Nuovi capitoli in "Le mille e una favola" e "Alla ricerca dei relitti perduti"

      
 

 

                                    “Sergio Bresciani, l’eroe fanciullo”

                                                                  di Danilo Dolcini.

                                                                       

 

                                                                     Premessa.

 

Per raccontare la storia, unica nel suo genere, di Sergio Bresciani, la più giovane Medaglia d’Oro dell’ultimo conflitto mondiale, e sintetizzare in questa introduzione lo spirito e le qualità di questo nostro giovanissimo combattente, ho scelto di partire proprio dalla fine della sua breve ed intensa vita

Colpito da una scheggia di mina anticarro sul mezzo con il quale viaggiava e con la gamba sinistra asportata, disteso su un lettino da campo, attende la fine vicina senza un lamento; all’artigliere Carlucci che lo assiste, rende il binocolo del suo capitano Amatucci che porta al collo con queste parole: “Di’ al signor tenente che mi scusi se ho commesso qualche mancanza”. Esprime poi il suo rammarico nel doversi separare dai compagni e dal reparto. Sentendo che la fine è ormai prossima, dice ai presenti che ormai non c’era più niente da fare, dice loro di salutare i suoi genitori e si spegne serenamente nella commozione di tutti i presenti.

 La sua Patria prima della sua vita, il suo reparto e i suoi compagni insieme ad i suoi affetti più cari, il senso del dovere prima di sè stesso: questo era Sergio Bresciani, l’eroe fanciullo di El Alamein.

Infine, prima di scrivere della sua storia e della sua figura, ho voluto percorrere due tappe fondamentali per avvicinarmi nel giusto modo e con il corretto rispetto a questo piccolo grande eroe, ancor oggi esempio per tutti noi: conoscere di persona le sorelle di Sergio e visitare i luoghi che lo videro protagonista. Ho così incontrato due delle tre sorelle di Sergio, Jvonne e Liliana; mi hanno accolto nella loro casa, felici di incontrare un “giovane” desideroso di conoscere la storia del fratello tanto amato e ancor oggi tanto presente nelle rispettive famiglie. Grazie a loro oggi posso comprendere meglio chi era davvero Sergio Bresciani. E sono inoltre appena rientrato da un viaggio lungo la linea del fronte sud di El Alamein, fra buche e postazioni, fra piste e quote, ove ho cercato quelle sensazioni necessarie ad immaginare cosa significasse, allora, vivere, combattere e morire ad El Alamein.

 L’infanzia.

 Sergio, secondogenito di una numerosa famiglia, nasce a Salò, in provincia di Brescia il 2 Luglio 1924; il padre Bresciani Bortolo Davide, classe 1901, è di professione commerciante, la madre Carattoni Maria, classe 1904, è di professione casalinga. La sua è una famiglia come tante altre di quel periodo: onesta, cattolica, con un profondo rispetto e senso del dovere verso il proprio Paese. Sergio, come tantissimi altri giovani, subisce il fascino di tutto ciò che il regime mette a disposizione: adunate, divise, ecc. Ma certamente fanno ancor più presa su di lui le gesta ed i racconti sui due zii, Dante ed Italo, combattenti e caduti durante il primo conflitto mondiale.

 Biondo, occhi azzurri e faccia da monello, fu fin da piccolo estroverso e irrequieto; si faceva voler bene da tutti, ma contemporaneamente la sua esuberanza, lo portava a combinare sempre qualche marachella. Trascorse parecchi periodi della sua infanzia dagli zii paterni, visto che i genitori erano sempre indaffarati ad accudire gli altri fratelli e sorelle: Italo, Jvonne, Tatiana e Liliana. Non fu proprio uno studente modello e pertanto appena possibile, iniziò a lavorare come operaio alla Falck di Vobarno; ma anche qui la sua voglia di vivere, l’esuberanza e uno spirito assai dinamico, lo portarono ad essere particolarmente irrequieto ed insofferente. Dalla sua vita voleva di più, più emozioni, più spazi, insomma essere protagonista.

 La “chiamata alle armi”.

