costringe, bruciate le nostre
ultime riserve, a ripiegare ancora (5-6 aprile); |
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di Enfidaville,
che si effettua in due tempi: |
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nel primo (19-30
aprile), violenti attacchi nemici, stroncati da forze italo-tedesche; |
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nel secondo (9-13
maggio), capitolazione della 5° Armata tedesca e combattimenti dei
gloriosi resti dell’Armata italiana su due fronti: contro i britannici
che premono da est; contro gli anglo-americani che straripano da nord. |
Valorosa la condotta dei Rgt.
Bersaglieri 5°, 7°, 8° e 10° e reparti minori che, ovunque impiegati,
generosamente concorrono nel tentativo di sventare il disegno nemico facendo
muro sui capisaldi loro assegnati o su improvvisate postazioni.
Il Reggimento di bersaglieri
primo a schierarsi in Tunisia fu il 10°. A novembre del 1942, esso era già
dislocato nella zona di Diserta, a disposizione della 5° Armata tedesca. Era
composto dai Btgg. XVI°, XXXIV e LXIII°, 2 Compagnie moto (10° e 10° bis),
reparti di accompagnamento e controcarro. La sua prima brillante azione risale
al 2 dicembre, quando reparti del XVI° catturarono un folto gruppo di
paracadutisti inglesi e americani del Col. Raff, in un’ardita azione di
rastrellamento nella zona di Donar Cheti, facendo meritare al Reggimento un
encomio del comando della Divisione “Superga”.
Trasferimenti incessanti
disarticolarono più volte il Reggimento e continue azioni esplorative, di
resistenza, di contrattacco, lo dissanguarono. Alle dipendenze della Divisione
tedesca “Manteuffel”, ebbe ordine di espugnare, all’alba del 26 febbraio, il
Kef-Zilia a sud-est di Capo Serrat. Il terreno impervio rese assai ardua la
lotta contro fuochi organizzati di truppe algerine. Ferito il Comandante del
XXXIV° Btg., che aveva il compito più grave, il Comandante del Reggimento (Ten.
Col. Latini), facendo perno sulle posizioni di Kef el Rai raggiunte dal XXXV°
Btg., riprendeva l’attacco il 27, riuscendo a spazzare il Kef-Zilia e a
mantenere il possesso nonostante i reiterati contrattacchi del nemico, costretto
a un disordinato arretramento. Su questa posizione cadde il Ten. Francesco La
Fata, più volte colpito da baionetta e decorato di Medaglia d’oro al V.M.. A
titolo di riconoscimento, delle virtù eroiche dei bersaglieri, il Generale
Manteuffel volle personalmente consegnare la Croce di Ferro Germanica al
Comandante del Reggimento.
L’oscura lotta sostenuta dal
10° Reggimento contro truppe francesi di colore, battute sulla dorsale di Capo
Serrat e sul Massiccio di Kef el Kebir, fu resa più ingrata dall’avere
inopinatamente il Reggimento paracadutisti “Barentin” abbandonato la lotta,
scoprendo a sud lo schieramento dei bersaglieri che per disimpegnarsi dovettero
immolarsi senza misura, mentre i tedeschi, ripiegando, seminavano mine e
interruzioni, non preoccupandosi delle retroguardie italiane che a prezzo di
sangue avevano permesso il loro sganciamento.
Il “Decimo”, dopo aver
contrastato tenacemente l’avanzata nemica, poté tuttavia raggiungere attraverso
la boscaglia a nord della valle Sedjenane la nuova linea di difesa. Qui, i
superstiti, riuniti in un solo Battaglione, continuarono a battersi con la
Divisione “Manteuffel”, finché non furono raggiunti dai bersaglieri del 5° Rgt.,
provenienti dalla 1° Armata italiana, e dai marinai del Btg. “Grado”, già
impegnato nel settore della Divisione “Superga”.
Ottimo il comportamento dei
bersaglieri del 5° Rgt. alla loro prima prova. Il Comando del Reggimento ed i
Btgg. XIV° e XXII si erano trasferiti in gennaio a nord-ovest di Gabès
(Tunisia), alle dipendenze della “Centauro”, mentre il XXIV° Btg. e la 5°
Compagnia Bers. Motociclisti, sbarcati a Tunisi e Diserta l’11 dicembre, erano
stati messi a disposizione della 5° Armata Tedesca.
Il Comandante di Rgt. (Col.
Luigi Bonfatti), che ai primi di febbraio dispone del solo XIV° Btg. (Magg.
Ceccotti), riceve l’ordine di portarsi al Km. 35 della rotabile Gabes-Gafsa, per
partecipare all’azione controffensiva del D.A.K. contro le forze dell’8° Armata
britannica le quali tentavano di avvolgere da sud lo schieramento della 1°
Armata. Gafsa occupata tra l’entusiasmo degli indigeni: nemico in rotta;
bersaglieri all’inseguimento; anche Ferina e Thelepte superate. Contro il passo
di Kasserine, dove il nemico si è organizzato a difesa, è lanciato il Btg. di
Ceccotti, appoggiato da un Gruppo da 65/17 e una Compagnia Cannoni. Nonostante
l’impervio terreno e la fitta reazione di tutte le armi, dalla mitragliatrice al
grosso calibro, la Compagnia del sempre valoroso Cap. Todaro, seguita da
un’altra, riesce a conquistare l’obiettivo. “I soldati tedeschi presenti
all’azione, presi da irrefrenabile entusiasmo, gridano:
Bravi Bersaglieri, ciò che non
fummo capaci di fare noi, lo avete fatto voi!
Il Btg. persevera nell’azione
per qualche Km., ma poi, per non rimanere isolato, arretra. Di tale sosta
approfitta il Col. Bonfatti che, conquistato il Passo di Diesel Zebbensi,
intende rendersi personalmente conto della situazione, impedire al nemico il
ripiegamento e collegarsi, possibilmente, con le truppe tedesche della colonna “Menton”.
Salta in motocicletta e, con l’aiutante maggiore, un sottufficiale e un porta
ordini, supera i propri reparti e si spinge sulla pista Kasserine-Tebessa. Una
raffica proveniente dalla retroguardia nemica in ripiegamento lo fulmina e vane
sono le ricerche per recuperarne la salma, la quale sarà ritrovata giorni dopo.
“La mattina del 21 febbraio
1943 – scrive il Gen. Rommel – mi recai sul posto di Kasserine…..Da Bulowins
appresi che durante
l’assalto lo slancio dei Bersaglieri aveva dato eccellenti risultati.Purtroppo
il loro Colonnello era caduto in quell’azione”.