 Arriviamo dunque al 1939. In Europa si respira aria di guerra; anche in Italia, seppur con maggior cautela, s’inizia a ventilare l’ipotesi di passare dalle parole ai fatti. Nel settembre 1939, a distanza di pochi giorni, Germania ed Unione Sovietica attaccano la Polonia e si spartiscono l’intero territorio. Sergio ha solo 15 anni, ma sente sempre più forte dentro di se, i punti di riferimento di tutti i giovani che vissero in quegli anni: la famiglia, la Patria e Dio. Valori che all’epoca avevano certamente un senso.


Con l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, qualche cosa di nuovo e necessario si anima dentro Sergio che, giorno dopo giorno, sente la necessità di esserci e dover fare qualche cosa. Ma, come si evince dalle numerose lettere scritte ai famigliari, non è animato da odio o da sentimenti negativi: sente solo che il suo Paese ha bisogno anche del suo contributo e generosamente lui non vuole essere da meno dei numerosi soldati italiani già impegnati sui diversi fronti. I sentimenti che lo spingeranno a compiere ben tre fughe da casa, prima di riuscire ad arrivare in Nord Africa nelle retrovie del fronte, sono nobili e puliti; e, se vogliamo innocenti e semplici, se consideriamo la sua giovanissima età. Il suo è amore verso la sua Patria, il suo Paese; sente e vede appunto l’Italia come un’estensione della sua numerosa famiglia e l’andare al fronte è quasi un modo per proteggere i suoi cari, anche se lontando da casa.

 Per ben due volte fugge di casa, ma viene recuperato dai carabinieri che riescono così a riportarlo indietro; e ogni volta si pente non tanto della sua azione, ma dei dispiaceri procurati alla sua famiglia; si pente e promette di non farlo più; ma ogni volta dentro di sè comprende che il suo è un pentimento è temporaneo... è sempre troppo forte il desiderio di andare anche lui, dove può concretamente contribuire alla causa nazionale. Il terzo tentativo è quello che riesce: scappa di casa con la bicicletta del fratello Italo, la vende per recuperare i soldi del treno; arriva fino a Napoli dal cui porto partono i piroscafi carichi di truppe diretti alla “quarta sponda”; qui viene però fermato e rispedito a casa. Non si perde d’animo: a Roma scende nuovamente dal treno, torna indietro e di nascosto s’imbarca su una delle tante navi dirette a Tripoli. E arriva così in Libia.

 A Tripoli Sergio attende il momento buono per raggiungere la linea del fronte e scrive ed avvisa i genitori del luogo che è riuscito a raggiungere: “Cari genitori, questa volta ho raggiunto il mio scopo: sono arrivato a Tripoli. Ora mi trovo in Federazione a fare il piantone: sono molto contento. L’ispettore ha inviato a voi un telegramma: se non avete ancora risposto, vi prego di non richiedermi in Italia; mandate il vostro consenso anche se non siete contenti: vi troverete molto più contenti in futuro. Io non esigo niente, ma se una volta o l’altra vi ricorderete di me con qualche scritto io ve ne sarò molto riconoscente. Sono felice perchè il vice Federale e l’Ispettore mi trattano molto bene e mi hanno promesso che mi faranno partire con il primo battaglione diretto al fronte”. Ma come logico nessuno vuole mandare Sergio verso la prima linea e quindi lui prende e ci va da solo. Il 26 febbraio 1941 i genitori di Sergio ricevono una lettera dal Maggiore Zironi del 3° Reggimento Artiglieria Celere, allora in forza alla divisione Pavia. Lo stesso avvisa e tranquillizza i coniugi Bresciani, ma puntualizza anche: “Ma, prima di tutto, desidero sapere se voi siete d’accordo che egli sia qui in Libia, dato che mi risulta che si sarebbe imbarcato clandestinamente. Perchè se non siete favorevole ve lo rimando a casa”.