Il 21 marzo, al Ten. Col. De
Juliis che lo sostituisce è fissato come obiettivo l’Uadi el Hatobe, che è
occupato alle ora 4 del 22 dai bersaglieri, i quali hanno preceduto a piedi,
portando a spalla le munizioni, cannoni da 47/32 di cui hanno fasciato, come
alle artiglierie di Napoleone al Moncenisio, le ruote per non far rumore.
Il XIV° Btg. sta per prendere
posizione, quando improvviso si manifesta un attacco di autoblinde, tosto
seguito da una di grossi carri corazzati. Contro questi ultimi, nulla possono i
nostri proiettili da 47, che rimbalzano sulle corazze. Si spera nell’esito
favorevole della Colonna “Menton” contro il passo di Hamra; ma l’azione
fallisce. E poiché le nostre perdite cominciano a farsi pesanti, all’imbrunire,
il Btg. riceve l’ordine di ripiegare. Il nemico non ne dà il tempo: con mezzi
aerei (i famosi “Squadroni bianchi”), corazzati e blindati si avventa sui
bersaglieri che si difendono con intrepidezza, subendo perdite gravi. L’avere il
nemico sospeso l’azione, favorisce i nostri reparti che rompono il contatto e,
dopo qualche giorno, vanno a riordinarsi presso la propria base.
Schierando il grosso della sua
Armata sulle posizioni di Mareth, fronte a sud, Messe ha deciso di sbarrare a
Montgomery la porta naturale di accesso alla regione di Sfax, fra il mare e la
regione degli chotts.
Resistenza ad oltranza su quella linea che, prima di essere stata da noi
smantellata in seguito all’armistizio del 1940, era pomposamente chiamata “La
Maginot del deserto”.
Però dispone che sia resa più efficiente anche la seconda linea di resistenza:
lo sbarramento dell’Akarit. Intanto, il comando del 5° Bersaglieri è assunto dal
Col. Ramondini il quale, con i resti del XIV° Btg. , ormai ridotto alla forza di
una Compagnia, si porta il 13 marzo sul rovescio delle posizioni di El Guettar,
dove è schierato, con la “Centauro”, il XXII° Btg., già impiegato sul fronte
della 5° Armata. [L’altro Btg., il XXIV° (Magg. Testa), con la 5° Compagnia bers.
motociclisti (Cap. Romagnoli), era dislocato nel settore di Kairouan (5°
Armata), affidato al Generale (bersagliere) Arturo Benigni].
Dopo una nostra fallita azione
offensiva, alla quale era venuta a mancare la sorpresa (non si sa ancora se –
scrive Messe – “per
indiscrezioni nostre, leggermente sfuggite in alto loco”),
alle ore 20 del 16 marzo si pronunciarono i primi tentativi di “commandos” e
sabotatori dell’8° Armata britannica. L’urto “del
miglior strumento di guerra che abbia mai posseduto l’Impero Britannico”
– come ebbe a definirlo in un proclama lo stesso Montgomery – che contava
migliaia di aerei, cannoni, autoblinde, carri e decine di migliaia di automezzi,
fu contemporaneo a quello del II° Corpo Americano, che aveva il compito di
cadere sulle retrovie della 1° Armata, dopo aver travolto nella zona desertica
di Gafsa, la “Centauro”. Una insidiosa manovra di attanagliamento rivolta contro
l’Armata di Messe.
Ad El Guettar, nonostante il
loro moderno ed esuberante armamento, gli americani “non riuscirono a progredire
di un passo” e per dodici giornate “che valgono da sole tutta un’epopea”
(Messe), furono annientati dal valore della “Centauro” che, su un fronte, di 70
Km, poté resistere anche per l’indomito valore del 5° Rgt. Bersaglieri. Solo il
31 marzo, quando la situazione è ristabilita dall’intervento di mezzi
controcarro della 21° Divisione Corazzata tedesca, i superstiti della
“Centauro”, riuniti in un Gruppo di combattimento affidato al valoroso Col.
Ramondini, si affiancano alla 10° Divisione Corazzata Germanica. Ma, il 2
aprile, gli smilzi due Btgg. bers. (XIV° e XXII°) sono ancora “gettati nella
fornace”. Poi, perdurando la schiacciante superiorità materiale dell’avversario,
i sopravvissuti della “Centauro” ripiegano su Sfax.
Il XXIV° Btg. e la 5° Compagnia
moto, già logorati da azioni svolte alle dipendenze della 5° Armata germanica,
nella terza decade di gennaio avevano partecipato, con perdite, ad una azione
offensiva nella zona di Halfa. Alla fine di Marzo, il XXIV° Btg., rinsanguato da
complementi, e la 5° Compagnia moto, insieme a elementi del 10° Bersaglieri,
costituiscono riserve mobili. L’8 di aprile, in seguito allo sfondamento di
posizioni tenute dai tedeschi, il XXIV° è destinato a tamponare la falla. Dopo
aver contenuto l’attacco di un Battaglione di marocchini, il Btg. ripiega su una
linea più robusta, ma qui, l’11 aprile, è sopraffatto e, il 18, i 200
bersaglieri superstiti, condotti dall’avveduto valore del Magg. Rotelli,
possono, con la 5° Compagnia moto (Cap. Romagnoli), ricongiungersi al Comando
del Reggimento, arretrato il 3 aprile sulla linea di Enfidaville e passato
anch’esso alle dipendenze della 1° Armata Italiana.
Anche il 7° Bersaglieri in
azione. Il 15 di febbraio, vediamo il glorioso Reggimento già all’opera con la
“Centauro”. In una missione esplorativa affidata alla 3° Compagnia del V° Btg.
sulla strada Telepte-Tebessa, è ferito il Magg. Cavalieri, un Ufficiale di
eccezione, un Comandante nato, che con esemplare coraggio e senso di
responsabilità precedeva il Reparto. Agli ordini del Comandante di Reggimento
(Col. Straziota) un’azione di forza è tentata dal XII° Btg. rinforzato verso Bu
Scebca, al confine fra Tunisia ed Algeria; ma ostacoli passivi e sbarramento di
artiglieria causano perdite così gravi che è giocoforza desistere. All’inizio
della battaglia del Mareth, il Comando di Reggimento e il V° Btg., che ha
rigettato a Gafsa un attacco di camionette e mezzi cingolati, sono sganciati
dallo schieramento della “Centauro” e spostati nel settore dell’8° Reggimento
Bersaglieri, alle dipendenze tattiche di quel Comandante. Dopo due ore di
preparazione, alle ore 23 del 16 marzo, preponderanti forze britanniche
sostenute da carri ingaggiano la prima battaglia di Tunisia. Si combatte nei
giorni 17 e 18 senza che il nemico riesca a passare. La sera del 20, dopo un
giorno di sosta, carri, fanti e fuoco di artiglieria investono i capisaldi
tenuti dai Btgg. X° e XI° dell’8° Reggimento. Ed è qui che entra in azione il V°
Btg. del 7° Bersaglieri.