 

 Sergio Bresciani in basso a destra

 Pensate ora all’angoscia dei genitori per la sorte di Sergio, scappato di casa per andare in guerra. Ma conoscendo la testardaggine del figlio e soprattutto il desiderio dello stesso di servire il proprio Paese, acconsentono, chiedendo solo che possa essere regolarmente arruolato nell’Esercito. Ma l’arruolamento regolare non è cosa semplice e, anche se regolarmente richiesto, dovranno passare diversi mesi perchè ciò possa avvenire. Sergio dovrà guadagnarsi le stellette tanto agognate sul campo.

 Sul Popolo d’Italia in data 26 dicembre 1942, dopo qualche mese dalla sua morte, comparirà un articolo a lui dedicato, intitolato “Diciasette anni: un eroe”. Riporto qui alcuni stralci che descrivono bene l’arrivo di Sergio al suo reparto: “’Signor tenente, è giunto un avanguardista scappato di casa. Ha una lettera per voi’. Il tenente legge il biglietto che il maggiore comandante della vicina tappa gli ha inviato e con cui viene pregato di dare una sistemazione a questo ragazzo... L’ufficiale fissa negli occhi il ragazzo. Quello che ha davanti è un vero e proprio fanciullo... un arguto sorriso sbarazzino e una prepotente irrefrenabile aggressività di tutto l’essere. Con tono tranquillo, ma deciso, per creare il fatto compiuto, prima ancora di essere interrogato, il ragazzo dice: ‘Allora rimango!’. L’ufficiale fa finta di non rilevare la frase e chiama il capopezzo più anziano della batteria: ‘Sergente x, l’avanguardista Bresciani è assegnato al quarto pezzo in qualità di servente. Fagli subito istruzione e che tra breve sia in condizione di saper puntare. Che sia vestito con la divisa senza le stellette; quelle dovrà pensare lui a guadagnarsele’. Incomincia così la meravigliosa e breve storia del ‘balilla’”.

 Al fronte.

 Siamo dunque alla vigilia della prima controffensiva italo-tedesca destinata a scacciare le forze inglesi dalla Sirte: Bengasi, Derna, Tobruck, Sidi el Barrani devono ritornare italiane. È esattamente in questo momento cruciale che Sergio arriva al suo reparto, il 3° Reggimento Artiglieria Celere al comando del Colonnello Ruggeri Laderchi, divisione di fanteria Pavia, X Corpo d’Armata; reggimento strutturato su due gruppi su cannoni da 75/27 mod.911 e un gruppo su obici 100/17 mod.914.

 Sergio è dunque protagonista insieme al suo reparto delle varie fasi della campagna del Nord Africa: avanzata delle forze dell’Asse, operazioni contro la piazzaforte di Tobruck, battaglie lungo il fronte di Sollum. Ed è proprio di fronte a Tobruck che il “balilla” compie il suo diciassettesimo compleanno, sotto il fuoco nemico: combatte e spara, vede i compagni morire, sopporta tutte le fatiche della guerra e del deserto, ma non cede. Potrebbe tornare a casa, fiero di quello che ha già fatto, ma lui è lì per servire il suo Paese fino in fondo. E fino alla fine lo servirà. Una bella cerimonia, presente tutto il reggimento, e Sergio riceve finalmente le tanto agognate stellette: è ora il più giovane soldato d’Italia.

 Dalle sempre numerose lettere che spedisce ai genitori, al fratello ed alle sorelle traspare la gioia per quanto è riuscito a guadagnarsi sul campo: “Oggi è venuto da noi il cappellano accompagnato dal mio signor capitano; dopo un breve discorsetto, il cappellano mi ha abbracciato e consegnato le stellette: da quel momento ero regolarmente volontario. Non potete immaginare la mia gioia e la mia felicità: è stato questo il giorno più bello della mia vita da soldato”.

 E dopo pochi giorni, sempre con lo stesso entusiasmo annuncia ai genitori, di essere stato proposto sia per la Medaglia d’Argento al Valor Militare, sia per la Croce di Ferro di Seconda Classe, e di essere in attesa della motivazioni e della consegna ufficiale delle decorazioni. E mentre vive tutto questo, non dimentica mai la propria famiglia, le sorelline più piccole e il fratello Italo tanto amato: il suo è un susseguirsi di lettere verso i genitori nelle quali racconta, parla e chiede, con un tono ed una dolcezza che quasi stupiscono. Dalle stesse traspare un’ingenuità fanciullesca, come se invece di trovarsi in guerra, fosse protagonista di un’avventura tutta per lui. Mai una volta compaiono riferimenti negativi a ciò che sta vivendo, forse per non far preoccupare i genitori o forse perchè neanche presi in considerazione da Sergio.