Mirabile il comportamento della
Divisione “Giovani Fascisti” o “Bersaglieri d’Africa”. Gli inglesi attaccarono
alle ore 01.15 del 21 marzo. Precedute da una sconvolgente preparazione di
artiglieria e mascherate da lanci di nebbiogeni, enormi masse, in gran parte
corazzate, si avventarono contro la linea presidiata dalla Divisione, sulla
quale gravitò l’urto, che si estese alle Divisioni “Trieste” e 90° Tedesca.
La Divisione “Giovani Fascisti”
– scrive il Ten. Col. Giovanni Lonzu, provato Comandante dell’XI° Btg. Bers. –
“era un formidabile complesso di cuori e di acciaio, formato da veementi
bersaglieri dell’Ottavo, che avevano più volte assaporato l’ebbrezza della
vittoria a El Mechili, Bir Hacheim, Tobruk, Marsa Matruk e ad El Alamein; dai
giovanissimi eroi di Bir el Gobi, Ain el Gazala, Marsa el Brega, Antelat-*Sian,
Buerat e Takrouna; dagli intrepidi fanti del IX° Btg., che al comando del Ten.
Col. dei bersaglieri, Gelli, avevano riconquistato Giarabub e frantumato il
nemico a Gialo; dai giovani e ardenti assaltatori del Battaglione “Ariano”,
anelanti di finalmente battersi nella viva gloria della battaglia, e da
mitraglieri, autoblindisti, artiglieri, genieri, guastatori e autieri, tutti
combattenti meravigliosi”.
Fin dall’inizio della lotta, il
maggiore accanimento si manifestò contro gli animosi bersaglieri del Col.
Gherardini (Aiutante Maggiore, il Magg. Tullio Sturchio), che saldavano lo
schieramento al mare. Sfidando valanghe di proiettili e di carri, l’Ottavo reagì
all’italiana: bombe e baionette. Tutte le posizioni inviolate o riconquistate.
Nella notte, ostinandosi nell’attacco, il nemico riuscì ad intaccare in qualche
tratto il fronte difeso dai bersaglieri e dai “Giovani Fascisti”, “che subirono
falcidie simili a quelle inflitte al nemico” (Messe), ma nella giornata del 22
un contrattacco della 15° Div. Corazzata tedesca e di reparti bersaglieri spazzò
i britannici.
Per i capisaldi erano stati
scelti nomi suggestivi: “Biancospino”,
come fosse coronato davvero non da filo spinato, bensì da arboscelli pungenti di
cui prendeva nome; “Larice”,
ma non larice maschio dalle foglie caduche, bensì femmina, dalle foglie perenni,
dai fiori color porpora e dal legname che mai si fende, sicché dicono essere
eterno; “Tiglio”,
anch’esso dalle foglie appuntite e dalla fibra dura e resistente, come la fibra
della carne coriacea del bersagliere, che al dente non cede. Il “Biancospino” e
il caposaldo “P.due” affidato al X° Btg.; “Larice” (“P.uno”) e “Tiglio” (“P.uno
bis”) all’XI° Btg., mentre il LVII° Btg., passato il 18 marzo in 2° Scaglione,
presidiava i capisaldi di “A.uno” e “A.due”, fra i quali stava il Comando di
Reggimento. E, attraverso quei fortilizi resi incandescenti dallo spirito di
Lamarmora, il nemico non passò.
Ma se i bersaglieri dell’8° Rgt.
resistono, cedono di schianto due posizioni adiacenti, “Betulla “ e
“Biancospino”, tenute da 5 Compagnie del Rgt. tedesco “Granatieri d’Africa”, ed
il nemico può prendere di rovescio il caposaldo “Trifoglio” presidiato dal X°
Btg., che è sommerso dopo furibonda lotta. Gli inglesi si gettano allora sul
caposaldo dell’XI° Btg., ma il tentativo è infranto. Ai primi albori, al V° Btg.
(riserva del XX° C.A.) è dato il compito di attaccare il caposaldo “Betulla”.
Agli ordini del Cap. Givone, i nuclei fucilieri delle Compagnie 1° e 2°, pur
sottoposti a tre ore di intenso fuoco di artiglieria e mortai, si lanciano
contro le trincee nemiche a colpi di baionetta e bombe a mano tentano di
impossessarsene. Ma sono annientati dal fuoco di mitragliatrici, artiglieria e
pezzi di bordo di carri armati. Attori di episodi eroici sono pure due plotoni
fucilieri della 3° Compagnia, trascinati dal Ten. Guindani, né il generoso
sacrificio è sterile di risultati, poiché al nemico è inflitto un tempo di
arresto.
Il mattino del 22, sopraffatto
il caposaldo “Timo 2”, l’attaccante prova contro il “Timo 1”. E’ respinto. Nella
stessa giornata la 15° Divisione corazzata germanica contrattacca e gli inglesi
sono ricacciati dai capisaldi “Betulla”, “Trifoglio”, “Tamarindo” e “Timo 2”,
mentre il “Biancospino” sarà rioccupato da arditi e “Giovani Fascisti” il giorno
24. Su questo importante settore, la reazione delle armi italiane aprì vuoti
spaventosi nelle schiere nemiche, distruggendo numerosi carri. Per tre giorni –
21, 22, 23 marzo – incessante fu contro i bersaglieri dell’8° il martellamento
delle artiglierie e l’urto dei mezzi corazzati. Tuttavia, ripetuti contrassalti
del LVII° Btg. (Magg. Bassi) riuscirono ad infrangere ogni tentativo avversario
anche ai capisaldi “A. uno” e “A. due” avvolti e isolati.
“L’XI° Btg. – ricorda il Ten.
Col. Lonzu – era rimasto circondato per quattro giorni e quattro notti; ma,
nonostante il gravissimo contributo di sangue, i continui ed esasperanti assalti
e gli incessanti e terrificanti bombardamenti, non aveva ceduto al nemico né un
uomo né un’arma né un palmo dei suoi sconvolti reticolati. Era quel Battaglione
di prodi che occupava le posizioni più avanzate e che i comandi ed i commilitoni
lontani, ammirati e commossi per tanta sublime dedizione, avevano denominato dei
“Morituri del Mareth”, e del quale i commentatori della radio italiana di quel
26 marzo avevano detto al mondo: “Tanto
epica e sovrumana fu la resistenza di quegli eroici bersaglieri che a tutti
sembrò che anche i morti avessero fatto insormontabile barriera con i vivi!”