                                   

 Nella seconda metà del novembre 1941 le forze inglesi passano nuovamente all’offensiva con l’Operazione Crusader per alleggerire la pressione su Tobruck; ora il 3° Reggimento Artiglieria Celere non è più aggregato alla divisione Pavia, ma a disposizione del XXI Corpo d’Armata al comando del Generale Enea Navarini. Non sono giorni facili per Sergio e per i nostri soldati; dopo attacchi e contrattacchi da una e dall’altra parte, le forze italo-tedesche sono costrette alla difensiva e poi ad abbandonare la Cirenaica fino a raggiungere Bengasi prima, Agedabia poi, verso la fine del dicembre 1941. Le forze dell’Asse, in particolare quelle italiane, sono davvero mal ridotte: il reggimento di Sergio, alla fine di questo ciclo operativo, può contare solo su un pezzo da 75/27!

 Sergio, lo si deduce dalle sempre numerose lettere inviate dal fronte, vive questo periodo comunque con tutta la sua positività. Mai un accenno alle difficoltà piccole o grandi che nella dura guerra nel deserto deve affrontare; al più qualche blando rimprovero verso i propri cari per il numero sempre troppo esiguo di corrispondenze che lo raggiungono.

 Con l’inizio del nuovo anno, il 1942, le nostre divisioni, insieme a quelle tedesce dell’Afrikakorps, sono schierate a sud ed a est di el Agheila. Ma il feldmaresciallo Rommel non è comandante che si perde d’animo e i 21 gennaio lancia all’attacco le sue truppe per la seconda controffensiva dell’Asse. Sergio Bresciani è sempre in prima linea con il suo reparto, anche se una fastidiosa otite che ogni tanto lo affligge, lo costringe ad un periodo di riposo presso un ospedale militare.

 L’avanzata è travolgente e il 29 gennaio le truppe italo-tedesche entrano a Bengasi, il 3 febbraio a Derna e il 4 dello stesso mese alle porte di Ain el-Gazala, a circa 50 chilometri da Tobruck. Poi fino a fine aprile una necessaria pausa operativa per ristabilire tutti i collegamenti con le retrovie e per far affluire i nuovi e necessari rinforzi per le spossate divisioni.

 Da una lettera del 23 marzo 1942 indirizzata alla sorella Jvonne, risulta ancora una volta evidente la semplicità, la bontà e la forza d’animo con la quale Sergio vive quei giorni comunque così difficili: Cara Jvonne, ... nella grande battaglia della Marmarica sono stato proposto dal C.S. Africa S. (Comando Supremo Africa Settentrionale) per la medaglia d’argento. ... Dopo la battaglia io mi sono recato a Agedabia in cerca di acqua per lavarmi, dato che durante la battaglia non ci eravamo mai lavati (puoi immaginare come eravamo sporchi...). Proprio in quel giorno sono venuti gli apparecchi (tomi!) (tommy, diminutivo utilizzato per identificare gli inglesi) ed hanno fatto un bombardamento terribile: io mi trovavo nel centro del disastro (notando che per recarmi colà ero scappato dalla batteria...) ed ho potuto sentire molti dei miei compagni che gridavano aiuto. Immediatamente ho preso la macchina ed ho girato per il paese a raccogliere i morti ed i feriti. Per questo mi hanno proposto per la medaglia di bronzo. Io però non la volevo, perchè non avevo fatto altro che il mio dovere verso i miei compagni in pericolo”.