Le perdite del Reggimento furono estremamente gravi; per fornire un’idea
approssimativa di quanto fu rovente e disperata l’impari lotta è più che
eloquente il fatto che l’XI° Btg. – additato all’ammirazione di tutta l’Armata
italiana in Tunisia – nei quattro giorni consumò oltre centomila cartucce, circa
duemila colpi da pezzo controcarro e più di duemila bombe a mano, ed ebbe quasi
la metà degli uomini morti o feriti”.
La spaventosa lotta durò sei
giorni. “Ammucchiati i cadaveri inglesi di fronte ai nostri capisaldi”;
annientate Unità famose, come la “Brigata Guardie”, i Btgg. “Black Watch” e
“Durham Light” delle Div. 30° e 51° ; ridotti in briciole I 50 carri della 23°
Brigata Corazzata.
Il Maresciallo d’Italia Messe,
commentando la sconfitta inglese scrive: “Nella battaglia di Mareth, le
Divisioni italiane le quali costituivano i due terzi del XX° C.A., che ebbe a
sopportare tutto il peso dell’attacco, combatterono con grande valore e
magnifico slancio, superando in bravura i tedeschi…. Ben diverso epilogo avrebbe
potuto avere l’azione (contrattacco della 15° Div. Cor. tedesca) se questa
incrollabile barriera di punti di appoggio fosse caduta in mano al nemico… Tutte
le truppe italiane tennero meraviglioso contegno,
ma una parola di particolare
elogio va all’eroico 8° Bersaglieri che superò se stesso”.
E accennando al comportamento della truppa soggiunse: “Durante il furibondo
attacco inglese alla posizione di resistenza della Div. “Giovani Fascisti”,
episodi epici hanno perfino indotto l’Ufficiale di collegamento germanico presso
il Comando del XX° C.A. a segnalare l’ammirazione dei reparti tedeschi che ne
erano stati testimoni; gruppi di pochi uomini rimasti a sparuto presidio di
capisaldi circondati dal nemico, esaurite le munizioni, rifiutano l’intimazione
di resa e si difendono fino all’estremo a colpi di bombe; Ufficiali cadono alla
testa delle formazioni d’assalto, dopo aver dichiarato: “O
prendo l’obbiettivo o non ritorno”;
capisaldi parzialmente sommersi declinano l’offerta di rinforzi alleati e
ripristinano la situazione da soli con la lotta a corpo a corpo…:
è, in definitiva, una vera
pagina di gloria, degna delle migliori tradizioni dell’Esercito Italiano”.
Fu, appunto, per la sconfinata
abnegazione dei suoi uomini, i quali tennero le proprie posizioni “oltre
i limiti delle possibilità umane”,
che l’8° Reggimento bersaglieri, “due volte sacrificatosi nell’estremo
olocausto, due volte risorto”, uscì dall’atmosfera da Apocalisse del Mareth con
un Battaglione di meno, il X°, e una seconda medaglia d’oro al valor militare
collettivo. Medaglia che nel suo significato simbolico racchiude l’abnegazione
di oscuri piccoli eroi, di tutte quelle “Fiamme Crèmisi” che - scrive il Ten.
Col. Lonzu - “avevano combattuto con vigoroso accanimento e si erano
generosamente prodigate in una disperata gara di tenacia e di ardimento dalla
quale scaturirono in numeri episodi di fulgido eroismo. E qui il cuore si volge
memore e commosso a Berardi, da Genova, che fu unanimemente riconosciuto per “il
leone del caposaldo Tiglio” e morì baciando una bandierina tricolore donatagli
dalla mamma, e che, prima di spirare raccomandò di dire al suo piccolo Silvano
di “amare sempre
l’Italia e di fare il Bersagliere”;
a Marani, siciliano, che esalò l’ultimo respiro canticchiando sommessamente una
nenia alla sua bambina lontana; a Ranelli, abruzzese, che collezionò sette
prigionieri presi nella morsa delle sue ferree mani e morendo rincuorò i
commilitoni lacrimanti per lui, dicendo: “Su,
non siate tristi, questa è la morte bella per un Bersagliere”;
a Bassi, da Peschiera, magnifico Comandante del LVII Btg., che ormai circondato
e senza scampo piuttosto che arrendersi gridò forte: “Morto
si, vivo no!” e
riuniti alcuni animosi si scagliò sugli assalitori ed a furia di bombe e di
pugnale riuscì a liberarsi ed a raggiungere un caposaldo più arretrato; a
Jattrino, da Ferrara, che col suo plotone sgominò una Compagnia che aveva
accerchiato due nostre batterie; a Cioci, da Torino, che quando una ventata di
granate gli asportò netto un piede, non profferì lamento ma disse solo: “Ho
dato ben poco, ma spero che nel suo volo il mio piede abbia almeno incontrato un
volto nemico!”
(L’avere avuto un piede asportato da una granata nemica sul Mareth, non impedì
al Cioci di guadagnarsi, un anno dopo, la Croce di ferro tedesca per il valore
dimostrato nella Battaglia di Nettuno); A Ferrari, Ingeo, Angeletti, Corti,
Buccarelli, Romano, Todeschini, Luppatelli, Rinaldi, Regis, Pastorino, Salerno,
Pini, Gicca-Palli, Murtas, Ziccorelli, Vincitorio, Mugnone, Giovannelli, Lanti,
Cappabianca, Casamassima, Staffieri, Scuderi, Guiso ed ai tantissimi altri
caduti e sopravvissuti”.
Le posizioni affidate al nostro
“impareggiabile
soldato”, ristettero
infrangibili anche nei successivi veementi attacchi sferrati a prezzo di
sanguinose perdite e d’enorme consumo di munizioni: 100.000 colpi d’artiglieria
e mezzo milione di bombe d’aeroplano. Sotto quell’uragano il nostro soldato
rimase inchiodato alle armi, solidificato col terreno, senza bisogno delle
cupole corazzate di Singapore. Ma se del vasto orizzonte della battaglia del
Mareth non è facile seguire gli incessanti atti di valore dei bersaglieri,
onesto è affermare che alla pienezza della vittoria non poco influì il fascino
personale e l’eccezionale talento operativo di Giovanni Messe; il simbolo dei
superstiti arditi nella Prima Guerra Mondiale, il vittorioso a 40 sottozero e a
40 soprazero nella Seconda Guerra Mondiale, nonché l’incitamento vivo e il
fulgido esempio del Colonnello bersagliere Giuseppe Follini, Vice-Comandante
della Divisione “Giovani - Fascisti”, più volte lanciatosi, con le sue sette
medaglie d’argento, al contrassalto; la fede del Col. Gherardini, coraggioso
come all’Ortigara e ad El Alamein; l’intrepidezza del Ten. Col. Giovanni Lonzu,
Comandante dell’XI° Btg., fermo sull’inviolato “Larice” come una rupe della sua
Sardegna, e la decisa condotta di tutti gli Ufficiali e gregari coinvolti nella
Battaglia.