 Rommel ancora una volta stupisce tutti e riprende la sua offensiva per raggiungere e superare Il Cairo: il vittorioso attacco ad Ain el-Gazala, l’accerchiamento e la spettacolare riconquista di Tobruck, l’attraversamento del confine egiziano e la conquista di Matruh, ed infine El Alamein. Qui, al contrario di quanto molti ancor oggi credono, si svolsero ben tre battaglie: due in cui le nostre forze cercarono di attaccare e vincere quelle alleate, una, la più famosa e tragica per noi, in cui le truppe del Commonwealth, numericamente superiori, riuscirono, dopo non poca fatica ad infrangere lo schieramento delle truppe dell’Asse e a costringerle alla ritirata verso la Libia.

 La prima di queste battaglie prese il via esattamente il 1 luglio 1942 e terminò indicativamente il 27 dello stesso mese; la seconda, durante la quale Sergio visse le sue ultime giornate di vita, iniziò il 31 agosto con un tentativo di manovra avvolgente da sud verso nord e quindi verso la costa ad Est di El Alamein e terminò fra il 5 ed il 6 settembre con il consolidamento delle posizioni reciproche. Entrambe le offensive non portarono al raggiungimento degli obiettivi desiderati e prefissati, ovvero lo sfondamento delle linee alleate e la penetrazione verso Il Cairo.

 Sergio Bresciani vive, come sempre, i suoi ultimi giorni di vita intensamente: smania dalla voglia di avanzare e di combattere il nemico, incita i suoi compagni d’arme, spara e combatte da vero uomo. Addirittura riesce per qualche giorno a farsi assegnare ad un reparto carrista con compiti di servente. Ma il suo posto è presso la sua batteria e lì torna dopo pochi giorni. Il 2 settembre durante un bombardamento inglese, viene investito dai sassi e dalla terra in volo a causa di un’esplosione; cade colpito da una pietra più grande al petto; i suoi camerati sono intorno a lui, ma si rialza con un sorriso e la gioia di non essere stato ferito e di poter continuare a combattere ancora.

 Due giorni dopo però il destino è per lui sfavorevole: in piena battaglia insieme ad alcuni compagni e con un mezzo deve raggiungere una nuova località; di prima mattina l’autocarro entra inavvertitamente su un campo minato inglese e la ruota anteriore passa su una mina a pressione. L’esplosione violenta trancia di netto la gamba destra di Sergio.

 Subito viene soccorso e tutti gli sforzi per salvargli la vita vengono fatti: è ormai famoso presso tutti i reparti e tutte le cure necessarie gli vengono fornite, ma la perdita di sangue e lo shock traumatico hanno la meglio sul povero Sergio che si spegne senza un lamento presso la 53a sezione di sanità della Divisione Folgore.

   

 Tutti i presenti sono annichiliti e smarriti di fronte alla tragica fine del ‘balilla’: i dottori che fino all’ultimo momento hanno tentato di salvarlo, il cappellano che è comunque riuscito a dargli l’estrema unzione e a portargli un ultimo conforto, i compagni di viaggio che hanno assistito impotenti e hanno raccolto le sue ultime volontà.

 Sergio Bresciani cade sul campo il 4 settembre 1942, ma muore “come sanno morire gli uomini. Dal suo comportamento non ci saremmo mai potuti accorgere che era un ragazzo”. Viene inizialmente sepolto al chilometro 41,5 della Pista Rossa o Massicciata (la pista che collega la costa al Passo del Cammello al bordo della Depressione del Qattara). La sua tomba è la numero 1. Poi insieme ai tanti altri recuperati dal leggendario Paolo Caccia Dominioni viene trasferito al Sacrario Militare Italiano di El Alamein.

   

 Dal foglio matricolare.

 Matricola 35005, registrato come “Soldato volontario per la durata dell’attuale guerra nel 3° Reggimento Artiglieria Celere, mobilitato presso in Africa Settentrionale presso tale reparto il 02/07/1941”.

“Ricoverato presso la 21ª Sezione di Sanità il 10/10/1941 e dimesso e trasloccato all’Ospedale da campo N.166 il 11/10/1941”.

“Dimesso e trasloccato all’Ospedale da campo N.164 il 15/10/1941”.

“Dimesso e rientrato al corpo il 08/11/1941”.

“Ricoverato all’Ospedale da campo N.166 il 14/11/1941”.

“Dimesso e trasloccato all’Ospedale da campo N.164 il 15/11/1941”.