Pur essendo rimasto pressoché
intatte le posizioni della 1° Armata, il Gen. Von Armin, per avvenimenti
sfavorevoli nel nord tunisino (5° Armata), ordinava il 24 marzo a Messe, che –
secondo i commenti inglesi – aveva “malmenato
le unità britanniche in modo imprevisto”,
di ripiegare sulla linea dell’Akarit. Il delicato movimento fu compiuto in
quattro giorni, “con esattezza prodigiosa”: un’altra delusione per Montgomery!
Anche i Reggimenti Bersaglieri ripiegarono ordinatamente fra il 25 e il 29
marzo.
Il 28 marzo, il V° Btg. è
ritirato dalle linee ed avviato nella zona dell’Akarit. Resta a disposizione
dell’8° Bersaglieri. Il 1° aprile, il Comandante del “Settimo” si porta al
centro d’istruzione di Kelibia, dove è raggiunto dai superstiti del XII° Btg.,
che aveva anch’esso combattuto sulla fronte di Gafsa contro forze americane,
facendosi massacrare piuttosto che cedere. Particolarmente risoluta la 7°
Compagnia, comandata dal valoroso Ten. Cecconi: una cosa sola col suo reparto e
col suo mitra. Questa Compagnia non solo si scrollò più volte da dosso il
nemico, ma agguantò anche un centinaio di prigionieri.
Il 13 aprile, un Btg. di
bersaglieri, ultimo giunto dall’Italia, èd dato in rinforzo alla Divisione
“Pistoia”. Aveva così termine, dopo quindici giornate, la memorabile battaglia
vittoriosamente combattuta sulla linea del Mareth e che a Churchill fece
dichiarare ai Comuni: “La
testa di ponte costituita a prezzo di sangue dall’8° Armata sulle posizioni
nemiche, è stata eliminata dal contrattacco germanico”.
Per il ferito orgoglio inglese era necessario dire al mondo che i grandi
capitani di S.M. Britannica avevano avuto scacco matto non da Generaletti e
truppaglia italiani, bensì dalla “Volpe
del deserto” e dalle
grandi Unità corazzate germaniche. Mascherate l’umiliazione con l’ala del mito.
La sanguinosa prova dell’Akarit
e degli “Chotts” già in partenza non presentava fauste prospettive. Basti un
dato: rapporto fra i carri armati: 16 contro 450.
Nella notte sul 6 aprile una
sconvolgente preparazione d’artiglieria e d’aviazione annunciò l’attaccò. Lo
sforzo principale, esercitato anche qui contro il XX° C.A., determinò nello
schieramento della “Trieste” una pericolosa inflessione; ma l’intervento della
15° Div. corazzata turò la falla.
Seguirono reiterati attacchi
sul fronte della “Spezia” e della 90° Div. tedesca, fino a che lo schieramento
si spezzò. Gravi perdite subirono i bersaglieri, ma non inferiori a quelle
inflitte all’attaccante. Nella relazione Ufficiale presentata nel febbraio 1948,
il Maresciallo Alexander, riferendosi alla battaglia dell’Akarit, scrive: “La
battaglia dell’Uadi Akarit durò solo un giorno, ma il combattimento fu descritto
dal Gen. Montgomery come il più duro e il più selvaggio d’ogni altro dopo El
Alamein. Attacchi e
contrattacchi si scontrarono sulle colline e tanto i tedeschi quanto gli
italiani dimostrarono una grande determinazione animata da un intatto morale”.
Dopo aver imposto al nemico un
arresto di 24 ore, Messe ordinò di ripiegare sulle posizioni d’Enfidaville. A
contatto del nemico furono lasciate delle retroguardie motorizzate, mentre lo
sfilamento del grosso era garantito da bersaglieri piantatisi fra Sfax e Scusse.
Si trattava dei “Bersaglieri
d’Africa” di Sozzoni
e di Follini, di cui era parte essenziale l’8° Bersaglieri di Gherardini,
rinforzato quest’ultimo dall’ardore combattivo del V° Btg. del 7°, il cui
Comando (ferito il 27 marzo il Cap. Pasquini) era stato assunto dal Magg. Ezio
Greco, al quale fu affidata l’estrema ala sinistra (fronte a mare), mentre il
XII° Btg. si schierava sul fronte di Gafsa.
Il ripiegamento dell’Akarit
segnò per il “Settimo” gli ultimi sprazzi di vita e d’onore. Il 24 aprile, a
Kelibia (Capo Bon), il Reggimento fu sciolto e il Magg. Greco, reduce da varie
azioni valorose, passò a disposizione della Div. “Spezia” (Gen. Scattini
[bersagliere]), della quale il Col. Straziota era stato nominato
Vice-Comandante, mentre i resti del V° Btg. (4 subalterni e 80 bersaglieri) e
del XII° Btg. (aiutante maggiore e 80 bersaglieri) furono incorporati nell’8°.
Gocce d’olio ad una lampada che si estingue. Così finiva il 7° Reggimento, che
in soli quattro mesi di campagna in Tunisia aveva perduto in combattimento il
60% della forza. Dopo 24 mesi di lotta nel deserto, “tre
volte ricostituito”,
il 7° era sciolto, ma una medaglia d’oro al valore collettivo premiava la
costante sua abnegazione.
La lotta aveva ormai il destino
segnato. Anche la 5° Armata tedesca in ritirata. “Le due Armate ripieganti,
restringendo i loro fronti, marciavano verso la fine della loro esistenza…
Nessuna fiamma animatrice avrebbe potuto alimentare lo spirito dei Comandi e
delle truppe; un nemico strapotente incalzava da ogni parte e convergeva i suoi
sforzi sul fronte; a tergo il mare; scarse le munizioni; nessun aiuto dal cielo
e dalla terra…
La 1° Armata italiana, che pur
ridotta agli avanzi di “pochi smilzi Battaglioni e sparute batterie” il nemico
“apprezza e teme”, si va a schierare sulla terza linea di resistenza:
Enfidaville.
Dal mare, il fronte dell’Asse è
così imbastito: 90° Div. tedesca (estrema sinistra), Divisioni “Giovani
Fascisti” (ancora abbastanza efficiente), “Trieste” (ridotta a due terzi),
“Pistoia” (ridotta ad un terzo), 164° Div. tedesca, “Spezia” (quasi
inesistente), elementi del D.A.K.. Sciolta la Div. Cor. “Centauro”. Due esausti
reparti, il XXIV° Btg. bers. (Magg. Rotelli) e la 5° Compagnia moto, dopo varie
cruente vicende nelle quali, quando a servizio dei Tedeschi, quando agli ordini
del XXX° C.A., avevano svolto le più ardite ed estenuanti attività esplorative,
di tamponamento, di contrattacco, contro americani, francesi, marocchini, solo
il 18 aprile riescono a ricongiungersi con il Comando del 5° Rgt. Bersaglieri,
alle dipendenze della 1° Armata. Con quegli scarsi avanzi, il Reggimento si
ricostituisce su due Btgg.: XXII° e XXIV°, passando a far parte, con i suoi 500
uomini, della riserva d’Armata.
A quota 141, su capisaldi
improvvisati, quali “frangiflutti proiettati oltre la posizione di resistenza”,
è l’8° Bersaglieri, ridotto a due Btgg., il LVII° e l’XI° (Cap. Ronzoni). Altro
generoso sangue è profuso; ma la Div. “Bersaglieri d’Africa” è più volte citata
negli ultimi bollettini della guerra tunisina.
Alle 21.30 del 19 aprile, un
tremendo tambureggiamento annuncia un nuovo attacco dell’8° Armata. Inizia la
prima battaglia di Enfidaville. Anche qui l’urto maggiore contro le Divisioni
“Giovani Fascisti” e “Trieste”. L’eroico I° Btg. del 66° Rgt. fanteria (Magg.
Politi), rinforzato da 2 Compagnie di “Folgorini”, un reparto di granatieri e
una ventina di tedeschi, resiste superbamente per due giorni a una Divisione
neozelandese sull’impervio pilastro di Takrouna, su cui, il giorno avanti, il
Bersagliere, Generale La Ferla, ha consegnato al Comandante del presidio, in
nome della Patria, le bandiere italiana e tedesca. Nel complesso, un vero scacco
è inflitto agli attaccanti. Accusa il colpo anche Radio Londra, la quale
definisce la battaglia di Enfidaville come “la
più dura che l’8° Armata abbia mai combattuto in Africa”.
Dopo l’episodio del Takrouna,
il centro della lotta si sposta nel settore costiero. Protagonista la Div.
“Giovani Fascisti” che “conferma la fama che si era conquistata in due anni di
dura campagna d’Africa” (Messe). Alle prime luci del 25 aprile, la 2° Compagnia
“Giovani Fascisti”, animata dall’ardore del Col. Follini (Alla fine della guerra
sul petto del Vice-Comandante della Div. “Bersaglieri d’Africa”, Gen. Giuseppe
Follini – Eroe di Passo Buole nel 1916 – sono l’Ordine militare di Savoia, sette
medaglie d’argento, tre medaglie di bronzo e alcune croci di guerra, a parte le
numerose ferite, due promozioni per merito di guerra e la Croce di ferro
germanica.), attacca le opposte posizioni gettando il panico e arrecando
sensibili perdite fra le file degli inglesi che abbandonano i propri
trinceramenti. Ma poi ritornano più numerosi e più aggressivi che mai. Il cuore
dei bersaglieri e dei “Giovani Fascisti” sopravvissuti non indulge alla
disperazione; gli uni e gli altri non si lasciano sommergere; confusi con i loro
morti, rimangono sulla quota 141 sin oltre la fine della battaglia, tanto da
strappare parole di ammirazione al Comandante di Corpo d’Armata inglese che,
dopo la resa, ebbe a domandare se quegli uomini non fossero dei “diavoli”. Ma se
in un nembo di gloria scompare l’8° Bersaglieri – il Reggimento delle due
medaglie d’oro – anche il nemico ha i suoi dolori: 4° Div. Indiana e 2°
Neozelandese “fuori uso”. Due anni di cocenti sconfitte.
Benché più volte sorpreso dal
tacito ripiegamento dei tedeschi, pagine di dedizione scrivono pure il 5° e il
10° Rgtt. Bersaglieri. Reduce dall’eroica resistenza di El Guettar-O. Alfaya con
la Div. Cor. “Centauro”, nella notte sul 26, il 5° Bersaglieri è posto alle
dipendenze della Div. Cor. “Manteuffel”. Il Reggimento, che il Gen. Messe vede
partire con “vera
angoscia” non
essendo stato ancora rinsanguato dai bersaglieri del disciolto 7° Rgt., va a
schierarsi coi resti del 10° Bersaglieri a occidente di Biserta, dove gli sarà
sottratta dai tedeschi anche la Compagnia cannoni controcarro.
Contro la 5° Armata germanica,
che pare conduca ormai le operazioni svogliatamente, il primo colpo è inferto
nel settore costiero settentrionale, tenuto – ricorda il Maresciallo Messe – da
un complesso raccogliticcio di reparti tedeschi di varia natura e provenienza.
In esso sono stati incastrati appunto i residui del 5° (500 uomini) e del 10°
Bersaglieri (8oo uomini). Entrambi i Reggimenti “si prodigano fino
all’esaurimento”, fronteggiando il peso di combattimenti inadeguati e cercando
di manovrare per non lasciarsi coinvolgere nel movimento retrogrado che lo
sviluppo della lotta aveva imposto ai Reggimenti tedeschi vicini: movimento il
più delle volte effettuato alla chetichella (come in Russia) e che i Comandi
Germanici chiamavano “guerra elastica”, formula pleonastica di flagrante
“abbandono di posizione”, spesso piantando gli italiani, ignari, in condizioni
critiche:
Il 23 aprile, è lo sfondamento
delle linee della 5° Armata. Sopraffatto dagli avvenimenti, il Generale Von
Armin chiama a sé la 15° Div. Cor. ed il V° Btg. bersaglieri – uniche forze di
riserva della 1° Armata – subito seguiti dalla 7° Div. Cor., senza riuscire,
peraltro, ad arrestare il corso degli eventi. La sera del 30, pur ridotto ad una
striminzita Compagnia fucilieri, il 5° Rgt., nel suo destino legato al 10° Rgt.