“Dimesso e rientrato al corpo il ??/??/1942”.

“Morto in seguito a ferita amputante della gamba sinistra da scheggia di mina al km. 44,700 della pista massicciata (deserto di El Alamein). Iscritto sul registro tenuto dalla 53 ª Sezione di Sanità il 04/09/1942”.

“Insignito della Croce di Ferro tedesca di 2 classe, dispaccio n. 40038/3 del 26/11/1942”.

“Concessa Medaglia d’Oro al Valor Militare con decreto del Ministero della Guerra. Fase 499 del 30/08/1943”.

 Motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare: “Avanguardista sedicenne, fuggito da casa per accorrere sul fronte libico, portava nella batteria che lo accoglieva la poesia sublime della sua fanciullezza eroica. Sempre primo nel pericolo, rifiutava qualsiasi turno di riposo, riuscendo in ogni occasione di superbo esempio ai camerati più anziani. Durante una giornata particolarmente aspra in cui il suo reparto veniva sottoposto a violentissimo tiro di controbatteria, in qualità di tiratore dell’ultimo pezzo rimasto efficiente, in piedi, continuava a sparare fino all’ultimo colpo al grido di ‘Viva il 3° Celere’. In altra azione di guerra, colpito dallo scoppio di una mina che gli recideva una gamba, sopportava con stoica fermezza la medicazione e, prossimo alla fine, pronunziava stupende parole di amor patrio, rammaricandosi di doversi separare dal reparto e dai compagni. Splendida figura di eroe fanciullo, simbolo purissimo della virtù della gente d’Italia. Marmarica-Egitto (Africa Settentrionale) Marzo-Dicembre 1941 – Maggio-Settembre 1942”.

                                       

 “Conferitagli la Croce al Merito di Guerra in virtù del Regio Decreto n. 1729, per partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940-1945 in data 28/03/1966”.

 

                                                                                      Conclusioni.

 

Sergio Bresciani fu ed è tutt’ora un esempio per tutti. Poche persone furono e sono così generose da mettere prima dei propri interessi materiali, il bene supremo di un ideale o di una causa. Lui lo fece; prima dei suoi affetti più cari e soprattutto della propria vita, mise il senso del dovere e il rispetto verso il proprio Paese; non si chiese se quella guerra fosse giusta o sbagliata, la fece e basta. Sentì la necessità di servire gli interessi d’Italia con le armi e compì il suo dovere con ardore e determinazione, ma senza odio. Pagò con la vita!

Presso il Sacrario Militare Italiano di El Alamein è posta la seguente targa: “Fra sabbie non più deserte sono qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore fior fiore di un popolo e di un esercito in armi. Caduti per una idea, senza rimpianti, onorati dal ricordo dello stesso nemico. Essi additano agli italiani nella buona e nell’avversa fortuna il cammino dell’onore e della gloria. Viandante arrestati e riverisci. Dio degli eserciti accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo del cielo che riserbi ai martiri e agli eroi”.

 Io credo che lo stesso Dio invocato dal Tenente Colonnello Paracadutista Alberto Bechi Luserna, anch’egli Medaglia d’Oro al Valor Militare e caduto per la Patria, abbia accolto anche lo spirito di Sergio Bresciani che, oggi, riposa dunque al Sacrario insieme a centinaia di nostri soldati, spesso e purtroppo, dimenticati dai più. Al suo e al loro cospetto dobbiamo inchinarci per ricordare alle generazioni future il senso del loro sacrificio e della loro dedizione verso alti e nobili valori.

 

Desidero ringraziare vivamente Jvonne e Liliana Bresciani per tutto quanto mi hanno “trasmesso” nel nostro primo incontro e per il permesso accordatomi, e da me rispettato, di scrivere onestamente del loro caro fratello, attingendo dai loro ricordi e dagli scritti in loro possesso. Chi volesse conoscere ancora più a fondo la storia di Sergio, può acquistare il bel libro di Liliana Bresciani, “Il cucciolo della Leonessa”, presente da qualche tempo sul mercato.

 

 

 
16 Agosto 2008 / v06
 

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