(anch’esso della forza di una Compagnia), continua a battersi con accanimento
per non farsi sommergere dal nemico dilagante in seguito all’inopinato
ripiegamento delle vicine unità tedesche, ormai propense ad arrendersi.
Irreparabile appare la sorte di tutti. (Negli ultimi giorni della battaglia
tunisina, assunse il comando dei gloriosi resti dei Reggimenti 5° e 10° il Magg.
Mario Romagnoli, che aveva già preso viva parte alla Campagna di Albania –
Grecia – Jugoslavia).
Il 6 maggio, Von Armin ordina
alla 1° Armata di resistere sul posto e alla 5° Armata di arretrare a ovest di
Tunisi. Rinuncia alla lotta. Segue uno sbandamento della Goring, che rende ancor
più convulsa la ritirata della 5° Armata, presa da collasso morale, mentre la 1°
Armata viene a trovarsi col fianco destro scoperto. Avendo il Comandante del
D.A.K. declinato l’invito rivoltogli dal Comando della 1° Armata di costituire
un unico ridotto nel quale schierare tutte le forze dell’asse per l’estrema
resistenza, Messe rinnova alle sue truppe la consegna di resistere sino
all’ultimo uomo e dà tempestive disposizioni per combattere anche a fronte
rovesciato. E’ la fine. Aviazione dell’Asse scomparsa; trasmissioni radio
cessate; munizioni per bocche da fuoco esaurite nei depositi. In compenso, un
diluvio di bombe e di granate sulla 1° Armata, che si restringe alla base della
penisola di Capo Bon. Ma, nonostante il bombardamento torrenziale e lo
spettacolo delle truppe tedesche sbandate che volano con ogni mezzo verso il
Capo Bon nella illusione di potersi imbarcare, i soldati italiani conservano
“contegno mirabile per disciplina e dignità”.
Caduta la difesa tedesca alla
stretta di Hamman Lif, la 1° Armata può dirsi ormai accerchiata. Tuttavia, la
lotta durerà ancora tre giorni. Siamo alla seconda battaglia di Enfidaville. La
5° armata tedesca, che aveva finito col raccogliersi attorno a Diserta, si era
arresa il 9 maggio. Il suo comando e quello del D.A.K., si erano però affiancati
al Comando della 1° Armata, resistendo fino alle ore 18 dell’11 maggio. Ma –
come ricorda il Maresciallo Messe – “gli elementi italiani inseriti in
quell’Armata (5°), costituiti dal Reggimento “San Marco” e dai resti del 5° e
10° Rgtt. Bersaglieri, decidevano di proseguire la lotta dopo la resa dei
tedeschi e continuarono a combattere fino ad esaurimento delle munizioni”.
Alle ore 19 del 10 maggio, lo
sbarramento mobile sulla linea Grombalia- Hammamet, affidata dal Gen. Messe al
Raggruppamento Esploratore Corazzato “Lodi”, rinforzato da un Btg. bersaglieri
motomitraglieri, viene a contatto di forze corazzate americane e le respinge.
Autorizzata a ripiegare, la formazione continua a coprire sul tergo lo
schieramento della 1° Armata. Il giorno 11, intanto che le Divisioni 15°
tedesca, “Manteuffel” e “Goring”depongono le armi, il Col. Lequio, con il
“Lodi”e bersaglieri motomitraglieri, si batte a nord-ovest di Bou-Ficha,
assolvendo ancora il compito di retroguardia dell’Armata italiana. Alle 18, Von
Armin si consegna al nemico; nella notte si arrende il D.A.K. I tedeschi non
sparano più. A chiudere il “ridotto” sul lato ovest, sono allora i resti della
Div. “Spezia”, condotti dal Bersagliere, Gen. Arturo Scattini.
Il giorno 12, aumenta sul
fronte sud la pressione nemica; anche la 90° Div. tedesca è in preda a collasso.
“Lodi” e motomitraglieri, sotto la inarrestabile spinta degli Americani e degli
avvenimenti, ripiegano e si schierano sul lato nord del “Ridotto”. Nel
pomeriggio crolla pure la 90° Div. leggera tedesca. La battaglia si spegne.
L’ultimo cannone rimasto a tuonare è italiano, l’ultima bandiera ammainata è il
tricolore. “Ultima e sola”rimane l’Armata del Bersagliere Messe che
per vincere la guerra si
sarebbe alleato anche col diavolo.
Alle 19.30 ordine del Comando Supremo: “Cessate
il combattimento”.
Alle ore 13 del 13 maggio 1943, quel che rimane della 1° Armata italiana abbassa
le armi. Spenti tutti i fuochi e fine delle operazioni in Africa Settentrionale.
Così il Magg. Mario Romagnoli,
ultimo Comandante dei resti del 5° e 10° Rgtt. Bersaglieri racconta la sua resa
e quella dei suoi uomini: “… La resa fu degna delle nostre tradizioni. Il nemico
(truppe americane) inviò un parlamentare con bandiera bianca, accompagnato da un
Ufficiale tedesco con l’ordine di resa emanato dal Comandante della piazza di
Biserta. Ero in posizione con i superstiti di due Reggimenti, circa 600 uomini,
su di una piccola quota. Il parlamentare mi invitò ad andare da lui. Rifiutai.
Se voleva parlarmi doveva venire lui da me. Venne. Mi intimò la resa mostrandomi
l’ordine del Generale Comandante la piazza di Diserta. Rifiutai la resa
incondizionata ed esposi le mie condizioni. Il parlamentare se ne andò. Riunii i
bersaglieri, feci loro un breve discorso. Lacerai la bandiera, dopo averla fatta
baciare agli Ufficiali e ne distribuii un pezzetto ciascuno. Il parlamentare
tornò. Quanto avevo richiesto fu concesso. Potei far distruggere le armi.
Entrammo nelle file nemiche in perfetto ordine: 4 motociclisti, la mia macchina
con l’Aiutante Maggiore Tenente Ercolani e il cappellano. Una colonna di camion
miei, nascosti e salvati dall’offensiva nemica, con tutti i bersaglieri,
fiancheggiata dai miei motociclisti. Così, in un deserto africano sfilai alla
testa dei miei bersaglieri davanti ai nemici che, irrigiditi sull’attenti,
presentarono le armi. … Raggiunsi il campo di concentramento di Moteur…i miei
bersaglieri furono posti in un recinto isolato e poterono provvedere al servizio
di ordine e vettovagliamento con i miei Ufficiali. Un Generale americano mi
espresse il suo compiacimento per l’ordine e la disciplina dei miei uomini. Dopo
tre giorni fummo divisi. Così finì la guerra tunisina sul fronte di Biserta”.
All’esemplare condotta tattica
e allo smagliante contegno dell’Armata italiana in Tunisia ben si attagliano le
parole rivolte da Messe al Gen. Alexander, a commento di uno scritto del
Maresciallo inglese, apparso sulla “London Gazete”: “Per quaranta mesi,
ininterrottamente, anche quando ogni speranza di vittoria era sparita da un
pezzo, Ufficiali d’ogni grado e soldati avevano dimostrato, specialmente di
fronte agli inglesi, che quando non potevano vincere, sapevano eroicamente
morire”. Ma anche gli inglesi finirono col manifestare la loro ammirazione per
l’Armata italiana in Tunisia.Radio Londra del 10 maggio e dell’11 mattina,
comunicava: “I soldati della 1° Armata possono essere sicuri che saranno
trattati da valorosi, come da valorosi sono stati trattati tutti gli atri
soldati italiani che troveranno nei campi di concentramento”. Nel “Times” del 15
maggio, si legge: “…Molte unità italiane hanno meritato il rispetto delle
truppe britanniche per lo spirito combattivo dimostrato …”.
Sul comportamento del nostro
soldato, così si esprime Lord Stravolgi: “Due cose sono da notare in questa
rotta dell’Asse: prima di tutto che alla fine, quando le sorti della battaglia
si svolgevano rapidamente a sfavore dell’Asse, gli italiani si battevano
meglio dei tedeschi. Il morale dei tedeschi era completamente crollato verso
la fine della Campagna. Reparti tedeschi bene armati, con molti viveri e
munizioni, si arresero in forti posizioni difensive dove avrebbero potuto
resistere anche per molti giorni”; ed ancora: “Come abbiamo visto, i soldati
italiani, agli ordini del Gen. Messe, si erano tenuti saldamente insieme ed
avevano combattuto con accanimento…”.
Nel rapporto ufficiale della
Campagna di Tunisia, trattando della prima battaglia d’Enfidaville, lo stesso
Maresciallo Alexander, appartenente a quell’enorme numero d’inglesi che nei
secoli hanno avuto l’abilità di essere in odio a tutti, giunge ad uguale
conclusione: “Il nemico contrattaccò continuamente e a prezzo di durissime
perdite… Fu notato che gli italiani combattevano particolarmente bene,
superando i tedeschi che erano in linea con loro”. E più avanti: … il 12
maggio 1943 si verificarono rese in massa (dei tedeschi). … Il Gen. Von Armin,
Comandante del Gruppo d’Armate, si arrese al Comandante del 2° Gurkas… Gli
italiani… resistettero più al lungo ed il Gen. Messe ritardò la sua resa fino al
mattino del 13”.
I Reggimenti bersaglieri,
legati fra loro da una coerente, unitaria spiritualità, si scioglievano, così,
nel vivido fuoco dell’ultima battaglia combattuta per la difesa dei nostri
territori dell’Africa, d a mezzo secolo invidiati e insidiati dall’Inghilterra.
A coronamento del comune totale sacrifico, alle “Fiamme Crèmisi” tre medaglie
d’oro al valor collettivo. Con labili schieramenti e armi venerande, in tre anni
di lotta compirono titaniche gesta. Nell’arsura e nell’aspro, la volontà tesa
come arco in difesa, l’ala dell’elmetto in gara con l’ala dei venti
nell’attacco, mai furono visti bersaglieri in fuga, neppure quando, nudi come il
deserto, furono assaliti da un numero sterminato di “Sherman” e di “Hurricane”,
neppure quando, fatti bersaglio a disintegrante fuoco dalla terra, dal mare, dal
cielo, ogni buca era inferno ed il combattere follia. Dopo tante giornate di
gran costanza, contrassalti con l’eterna baionetta sono ancora sferrati da pugni
di bersaglieri, che hanno deciso di battersi fino all’ultimo fiato. Tutte le
forze e tutte le speranze gettate nel rogo.
E come le tigri, che ferite e
ingabbiate divengono più terribili e il disperato dibattersi ne prolunga
l’agonia, i bersaglieri, ridotti a reliquie e rinserrati in un lembo di terra
incessantemente arato dalla morte, confermano l’abbagliante tradizione di un
Corpo la cui virtù più si esaspera e meglio si rivela nella disgrazia.
Trentacinque mesi di sabbia e di coraggio, si risolvono in un lago di sangue, in
un volo di melanconiche piume e d’oneste illusioni.
13 maggio 1943: giorno di
dolore. Cuori e piumetti non palpitano più alla mistica speranza. E’ la fine. La
nostra fine. Da quel dì, in Africa, il nome d’Italia scompare. Però mai sarà
tolto dall’animo nostro e dalla storia della civiltà il ricordo delle opere
compiute dal popolo italiano nelle terre che gli sono state rapite, rapinate e
dall’inflessibile sentimento dell’onore manifestato, dall’Egitto alla Tunisia,
dalla fanteria piumata: fanteria senza sconfitta e senza scampo.
Il Feldmaresciallo Rommel,
giudice insuperabile di soldati, rifacendosi al meraviglioso comportamento dei
Reggimenti Bersaglieri nella più cruenta storia dei secoli, ebbe parole che,
senza sbavature retoriche, aureolano di gloria di figli di Lamarmora: “Il
soldato tedesco ha stupito il mondo; il Bersagliere italiano ha stupito il
soldato tedesco”. Ma, purtroppo, non sempre il valore vince il destino.
Centinaia di croci piumate,
disseminate nel desertico scacchiere nord-africano ci ricordano quei ragazzi che
corsero nel vento, che cantarono disperati il loro destino con voce impastata di
sole e di giovinezza. Per quei ragazzi che si spensero di corsa e che oggi
riposano negl’incantati giardini del silenzio, sia il nostro pensiero come una
carezza dolce che accompagni la loro magica e struggente solitudine.
A conclusione di questo mio
lavoro voglio citare le parole di Theodoro Moller, Storico inglese della
Campagna d’Africa:
“Nessun soldato al mondo è mai
riuscito e mai riuscirà a fare quello che i bersaglieri hanno fatto. Fantasmi
sembravano nel passare al contrattacco. Senza mezzi, con le loro sole mani ed un
pezzo di baionetta . . . e ci hanno respinto.
Questa è la verità. Noi con i
carri armati che ci coprivano, loro allo scoperto . . . e ci hanno respinti. Se
avessero avuto i nostri mezzi ci avrebbero rovesciati come guanti.
Un Bersagliere